Teatro
In Stato di agitazione
Che la questione – professionale, occupazionale, di tutele e di prospettive – dei lavoratori e delle lavoratrici dello spettacolo sia tutt’altro che risolta appare chiaro a chiunque sia minimamente interessato al settore. Le contraddizioni del sistema sono emerse in tutta la loro forza e complessità nel periodo del lockdown, quando tanti, troppi professionisti hanno dovuto fare i conti con una realtà a dir poco mortificante. Forse, una delle poche cose buone che questi mesi terribili ci lasceranno in eredità, almeno per quel che riguarda il teatro, è una rinnovata coscienza di classe. Una voglia, unita a rabbia e frustrazione, di rivendicare il proprio stare al mondo, di riaffermare con forza l’importanza della cultura (e dello spettacolo) nel convivere comune, di richiedere chiaramente un riconoscimento adeguato del proprio ruolo non solo di “intrattenitore”, quelli che ci “fanno tanto divertire”, ma di lavoratrici e lavoratori che hanno un compito doppio: da un lato svolgere un servizio pubblico (la cultura e il teatro, per me, sono ancora servizio pubblico) e dall’altro di innalzare quanto più possibile la consapevolezza, la conoscenza, la qualità del vivere collettivo. Allora, molte discussioni, molti confronti, molte iniziative sono state fatte in questi mesi. Un esito è la manifestazione nazionale che si terrà domani, 30 maggio, in varie città d’Italia (a Roma in Piazza San Giovanni) il cui slogan è già un netto segnale: #convocatecidalvivo. Si tratta di una mobilitazione generale di tutte le Lavoratrici e i Lavoratori dello Spettacolo indetta come “ultimo appello” alle Istituzioni , dopo l’invio lo scorso 19 maggio, del Documento di Emergenza per l’apertura di un tavolo di confronto tecnico-istituzionale , in merito alla prossima “ripartenza”. Possibile , si chiediamo in molti, che a nessuno sia venuto in mente di confrontarsi con i Tecnici e gli Artisti?
Intanto, ricevo e volentieri pubblico questo documento redatto dalla compagnia Mitipretese, che ben fa il punto sulla situazione:
Curioso. Riusciamo a dire solo questo : è curioso. È curioso che in questi mesi di lockdown, durante i quali effettivamente solo il telefono e internet hanno scandito il ritmo delle nostre giornate , non sia avvenuta una piccola cosa semplice e di cui ci sarebbe stato bisogno : una telefonata agli “artisti”. È curioso che i Direttori dei grandi Teatri Nazionali e dei Tric, gli Imprenditori privati, i Direttori delle grandi Fondazioni non abbiano sentito il bisogno di ascoltare chi è stato al centro del loro lavoro, chi in realtà dà senso al loro stesso lavoro: gli artisti.
Perché avete deciso di non chiamarci?
È fastidioso riconoscere che gli artisti sono in realtà dei lavoratori per modo di dire? Buoni da chiamare per leggere una poesia (gratis) per “diffondere bellezza” ad una comunità affranta (gratis) ma non per condividere oneri e onori di un mestiere?
È troppo triste constatare che lo stato di emergenza non ha fatto altro che inasprire lacune già esistenti?
Comprendiamo bene che non deve essere piacevole sentirsi oggetto di recriminazioni e accuse. Ma perché non vi interessa mettervi veramente nei nostri panni? Eppure dovremmo essere al centro delle vostre preoccupazioni. Come è possibile pensare ad un teatro senza artisti?
È vero, non sono esclusi, messi da parte, proprio TUTTI, solo ALCUNI di noi. Quelli non necessari.
Ma chi è necessario? Chi siamo noi? NOI lavoriamo nella prosa, nell’arte di strada, nella lirica, nella danza e nella musica, nel cinema e nella televisione. Scriviamo, dirigiamo e interpretiamo spettacoli, facciamo formazione, progettiamo e costruiamo scenografie, realizziamo trucchi, costumi, sonorizziamo e illuminiamo palchi, e molto altro ancora. Ma mentre voi non ci chiamavate, NOI ci siamo sentiti “connessi” più di prima, abbiamo sentito il bisogno di studiare , ci siamo confrontati su diritti e doveri, ci siamo autodeterminati. E abbiamo anche lanciato il cuore oltre l’ostacolo immaginando il futuro. E il presente. Tutti insieme.
Avremmo voluto farlo insieme a VOI questo cammino, per sfatare l’idea che “gli artisti più sono ignoranti e più sono bravi”. Ignoranti lo eravamo di sicuro, come voi, di come stanno veramente le cose.
Se quella telefonata fosse avvenuta avreste scoperto che c’è tanto teatro.
È certo più semplice pianificare alla vecchia maniera, ma il Teatro non esiste solo nei grandi Teatri sovvenzionati. C’è un territorio che offre esempi virtuosi da normare e tutelare. E non sarebbe compito di un grande Teatro mappare il territorio per scoprire quanti artisti ci sono ? Quante piccole e grandi realtà sono impegnate nella cultura e nel sociale?
In nessun altro momento del vivere comunitario si fa pratica di convivenza come a teatro. A teatro tanti individui insieme (pur non conoscendosi) fanno un’esperienza emozionale e pensano insieme. E insieme formano il tessuto sociale. Insieme. Tutt’altra cosa è la riflessione solitaria. Necessaria alla costruzione del sé come individuo ma non del sé collettivo. È pericoloso spingere i cittadini solo ad isolarsi, è pericoloso non suggerirgli un’alternativa. Una società che comunica solo attraverso uno schermo perde le capacità di empatizzare con l’altro. È una società in cui i singoli in realtà pensano all’espressione del sé e non più alla comunicazione.
Se quella telefonata fosse avvenuta …
Vi avremmo raccontato come abbiamo immaginato forme di spettacolo più vicine all’epica, alla grande tragedia, alle grandi passioni. Come abbiamo immaginato, per ricominciare subito, spettacoli all’aperto, nei giardini, nei parchi archeologici, con un pubblico organizzato e convocato a gruppi , introdotto lungo un percorso ben segnalato da appositi cartelli. Avreste potuto sentirci raccontare come nelle piazze, in interi quartieri decine e decine di attori e danzatori e musicisti e scenografi, drammaturghi si sarebbero confrontati su un nuovo repertorio, lontano dalle solite poche opere che ogni anno riempiono i vostri cartelloni. E non dovrebbe essere desiderio dei grandi Teatri, mettere a disposizione know how, economie, competenze e artisti per far diventare le città, i quartieri, le strade, i giardini, tutti, un grande rito partecipato?
Aprire e non chiudere. Allargare e non restringere.
Se quella telefonata fosse avvenuta…
Avreste potuto immaginarla insieme a noi la ripartenza. Avreste potuto trasformare questa crisi in un nuovo modo più equo e più democratico di produrre arte. Perché nella vita come nell’arte possiamo rispondere in modo solidale
MITIPRETESE
Manuela Mandracchia, Alvia Reale, Sandra Toffolatti, Mariangeles Torres
Devi fare login per commentare
Accedi