Teatro
In “Assassina” tutta la sapienza di Franco Scaldati
Palermo. Franco Scaldati, in vita, ti guardava negli occhi ed esigeva la verità e non lo faceva con atteggiamento imperativo o autoritario, ma con generosa umanità e ironia sottile e persino affettuosa: come se non potesse esserci altra possibilità di relazione autentica che dirsi la verità, stare nella verità in scena e fuori scena. Anche la sua drammaturgia non contempla menzogna e superficialità: in un linguaggio teatrale popolare e sornione sono involti non solo una profonda e consapevole cultura teatrale ma soprattutto un atteggiamento sapienziale che non cessa di suscitare stupore e di comunicare. Con l’aggettivo sapienziale ci si riferisce alla capacità di confrontarsi strutturalmente e definitivamente con i temi ultimi dell’essere, della morte e della libertà. Unica precondizione per rappresentare questa drammaturgia e per fruirla come pubblico, è poter ascoltare la voce di questo artista (o, se si vuole, di un artista come questo) in spirito di verità e libertà. Raccontiamo questa volta di “Assassina”, lo spettacolo che, dopo aver debuttato l’anno scorso al Ridotto e del Mercadante di Napoli, è finalmente arrivato a Palermo dove si è visto dal 19 al 22 marzo sulla scena della Sala Strheler del Teatro Biondo: adattamento e regia di Franco Maresco e Claudia Uzzo, regista collaboratore Umberto Cantone, in scena Gino Caristia, Aurora Falcone, Melino Imparato. Inutile dire quanto sia benemerita e doverosa l’attenzione di questi due teatri pubblici nei confronti del grande poeta e drammaturgo dell’Albergheria. Nel dire di questo spettacolo è semplice raccontare il soggetto della piece (una delle opere più conosciute e riuscite di Scaldati, scritta nel 1984): una vecchina e un vecchino, anonimi entrambi, scoprono improvvisamente – e con notevole tragicomico sconcerto – di vivere entrambi, senza saperlo e da tempo immemorabile, nella stessa vecchia casa, scoprono di usare gli stessi oggetti, di dormire nello stesso letto, di avere in casa gli stessi animali ovvero la gallina Santina e il topo Beniamino. Vicinissimi, contigui, eppure totalmente estranei l’uno all’altra. In questo contesto si fa viva una misteriosa e spettrale figura di bambina biancovestita che richiama tutti, personaggi e pubblico, al senso del sogno e della più intangibile poesia. Uno iato di straniante e surreale estraneità che, interrompendosi improvvisamente e misteriosamente (ma quanta cultura letteraria e teatrale in questa interruzione!), mette in moto la macchina dello spettacolo. Uno iato nel quale si insinua tutta la poesia di questo poeta e teatrante con la sua capacità di leggere il mondo in profondità a partire da un basso umido e oscuro di un qualsiasi quartiere popolare di Palermo che diventa metafora del mondo. I tre attori sono, si può dire da sempre, solidi interpreti di Scaldati, testimoni consapevoli non solo di una grande esperienza teatrale ma di un lascito pluridecennale di affetti e di colta intelligenza della realtà contemporanea. Questa consuetudine attorale rende possibile la percezione che ogni gesto, ogni parola, sospiro, sguardo, risata, implica molto altro e molto più dalla sua lettera. Che cosa? Il mistero della alterità e della sua insopprimibile presenza, la fragilità dell’essere e il bisogno dell’essere insieme nello stesso luogo e nella finitezza di uno spazio, il mistero del corpo, sintesi ineffabile di materia e persona, il rapporto tra realtà e sogno, tra luce e ombra, tra morte e vita. Una ricchezza concettuale che Maresco, anche lui antico sodale di Scaldati, riesce a valorizzare avvolgendo un disegno registico di grande pulizia e misura esatta in un sottile velo (l’apporto video è di Francesco Guttuso) di nuvole e nebbia che sfuma la concretezza dei dettagli e lascia al pubblico la responsabilità estetica, e morale soprattutto, e di farsi catturare da ciò che accade in scena.
Assassina
di Franco Scaldati, adattamento e regia Franco Maresco e Claudia Uzzo. Regista collaboratore Umberto Cantone. Con Gino Carista, Aurora Falcone, Melino Imparato. Scene e costumi di Cesare Inzerillo e Nicola Sferruzza. Musiche di Salvatore Bonafede. Video di Francesco Guttuso per Lumpen Film. Disegno luci di Carmine Pierri. Produzione Teatro di Napoli – Teatro Nazionale / Teatro Biondo Palermo, in collaborazione con Associazione Lumpen. Crediti fotografici di Ivan Nocera.
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