Teatro
Il Teatro Ragazzi festeggia a Lecce
Una manifestazione vivacissima, dedicato al pubblico dei giovani e giovanissimi, anima Lecce durante le feste: dal 27 dicembre al 6 gennaio, infatti, Kids Festival è ormai un appuntamento da non perdere – come si dice – per grandi e piccini. Dislocato in vari spazi della città, dalle spartane Manifatture Knos, ex edificio industriale, all’appena restaurato e elegante Teatro Apollo e altrove, il Kids Festival è organizzato dalla Factory Compagnia Transadriatica e Principio Attivo Teatro, è diretto da Tonio De Nitto e Raffaella Romano, con Francesca D’Ippolito all’organizzazione, e propone un cartellone con appuntamenti di rilievo nazionale e internazionale. Oltre a mescolare narrazione, circo, teatrodanza alle più classiche proposte di spettacolo per ragazzi, questa edizione ha voluto aprire un approfondimento, un focus dedicato a quel teatro che si confronta con i problemi della Diversità e dell’Alterità. Dunque “teatro ragazzi e disabilità” nelle giovani generazioni: uno sguardo in senso ampio su complessità e opportunità integrative e sociali, proseguendo una riflessione – già avviata in Italia e non solo – su come la scena si possa inserire nella rappresentazione sociale dell’infanzia e della adolescenza.
A Lecce, dunque, si è chiesto ad artisti e operatori quali siano le buone pratiche teatrali – nuove o antiche – per chi lavora nell’ambito del disagio e della infanzia. Ne è scaturita una tavola rotonda particolarmente interessante, in cui ci si è focalizzati (ne facevo parte anche io che ne scrivo qui) sui corpi “non conformi”, specie di giovani e in formazione, e sul lavoro con i codici del teatro e della danza, investigando percorsi formativi, pedagogici, creativi che attraversano la diversità generazionale, sociale e culturale. Vi è insita, nella giovane età, l’esperienza fisica, costante, del disagio, della difficoltà di crescere e di stare al mondo. Ed è innegabile che servano consapevolezza e delicatezza nell’accostarsi a quelli che sono gli anni complessi della vita: difficoltà che spesso possono moltiplicarsi se si intrecciano alle diverse abilità del soggetto in divenire.
Per quel che riguarda gli spettacoli, nei giorni in cui sono stato a Lecce, ho colto indicazioni preziose in questo senso, a partire dall’emozionate Ali, il lavoro diretto da Antonio Viganò con le coreografie di Julie Anne Stanzak, per la compagnia La Ribalta-Accademia Arte della Diversità. Ali, testo originale di Gigi Gherzi, Remo Rostagno e dello stesso Viganò, nuova versione di uno storico spettacolo del 1993, è oggi una piccola, delicata, parabola laica, un acquerello poetico. Narra l’incontro tra un buffissimo angelo e un giovane scontroso in cerca di vita: è una danza lieve, storia di un incontro progressivo, di una amicizia – o forse di un confronto – che nasce dai desideri diversi dell’uno e dell’altro e dal bisogno di umanità e affetto che attanaglia i giovani, diversi solo per l’occhio infarcito di pregiudizi di chi guarda. Sorta di Cielo sopra Berlino per adolescenti, lo spettacolo è magistralmente interpretato da Michael Untertrifaller e da Jason De Majo, bravissimi, energici, delicati, precisi nell’aderire perfettamente al progetto scenico e poetico: le ali per volare sono una ferita che ci si porta dietro.
Di gran classe, seppur drammaturgicamente un poco lasco, lo spettacolo Pss Pss, dei siciliano-svizzeri Compagnia Baccalà, ovvero i bravissimi Camilla Pessi e Simone Fassari, diretti da Louis Spagna. Sono un duo trascinante di giocolieri, fantasisti, acrobati, che gioca con candida ironia con le difficoltà delle creazioni proposte. Ma sono davvero virtuosi, e alla fine il talento si vede tutto: come nella magistrale chiusura affidata a un originalissimo numero fatto con una scala a libretto, capace di trasformarsi in un sorprendente e inatteso strumento musicale. Si ride, nella delicatezza dello spettacolo, piccola e allegra festa di tenero e buffo intrattenimento clownesco. E la qualità è premiata dal pubblico entusiasta.
Potente, nel suo carattere sincero e onirico, il racconto che Tonio De Nitto, con la complicità interpretativa del bravo Ippolito Chiarello, trae da Mattia e il Nonno, bel romanzo omonimo di Roberto Piumini. Ne scaturisce un monologo, già apprezzato in altri festival e segnalato dal critico e grande esperto Mario Bianchi per il prestigioso Premio Eolo, che è la storia di un bambino posto di fronte alla realtà della fine della vita. Lo spettatore, allora, si trova immerso in una dolorosa veglia funebre, e quindi nell’elaborazione del lutto, dunque nella crescita umana e esistenziale del giovane Mattia posto di fronte alla perdita di una persona cara. È un sogno, pieno di colori e di fantasia che il piccolo vive nell’immaginazione, frutto di fantasia e di ricordo, evocando una mirabolante, incredibile, divertente e tenera passeggiata con il nonno che se ne sta andando, là bloccato sul letto di morte, ma che rimarrà sempre nel cuore del bambino.
Su un taglio da “comica classica”, quasi una slapstick, un film di Stan Laurel e Oliver Hardy, punta invece il Mezzanine Theatre di Graz, in Austria. Una coppia stralunata alle prese con una Tarte au chocolat, da preparare tra tante, semplici, gag e improbabili capricci, tra dispetti e giochi, tra lingue che si intrecciano (il tedesco, il francese e con generoso sforzo l’italiano) e che regalano grandi risate ai bambini in platea. Generosi Erwin Slepcevic e Jean-Paul Ledun, in questo lavoro che, per la semplicità di impianto e soluzioni, sembra adatto forse agli spettatori più piccoli.
Sempre sulla “coppia comica” è impostato il lavoro dello jesino ATGTP, lavoro scritto e diretto da Simone Guerro. Il grande gioco, questo il titolo della pièce, è la storia di due fratelli sognatori, che giocano alla vita mentre incombe la morte di uno dei due. In scena Silvano Fiordelmondo e Fabio Spadoni evocano personaggi appena schizzati, che il pubblico segue in una giornata di gioco e d’addio. Tra canzoni d’antan (Una giornata al mare di Conte per intero) e mimica didascalica, il lavoro, che pure ha momenti toccanti, rischia però di non andare oltre l’affresco edificante.
Più sorprendente, addirittura inquietante e stralunato, fantasioso è Joseph Kids, coreografia inaspettata che, nella semplicità dei mezzi (un computer, uno schermo, una playlist e il programma photobooth di elaborazione delle immagini live) e nella scelta di musiche ipercontemporanee – da David Bowie a Bjork, dai Portishead a Anthony and the Johnson a altri – mostra sequenze coreografiche create nientemeno che da Alessandro Sciarroni per i fantastici e autoironici Michele Di Stefano e Marco D’Agostin. Insomma, tre star della danza italiana e europea, che fanno di Joseph Kids è un divertimento intelligente, spiazzante per il pubblico dei più giovani (così come per gli adulti): una sinfonia per corpo che si osserva, gioca con se stesso, si modifica e si trasforma addirittura in supereroe, fino allo struggente passo a due conclusivo tra degli improbabili ma entusiasti Batman e Robin. Solitudini e fantasie, allora, si avvertono in questo spettacolo, evocate con grazia e aguzza complicità.
Storia a parte fa Teatri Mobili, la proposta che arriva dalla famiglia “nomade” della coppia Girovago e Rondella, con il loro storico Bus-Teatro, cui si è affiancato il Camion-Teatro del gruppo Dromosofista, ovvero la compagnia dei figli. Teatro di figura (fatto a mano, è il caso di dirlo) e di piazza, dunque, per la piccola comunità-tribù, con musica, giochi all’aperto e invenzioni originalissime. Se i GirovagoRondella presentano da anni e con successo il loro toccante lavoro Manoviva, coreografia per due mani che diventano burattini di un micro-circo del sentimento, gli eredi, giovanissimi – di stanza a Barcellona – con Antipodi, portano avanti la tradizione familiare innovandola con suggestioni gitane, mediterranee, forse più cupe e oniriche, che certo non dispiacerebbero a Jodorowski. Pochi spettatori, ovviamente, per questi anomali spazi teatrali, eppure i due lavori affascinano, divertono. Sono diversi tra loro, ma legati da una cura per i dettagli, per la qualità, per l’incanto e la sorpresa: spettacoli, insomma, assolutamente da vedere, o meglio da condividere.
Dunque, nei giorni di conclusione del lungo e articolato Kids Festival, il “teatro ragazzi”, se così vogliamo ancora identificarlo, ha confermato guizzi di grande vitalità. E nell’apertura, interessante e coerente, alla Diversità ha mostrato consapevolezza e sapienza, rispetto e necessità, perché nel mondo dell’infanzia il “disagio” sembra davvero esser vissuto senza stigma, senza imbarazzi da bambini e bambine. E anche da qui si può ripartire per tratteggiare, forse, una società futura. Da segnalare, a questo proposito, una iniziativa notevole come il “biglietto sospeso” che ha dato a fasce diverse di pubblico pugliese la possibilità di accedere agli eventi, condividendo con serenità gli spettacoli.
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