Teatro

Il Teatro Greco, un rito liturgico collettivo

21 Gennaio 2023

Teatro è una parola che viene dal greco théatron, che vuol dire spettacolo, che a sua volta deriva dal verbo théaomai, cioè vedere.

C’è una differenza di fondo fra il teatro come lo concepiamo noi oggi e come invece lo concepivano i greci.

Il teatro al giorno d’oggi, sostanzialmente appare mezzo di divagazione, di diletto ed è considerato, in tutto il mondo, come spettacolo per pubblico elitario, di cultura e di gusto mediamente superiore.

Esso è spettacolo che concorre con altri, e spesso più sofisticati mezzi espressivi, come il cinema, la televisione e ancor di più con l’ormai imperante universo digitale.

Nel mondo greco il teatro assumeva, invece, una funzione ben altra funzione e si collocava ai vertici dell’idea di civiltà che quel mondo esprimeva.

Nella considerazione generale il teatro veniva indicato come la forma perfetta di arte.

Per il tipico spettatore dell’antica Grecia, andare a teatro non era infatti esattamente un passatempo, come lo è per noi oggi, ma era qualcosa di più simile a un rito religioso, era il partecipare ad una vera e propria liturgia.

Per queste ragioni si trattava di un evento di grandissima importanza, partecipare veniva dunque ad essere considerato un modo per assolvere ad un dovere sacro e, per sottolinearne il valore, non si può trascurare il fatto che la religione fosse uno dei cardini fondamentali che legava l’intera comunità.

Il teatro, che era inoltre il luogo di incrocio o di incontro fra mondo profano e mondo divino, un rito civile collettivo a cui  si assegnava una funzione pedagogica, educativa.

Esso infatti doveva necessariamente coinvolgere le masse le quali attraverso la narrazione scenica ricevevano non solo insegnamenti ma le stesse coordinate comportamentali.

Il teatro serviva, dunque, a riflettere, e abuso di un titolo di un’opera famosa di Andrée Malraux, “sur la condition humain” ciò che significava confrontarsi e misurarsi con le difficoltà della vita.

Non è un caso, dunque, che i governanti delle Polis favorissero non solo la messa in scena delle opere ma, anche, la più ampia partecipazione popolare e che lo facessero perfino sostenendo economicamente anche gli indigenti per dare loro la opportunità di partecipare.

I generi teatrali favoriti dai greci, erano soprattutto la tragedia e poi la Commedia.

La tragedia, dal greco odé trayos, Canto del Capro – perché originariamente gli autori che vincevano l’agone in cui si cimentavano, ricevevano come premio un capro – si caratterizzava per il tono elevato della narrazione scenica.

Essa rappresentava soprattutto i conflitti interiori fra bene e male e, quindi, quello che chiamiamo problema etico del quale era parte il rapporto, quasi sempre problematico, fra sfera divina e sfera umana.

La tragedia promuoveva, in qualche modo, la ricerca di senso attraverso l’implementazione del dolore nelle sue declinazioni di significato, l’orrore del delitto a cui spesso i protagonisti erano indotti, il sacrificio per amore, ma anche e soprattutto il dominio della morte, Thanatos, una morte concepita come catarsi, modellata dall’eroe che affronta gli eventi e paga il fio delle sue azioni.

La commedia, dal greco odé Komos (festino), Canto della baldoria, veniva invece considerata genere minore, essa infatti sfugge ai grandi temi che scuotono la coscienza umana per occupare, al loro posto, con fare giocoso e provocatorio, lo spazio della denuncia dei vizi del tempo.

Si potrebbe, a questo proposito ricorrere alla famosa locuzione latina di Jean de Santeul dicendo che l’autore delle commedia “castigat ridendo mores”.

La commedia aveva, infatti, un forte carica di polemica civile e politica, infatti non si fa scrupolo di prendere di mira importanti personaggi pubblici, disvelandone le debolezze ma anche le correnti depravazioni, la corruzione, diffusa anche nel mondo greco, il malcostume, le perversioni che erano tante, il traviamento soprattutto dei giovani – ricordiamo che questa fu l’accusa rivolta a Socrate – l’immoralità, il libertinaggio, la scostumatezza, il disordine, l’abuso.

Ma non erano solo i potenti dell’epoca ad essere presi in giro, vittime di questo gioco pesante e, in qualche caso, offensivo, potevano essere anche i molti sapienti, che numerosi popolavano il mondo greco, quelli che oggi chiameremmo “mostri sacri”, e le loro scuole.

Non è un caso infatti che, perfino, il saggio per eccellenza, parlo di Socrate, fosse stato, nella commedia Le Nuvole, vittima della graffiante ironia di un Aristofane che, come sappiamo, è stato il più famoso dei commediografi greci

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