Teatro
Il teatro fa bene, Eni lo porta in Mozambico
Ce lo chiediamo ogni volta: il teatro fa bene? Sull’efficacia – mediata o immediata – della prassi teatrale si discute da secoli. A partire dalla famosa “catarsi” aristotelica, che non si è capito mai, in fondo, cosa sia. Però è innegabile che il teatro abbia un suo modo per “colpire”, per cambiare, possibilmente in meglio. Cambia chi lo pratica: l’uomo che si fa attore innegabilmente raggiunge livelli di intensità, di energia, di ascolto e consapevolezza unici. Non è un caso che il percorso di grandi maestri del teatro – Jerzy Grotowski, Peter Brook, Eugenio Barba – si sia indirizzato e forse evoluto in una ricerca “spirituale” dell’individuo attraverso il teatro.
Ma il teatro fa bene anche a chi lo riceve: agli spettatori, insomma. Dall’incontro tra due comunità – quella degli attori e quella del pubblico – scaturisce sempre (o quasi) qualcosa di diverso: uno scambio di energie, di saperi, un dialogo che porta lo spettatore altrove. È questa la famosa catarsi? Non so: sta di fatto che non si esce mai indifferenti da uno spettacolo, nemmeno dal più noioso. Ed è bello scoprire che “Il teatro fa bene” è il titolo, immediato ed efficace, che Jacopo Fo ha voluto dare a un progetto davvero significativo.
Si tratta, per dirla in breve, di dar vita ad una azione di informazione e sensibilizzazione sanitaria, attraverso il teatro, nel nord del Mozambico. Il meraviglioso paese africano, infatti, patisce ancora oggi un tasso di mortalità infantile e neonatale elevato, e altrettanto alta è la percentuale di decessi in maternità. Dunque, attori e attrici mozambicani saranno chiamati a prestare la loro arte per parlare di salute e alimentazione, d’igiene e sanità nel distretto di Palma, città della zona Nord del Paese.
È bello, no?
Una simile prospettiva dà forza a tutti noi che di teatro, a vario titolo, ci occupiamo. Sono diverse le iniziative di questo tipo, tutte parimenti meritevoli: e vale la pena segnalarle. Torna in mente la coinvolgente pagina del teatro Agit-Prop, il teatro “di agitazione e propaganda”, fatto dai volontari nella Russia post-rivoluzionaria: andavano ovunque, nella periferia di quello sconfinato ex-impero, a insegnare la coltivazione dei campi, la prevenzione sessuale, i valori della conquistata libertà. Diventati ben presto invisi all’ortodossia del Regime, quelli dell’Agit-Prop usavano la clownerie, piccole scene improvvisate, il divertimento e il coinvolgimento della popolazione locale, chiamata a raccontare e a confrontarsi con l’entusiasmo degli attori volontari.
Per “Il teatro fa bene”, l’approccio è simile: gli attori del Mozambico, guidati dallo staff di Jacopo Fo e della Libera Università di Alcatraz, puntano al divertimento per coinvolgere. La risata, la gioia del teatro – innegabile il magistero di Dario Fo – sono le password, le porte d’accesso per entrare in comunicazione, per spiegare e raccontare. Dunque, un gruppo di sette attori selezionati in Mozabico si formerà a Gubbio, negli spazi suggestivi di Alcatraz, per circa un mese, nel corso di due stage. Incontreranno attori italiani, registi, videomaker, drammaturghi e sceneggiatori.
Le dinamiche poetiche saranno quelle della Commedia dell’Arte, delle maschere, della musica e del canto: curiosamente, la più tradizionale e affascinante forma teatrale italiana, quella dei Comici, si specchia nella cultura teatrale mozambicana. Nel paese lusofono, infatti, si è sviluppata una forma di “danza della maschera”, il cosiddetto Mapiko, praticata nel nord del Mozambico dai Maconde, un’etnia che abita l’omonimo altopiano tra i distretti di Mueda, Muidumbe, Nangade, Mocimboa da Praia, Macomia e Palma.
Ancora oggi, in tutto il Paese, il Mapiko viene danzato spesso, soprattutto in occasione di riti di iniziazione, o la domenica e nei giorni di festa. «Il Mapiko – scrive Vitor Raposo, direttore del Centro Tambo Tambulani Tambo di Pemba – riprende miti e credenze antichi, risalenti a quando gli uomini della tribù cercavano di ristabilire un predominio sul matriarcato di allora: le donne godevano infatti di maggior prestigio in quanto coltivavano i campi ed erano portatrici di vita. E allora ecco che nel Mapiko un danzatore rappresenta lo spirito di un “diavolo” che giunge per far del male soprattutto alle donne e che può essere sconfitto solo dagli uomini. Ancora oggi le donne, pur apprezzando la danza, temono il demone ed evitano di avvicinarsi al lípico (il ballerino mascherato)».
Dunque, Diavoli del Mozambico e Zanni italiani si incontrano negli spazi di Alcatraz: a Jacopo Fo e al suo staff il compito di farli dialogare. Poi, una volta allestito lo spettacolo, i sette protagonisti partiranno per la tournée autunnale: gli organizzatori valutano un pubblico di circa 25mila spettatori.
Farà bene, questo teatro?
Ad Alcatraz ci credono. E con Jacopo Fo ci credono anche Eni Foundation che ha dato l’imprescindibile sostegno finanziario, organizzativo e ideativo, in collaborazione con “Medici con l’Africa Cuamm”.
Perché poi, quel che più ci preme è che il teatro non serva solo a chi lo fa o a chi lo riceve. Ma che tocchi, che arrivi ad un altro livello di “efficacia” che è quella cui sembrano guardare i promotori di questa iniziativa. Ed è una efficacia più ampia, storica e culturale. Il teatro fa bene alla società, al nostro modo di essere uomini e donne in questo mondo. Il teatro cambia – può cambiare – il mondo, renderlo un pochino migliore. Lo diceva il vecchio Bertolt Brecht: attraverso il cambiamento dell’individuo, contribuire a cambiare la società. Dal Mozambico potrebbe venire, molto presto, una conferma.
Per maggiori informazioni: www.ilteatrofabene.it
(Contenuto prodotto in collaborazione con Eni)
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