Teatro

I maestri e le margherite in Puglia

29 Novembre 2016

È una interessante fase di transizione quella che sta vivendo la Puglia, da non leggere per forza negativamente. Un territorio teatralmente fertile (basti ricordare che da qui vengono Carmelo Bene e Eugenio Barba), lanciato negli ultimi anni anche grazie a politiche mirate e oculati investimenti sul territorio – ma non senza passi falsi: ne scrive qui, con dovizia, Alessandro Toppi – oggi si confronta con un cambio alla guida della Regione e con la volontà di disegnare nuovi scenari e piani strategici in cui centrale sembra restare (o speriamo resti!) il teatro. In questo fermento, non sempre agile, è bello ritrovare punti fermi in un agire teatrale che è progettualità e concretizzazione.

Tra i non molti, è il caso di Carlo Bruni, da tempo organizzatore, regista e oggi alla guida del teatro di Bisceglie. Instancabile, sempre aperto a proposte che guardano con cura al territorio di riferimento e al futuro, Bruni ha fatto del Teatro Garibaldi un vivace luogo di incontro. In apertura di stagione, sempre in collaborazione con il circuito territoriale, Teatro Pubblico Pugliese, Bruni ha dato spazio a una breve ma intensissima rassegna dal titolo Maestri e Margherite. Chiama in causa Bulgakov non tanto per il patto con il diavolo (per quanto Bruni abbia l’aria del sornione gatto Behemot) quanto, piuttosto, per articolare un’offerta con tre “maestri” cui fanno da contraltare altrettante margheritine, ovvero gruppi giovani e giovanissimi della scena pugliese.

Il pubblico davanti al Teatro Garibaldi di Bisceglie
Il pubblico davanti al Teatro Garibaldi di Bisceglie

Nella prima giornata ci sono toccati in sorte tre spettacoli, diversi per taglio ed esito. A partire, infatti, da Chiedi se mi riconoscono, l’omaggio all’intensa figura di Don Milani, diretta da Cosimo Severo: lo spettacolo parte da una buona intuizione, ovvero raccontare il rapporto non facile di Lorenzo Milani con la madre, una straordinaria figura di donna (ben interpretata da Nunzia Antonino), ma poi si perde in qualche rivolo di troppo e in un moltiplicarsi di segni che non risolvono ma anzi appesantiscono. Sospeso tra agiografia del prete di Barbiana, cronaca dell’epoca e ritratto intimo, lo spettacolo rischia infatti di girare un po’ a vuoto, alla ricerca di una linea più decisa e risolutiva. Di non breve durata, soprattutto per un pubblico di adolescenti, Lorenzo Milani ha però il merito di portare alla luce pagine importanti della storia recente.

Arianna Gambaccini
Arianna Gambaccini

Ha una sua identità, e una sorprendente forza il monologo Certi giorni, praticamente opera di debutto della compagnia Kilkoa Teatro, con una brava Arianna Gambaccini, anche autrice. Questa storia ha il sapore della provincia marchigiana, di quell’angolo di terra sospesa tra l’Umbria e la Romagna, e risuona in una cadenza smaccata, che scivola lieta nel dialetto. Ed è l’eco di una vita semplice, comune, fatta di piccole soddisfazioni e di tante frustrazioni, di appagamenti superficiali e di illusioni condivise. La casetta ben arredata, con tutti gli oggettini a posto – a partire dal detestabile angioletto di Thun – con il tran tran che viene raccontato non senza ironia. La Gambaccini ha garbo nel giocare un testo (a tratti però sovraccarico) che è facile specchio di tante vite: per chi ha conosciuto l’enorme provincia italiana è facile ritrovarsi. E, chiaramente, impastati come siamo di quella piccola borghesia perbene (e perbenista) non possiamo non sorridere di fronte a quel personaggio, a quel mondo che Certi giorni smaschera quasi con affetto. Poi, però, con una sterzata notevolissima, lo spettacolo prende una piega amara, amarissima: dietro il mondo rosa confetto della protagonista si apre un baratro. È il passato che ritorna, in una forma distorta e violenta; è la cronaca che si impone, e di quel candore non vi sarà più traccia. Ancora da sistemare, Certi Giorni è però una margherita destinata a fiorire.

Arturo Cirillo, foto di Alessandro Cecchi
Arturo Cirillo, foto di Alessandro Cecchi

In chiusura di giornata, il Maestro è Arturo Cirillo che, nello spazio ben riadattato di una chiesa sconsacrata, dà corpo e anima a Rosalinda Sprint, trans romantico e struggente creato dalla penna di Giuseppe Patroni Griffi con Scende giù per Toledo del 1975. Monologo intensissimo, dolente eppure comico, ridanciano e grottesco, folle e amaro, che è uno spaccato di vita implacabile, un racconto che è sogno e incubo impastato in un fluido monologo che si apre però a dialoghi surreali quanto cinici.

Il lavoro, prodotto da Marcheteatro, è in tournée già da tempo ed è stato molto ben recensito (qui una bella pagina di Maria Grazia Gregori per delteatro.it).

A noi resta, dunque, il piacere di uno spettacolo di raffinatissima fattura, con un interprete che gioca sapientemente tra generi e toni, passando agilmente dalla commedia al dramma fino alla tragedia più cupa. Disperata vitalità, per questa creatura fragile che evoca quella Jennifer di Ruccello, che pure Cirillo aveva allestito anni fa con grande esito.

foto di Alessandro Cecchi
foto di Alessandro Cecchi

Ma sempre, Arturo Cirillo, elegante e bellissimo, sembra tenere un velo di dolore incombente, come di un grumo, di un groppo che sia lì lì per spezzarsi, per sgretolarsi: si trincera – la sua Rosalinda – dietro un sorriso e mille desideri, ma il suo bisogno d’amore esplode inatteso travolgendo tutto e tutti. La quieta restaurazione finale è nel ritorno alla vita sconsolata di sempre: con il gesto ingenuo e struggente di ridipingere la microcasa per, chissà, provare ancora una volta a rinnovarsi un po’, oltre la sconfitta eterna, oltre la disperazione che non dà respiro.

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