Teatro
Genova, la resistenza alla crisi si costruisce a teatro
Che Genova sia in crisi, come tante altre città d’Italia, lo si sa da tempo. Il caso di Banca Carige, con il conseguente impatto sull’omonima fondazione, parla chiaro. Eppure, nonostante le mille difficoltà, la vita teatrale è molto ricca. C’è un fermento di proposte, di iniziative, di curiosità (e di lavoro) davvero sorprendenti per intensità e qualità.
E se l’immaginario collettivo è rimasto legato ai carrugi raccontati dal volto mesto e affascinante di De André, e se pure tutti noi che andiamo a Genova facciamo sempre “la faccia un po’ così” prima di dedicarci a un piatto di trofie al pesto, si avverte che – almeno in scena – c’è una vera voglia di riscatto, un desiderio di fare, di aprire nuovi orizzonti.
Basta dare un’occhiata alla programmazione di questo fine settimana per scoprire un florilegio interessantissimo di proposte. Lo racconta bene Laura Santini su mentelocale.it (qui): appuntamenti da non perdere al Teatro della Tosse (che ha ospitato il lavoro di Aurélien Bory) o all’ottimo festival “Testimonianze ricerca azioni” di Teatro Akropolis; al Teatro Cargo con il lavoro di Letizia Russo e Laura Curino, o l’omaggio a Fausto Paravidino del Teatro dell’Archivolto.
Così, anche al Teatro Stabile di Genova qualcosa si muove. Fondato nel 1951, lo Stabile è stato una delle eccellenze della scena nazionale, da subito con un ruolo di primo piano, assieme a Milano e Torino, in quel triangolo industriale (e creativo) che è stato culla e fucina del teatro pubblico italiano. Negli ultimi tempi, però, si era un po’ spento, viveva sugli allori di quel prestigioso passato, troppo chiuso su se stesso. Tanto che nella recente riforma di settore, lo Stabile non è stato “promosso” a Teatro Nazionale, come appunto il Piccolo di Milano o lo Stabile di Torino, ma è stato nominato Teatro di Rilevante Interesse Culturale (Tric): una “bocciatura” che avrebbe scoraggiato molti, ma che invece sembra essere stata una scossa salutare per i teatranti genovesi.
Così, mi piace testimoniare questo fermento di primavera, questo rinnovato slancio. Dopo aver assistito alla bella edizione di Demoni, di Lars Noren (ne scrivevo qui) sono tornato sotto la Lanterna e ho trovato una bella vitalità sui due palcoscenici dello Stabile: alla Corte, il regista Marco Sciaccaluga aveva in prova Intrigo e Amore, dramma di Schiller (scritto a ventiquattro anni nel 1784, raramente allestito in Italia, al debutto martedì 12); mentre al Duse, il regista compositore Andrea Liberovici riprendeva, a distanza di venti anni, il suo Macbeth Remix, scrittura di un poeta come Edoardo Sanguineti sull’originale shakespeariano, mettendolo in prova con due giganti della scena come Elisabetta Pozzi e Paolo Bonacelli (debutta il 19 aprile).
Proprio la presenza dei due grandi attori mi spinge a una prima riflessione. Genova è stata, ed è, fucina di ottimi interpreti: dalla scuola dello Stabile sono usciti ed escono continuamente attori e attrici di qualità. Ed è interessante, allora, vedere una giovanissima Alice Arcuri protagonista di Intrigo e Amore (con un cast solidissimo, da citare almeno gli ottimi Tommaso Ragno, Andrea Nicolini, Orietta Notari, Simone Toni, Mariangeles Torres e con loro Roberto Alinghieri, Enrico Campanati, Marco Avogadro, Daniela Duchi, Nicolò Giacalone) e pensare già a lei come una Elisabetta Pozzi del futuro, in un’ipotetica staffetta all’insegna della qualità attorale.
Il passaggio da Schiller a Sanguineti, poi, mi fa riflettere su una seconda cosa: ovvero l’affannosa questione del repertorio e del classico. Un’opera – intensissima – di fine Settecento e un rimaneggiamento, un “travestimento” ipercontemporaneo della tragedia di Shakespeare possono andare allegramente a braccetto. E se il primo diventerà, nelle intenzioni di Sciaccaluga, un “concerto per attori” (con un piano scenografico adeguato), il secondo si può definire “due attori per un concerto”, ovvero un raffinato gioco su partitura originale dello stesso Liberovici, cui Pozzi e Bonacelli, danno chiavi interpretative degne di grandi musicisti della voce e della presenza.
Insomma, il classico, declinato in modalità diverse, vive serenamente di possibilità contemporanee, come deve essere. E comunque, in entrambi casi, a far da collante, da solide fondamenta, rimane centrale, direi sostanziale, la figura dell’Attore (e dell’Attrice), vera chiave di volta per ogni allestimento.
Non è un caso che da Genova sia emersa anche quella generazione di registi-attori che sono oggi tra i maggiori protagonisti della nostra scena (assieme a loro anche altri, ovviamente). Penso a Valerio Binasco, Jurij Ferrini, Filippo Dini che saranno nel cartellone della prossima stagione.
Ce lo svela il direttore dello Stabile, Angelo Pastore. Organizzatore di lungo corso, garbato nei modi e lavoratore instancabile, Pastore è sbarcato a Genova proprio quando lo Stabile è stato classificato Tric: il suo mandato è quello di arrivare nel novero dei Nazionali.
«Si può vedere il bicchiere mezzo pieno o mezzo vuoto – ci racconta – ma come ho detto più volte, le risposte si danno sul campo. Lo Stabile ha fatto un ricorso amministrativo, perché secondo noi c’erano irregolarità nella nomina a Tric, ma non è questo l’importante. Il nostro teatro ha 65 anni di storia, ma deve pensare al futuro. E credo che qualche cambiamento si cominci a vedere. Dalla nuova grafica, al nuovo sistema di prenotazioni, dalle diverse tipologie di abbonamenti agli accessi facilitati, fino all’uso dei social network: forse è maquillage ma sono segni per noi importanti. Poi ci sono i contenuti. Da marzo a maggio abbiamo dato una prova di quel che vorrebbe essere il nostro teatro. Vogliamo essere giudicati su queste scelte, che implicano una apertura alla città, alle altre strutture e all’Europa. Ad esempio, faremo un progetto con Caen e Liegi su testo e regia dell’argentino Rafael Spregelburd; abbiamo individuato in Tindaro Granata un artista con cui speriamo di fare un percorso assieme. Poi avviamo co-produzioni con il Festival delle Colline Torinesi, cercando di creare nuove reti. Abbiamo avviato collaborazioni con il Carlo Felice, con il Ducale, dialoghiamo con altri teatri per il Festival di Danza, che abbiamo chiamato 2.0, che si svolgerà in vari luoghi, compreso il porto antico. Abbiamo anche fatto un accordo con il carcere di Marassi, dove c’è un teatro: ci andremo a provare un bel testo di Gilberto Govi, con la regia di Ferrini, e forse ci porteremo anche spettacoli. Ed è in atto, infine, uno studio di fattibilità, per capire se, per il prossimo triennio, possiamo creare un soggetto nuovo tra noi e il Teatro dell’Archivolto: ci sono problematiche oggettive, ma sarà un tentativo serio, per non fare fusioni a freddo che non hanno senso. Insomma, dobbiamo rimboccarci le maniche. Finché possiamo, al di là della burocrazia, al di là delle difficoltà, cerchiamo di fare teatro. Proviamo a cambiare marcia, e ad aprirci. Un difetto di Genova è la scarsa propensione a raccontarsi bene. Anche le cose belle che accadono in città, e sono tante, rimangono qui: troppo chiusi su di noi».
Ecco, torniamo al punto d’inizio, a “Genova per noi”: all’immaginario, leggendario, che ancora oggi incanta, di una città scontrosa e bellissima, con la sua gente burbera e accogliente.
«Una città che ha problemi – dice ancora Pastore – e per certi versi è in decadenza, ma ha ancora grandi potenzialità. Soprattutto nei settori della cultura e turismo. Lo Stabile vuole fare la sua parte. L’idea è di rimettere in moto energie e entusiasmo. Ma tutto questo ha senso, però, solo se Comune e Regione si convincono di lavorare per un piano di rilancio complessivo».
Apertura, ricambio generazionale, razionalizzazione dei costi, investimento sulle produzioni: con un budget che non arriva 9 milioni di euro, lo Stabile di Genova cerca di mutare pelle. Di inventarsi un futuro.
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