Teatro
FuoriNorma e Wonderland: la vivace scena bresciana
Teatralmente parlando sembra che Brescia stia passando un periodo di interessante vitalità.
Intanto per l’attività del CTB, lo storico teatro pubblico che continua nella sua missione di spazio aperto alla drammaturgia e al miglior teatro d’attori, con una fucina di giovani di tutto rilievo. Ma la città esprime anche un tessuto fortissimo di esperienze teatrali legate alla marginalità, alla solidarietà e alla socialità. Merito non solo della presenza dell’Università Cattolica, da sempre attenta a certe problematiche, ma anche di una articolata rete di gruppi e artisti che opera con coraggio e entusiasmo nei territori del disagio e delle periferie.
Nei giorni scorsi, ad esempio, il Festival Fuori Norma, curato da Beatrice Faedi e dal gruppo Somebody-teatro delle diversità, è stato l’occasione per momenti di incontro e riflessione, che hanno portato a Brescia operatori di settore e artisti di tutta Italia – tra gli ospiti Nanni Garella, Gabriele Vacis, Antonio Viganò, Sandro Garzella, Francesca Mainetti e il bresciano Teatro19 ma anche la critica d’arte Anna Detheridge, il performer Nicola Fornoni e un’attrice stra-ordinaria come Elisabetta Pozzi, che ha letto le parole dello scrittore Flavio Emer.
Assieme a workshop e dimostrazioni di lavoro, dunque, il festival Fuorinorma ha presentato in città (proprio al teatro Sociale del CTB, la seconda sala cittadina dopo il Grande) alcuni spettacoli. Ho visto Santa Madera, magistralmente interpretato da Juan Ignacio Tula e Stefan Kisman già allievi del noto maestro Mathurin Bolze, che ha accompagnato la nascita di questo lavoro.
Creazione, come si dice, di “noveau cirque”, che unisce la fantasia dell’immaginifico con la potenza fisica e la verve acrobatica. Si tratta di una breve e semplice coreografia, dove il gesto acrobatico si incontra con la ruota Cyr, sorta di gigantesco hula hoop di metallo, strumento circense cui aggrapparsi, che diventa trapezio o trampolino o elemento drammaturgico e narrativo. È un vorticoso e inarrestabile gioco, dunque, che alterna prezioso virtuosismo e poesia, belle immagini e momenti narrativi, e che evoca – non solo per postura – la perfezione dell’uomo vitruviano.
Non è un caso che un simile lavoro appaia in un festival dedicato al disagio fisico. “Corpi e identità diverse, nei nuovi linguaggi dell’arte e della scena”: questo il sottotitolo del festival FuoriNorma, che è programmatico di un campo di ricerca, perché, come sostiene il critico Antonio Audino (a lui la curatela dei momenti di convegno del festival) il concetto di “abilità” è assolutamente relativo. Di fronte ai due giovani acrobati, dal fisico muscoloso e reattivo, siamo tutti, nessuno escluso, sicuramente meno “abili”. Scrive Audino presentando il festival: «Sembra interessante mescolare in un’ampia zona di spettacolo e di riflessione le varie dimensioni del nostro essere relativamente al saper fare/dire/pensare qualcosa. Mettere ulteriormente in crisi il sistema di certezze mostrando che la gamma cromatica del rapporto con il mondo ha infinite sfumature e che ognuno di noi è costretto quotidianamente a riformulare il proprio stare al mondo, misurando di continuo i territori di sicurezza e le zone di minore certezza».
Ben vengano, dunque, simili momenti di confronto e spettacolo, di studio e apertura. Di “teatro sociale d’arte” si parla sempre più diffusamente, intercettando fasce di cittadinanza diverse, chiamate al confronto con un teatro che si fa strumento per ipotizzare forme nuove di civiltà. Sappiamo quanto ne abbiamo bisogno: a mio parere, proprio su questo terreno si sta giocando una battaglia fondamentale, in cui il teatro può rappresentare un modello etico, sociale, politico dei prossimi anni. Ma non solo: in questa dinamica, la “scena del disagio” sta fornendo preziose indicazioni anche per rielaborare i codici delle scritture drammaturgiche, sceniche e performative con esiti spesso sorprendenti.
Ma, contemporaneamente, a Brescia scorreva parallelo anche il fiume più notturno del festival Wonderland, organizzato da Residenza Idra: un cartellone vivace e alternativo, giovane e giovanissimo, in cui scovare un teatro in divenire. Nella serata che mi è capitata in sorte, ho visto Vestimi bene e poi uccidimi, interessante attraversamento e riscrittura sul personaggio di Ofelia.
Due attrici, Federica D’Angelo e Ksenija Martinovic, ben coadiuvate dalla regia di Marcela Serli, sono figure speculari, quasi gemelle che sarebbero piaciute a Diane Arbus. Tra biomeccanica e decostruzionismo, lo spettacolo assume chiaramente le dinamiche della performance contemporanea: complessità, parodia, reiterazione, rottura sistematica della quarta parete, demistificazione, smontaggio del classico, evocazione biografica, codici della danza…
Il tutto però conserva un pathos sincero, una fresca adesione che fa del lavoro un curioso animaletto, ancora in crescita ma senza dubbio affascinante. Sono brave D’Angelo e Martinovic nell’autoironico racconto, entrando e uscendo da personaggi e situazioni, nel mettere acutamente al centro del racconto, in un crescendo inquietante, la condizione della donna. Ofelia diviene paradigma della condizione femminile contemporanea, della sopraffazione accettata e invece inaccettabile del maschile sul femminile, cogliendola (e svelandola) proprio nel classico. Bambina che patisce una “edu-castrazione”, come tante altre, Ofelia è “naturalmente” sottomessa al padre Polonio e al futuro marito Amleto. In questa chiave di lettura, non di retorica denuncia ma di approfondita riflessione, Vestimi bene e poi uccidimi ha una potenzialità notevole, ancora da esplorare.
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