Teatro
Francesca D’Ippolito: giovani organizzatrici crescono
È giovane, Francesca D’Ippolito, e motivata. In teatro si occupa di organizzazione e, da pochissimo, lo scorso ottobre, è stata eletta presidente della Associazione C.Re.S.Co, acronimo che sta per Coordinamento delle Realtà della Scena Contemporanea, un network che mette in rete, si legge sul sito progettocresco.it «compagnie di produzione, sale, teatri, residenze, festival, rassegne, artisti, critici, operatori dello spettacolo dal vivo, diffusi e attivi su tutto il territorio nazionale».
La incontriamo a Lecce, in occasione del Festival Kids (ne scrivevo qui), città in cui Francesca D’Ippolito vive. Ma quel che preme è parlare con lei della situazione, o forse dello stato di salute, del sistema teatrale italiano. Cosa vede e cosa pensa, Francesca D’Ippolito del comparto teatro? Quale la prospettiva dal punto di vista della presidenza di C.Re.S.Co?
«Penso spesso a quel che è emerso nella Proposta di documento conclusivo per l’indagine conoscitiva in materia di Fondo Unico per lo Spettacolo (FUS), emanata dal Parlamento. Vi si parla di un comparto frastagliato, con istanze specifiche, ciascuno concentrato nella propria realtà. In C.Re.S.Co abbiamo fatto molti tentativi per mettere assieme diverse sigle, realtà composite per dimensioni e istanze, ma sia avverte un senso di fatica. C’è, insomma, nel settore Teatro, una grande, diffusa difficoltà nel fare “massa critica”: viviamo in un clima di disgregazione che sembra richiamare il noto “divide et impera”. Faccio un esempio legato al tema della formazione, al rapporto tra teatro e scuola. In questo contesto C.Re.S.Co ha cercato di fare un percorso comune con altri organismi di rappresentanza su sollecitazione dello stesso Ministero Università e Ricerca – Miur – che ci ha invitato più volte ad essere maggiormente compatti, come è stato per il settore Cinema, tanto da ottenere una legge dedicata per il rapporto con la scuola. Il Teatro non riesce. E allora, se il Parlamento, il Mibact e il Miur ci dicono che il comparto Teatro è disgregato, forse dovremmo fermarci e, al di là delle sigle, delle strutture, delle associazioni, provare a riflettere assieme. Una piccola consolazione, quando C.Re.S.Co è andato in audizione presso la Direzione Generale dello Spettacolo, è stata sentirci dire che noi cerchiamo di esprimere una visione di sistema senza limitarci a rispondere solo a istanze particolari dei nostri iscritti: questo accade perché C.Re.S.Co è un arcipelago, composto da realtà davvero disomogenee, dunque è naturale cercare costantemente un minimo comun denominatore al netto delle differenze. Forse, però, servirebbe una visione di sistema e di studio per l’intero comparto».
Quale potrebbe essere il Minimo comun denominatore per il Teatro italiano?
«Quel che ripetiamo, come un mantra, è la necessità di investire sulla innovazione dei linguaggi e sul ricambio generazionale. Poi occorre tutelare adeguatamente chiunque operi nel contesto culturale e lavorare ai fini di un vero riequilibrio territoriale – che non è solo una “questione meridionale”. Infine, fondamentale, è la tutela dei lavoratori dello spettacolo. Ne abbiamo parlato più volte anche con il Direttore Generale dello Spettacolo, Ninni Cutaia: o si agisce in maniera congiunta tra più ministeri per creare un reale “statuto dei lavoratori dello spettacolo” – che preveda, ad esempio il regime dell’intermittenza, maggiori tutele, etc – o il sistema finisce per nutrirsi della creatività, ossia degli attori, senza mettere al centro il palcoscenico. Chi paga le conseguenze di un sistema irrisolto o malato sono infatti proprio gli artisti che, pur di andare in scena, pur di lavorare, accettano condizioni capestro: prove non pagate, repliche sottocosto, riposi non riconosciuti. E paradossalmente, più le strutture sono ben finanziate, più alto è il ricatto: se devi raggiungere i famosi “minimi” voluti dal ministero, accetti di fare repliche a ogni costo».
Contraddizioni che un comparto unito dovrebbe dunque, quanto meno, sollevare con voce forte. E in questo contesto, allora, che può vuole fare, che farà, C.Re.S.Co?
«Un collega di Direttivo, Turi Zinna, dice che C.Re.S.Co sta entrando nell’adolescenza, quest’anno compiamo infatti dieci anni. C’è stato grande entusiasmo iniziale, e oggi raccogliamo i frutti di quello slancio di partenza: penso all’accreditamento e alla interlocuzione ormai possibile con le istituzioni e con la politica. Abbiamo fatto tanta strada, tanto lavoro, per diventare un organismo riconosciuto e siamo ormai considerati interlocutori a tutti gli effetti nei processi che interessano il sistema dello spettacolo dal vivo. Questo è certo un punto importante, ma non sufficiente. C.Re.S.Co esprime un’identità politica e una poetica e quella da rafforzare è proprio l’identità poetica, ossia la voce degli artisti. Il progetto Lo stato dell’arte, del “tavolo delle Idee”) sta lavorando in questa direzione con ottimi risultati, poi recentemente ci è venuta in mente una bella follia: organizzare una “Residenza per pensatori”, ossia una vera pausa di pensiero – che avrà luogo presto a Villa Manin, a Udine, grazie a Rita Maffei e al Css. In cosa consiste? Stiamo componendo un gruppo di pensatori, filosofi, tecnici, artisti, aperto anche a persone non addette ai lavori – per esempio dal panettiere del paese alla parrucchiera – per ripensare assieme il Sistema Teatro, dimenticandoci per una volta quello attuale, con i suoi decreti ministeriali. È un gioco di immaginazione, di chi vuole reinventare il sistema e non perseguire l’ennesimo aggiustamento dell’esistente: da troppo tempo, tutti noi, sistemiamo, mettiamo toppe, chiudiamo falle. E invece proviamo a dimenticarci le parole note, e per questo chiamiamo a raccolta anche chi non c’entra niente con il teatro, per verificare se quel che diciamo ha un senso. Se è fondamentale, come crediamo sia. Non so: facciamo tanti discorsi tra noi su come portare “l’innovazione” ovunque, e poi magari scopriamo che invece esistono bisogni a cui non abbiamo prestato l’ascolto necessario. Dunque un gruppo composito di lavoro, di ascolto e riflessione, senza affanno e senza necessità di concludere nulla nell’immediato. Immaginare per tre giorni il sistema teatrale che vorremmo. E sarà la nostra proposta al ministero per il prossimo triennio».
E lei che sistema vorrebbe?
«Immaginiamo che spariscano tutte le tutele, le regole, i balzelli, i tassi: immaginiamo un sistema in grado di accettare veramente il cambiamento. Che possa avere il coraggio di riconoscere il Nuovo, quel che è realmente “non conosciuto”. Come si fa a conoscere il Nuovo? Una risposta immediata, anche banale, potrebbe essere la creazione di una Commissione che sia messa nelle condizioni, anche economiche, di viaggiare, di raggiungere tutto il territorio nazionale per vedere quel che accade e raccontarlo. Altrimenti si conosce sempre e solo il “già noto”. Certo, non dobbiamo cancellare il passato, l’esistente, i Grandi maestri cui tanto dobbiamo. Ma il nostro, lo sappiamo, è un Paese che non ha passaggi generazionali, è un “paese per vecchi”. Però ora, accanto ai soggetti “storicizzati”, sia in termini di persone che di strutture, potremmo cominciare davvero a dare spazio al ricambio. O almeno a una coesistenza, un co-housing tra i Big e quanti si stanno avvicinando al mondo del teatro. Tutto il “Nuovo”, ormai, si poggia sulle spalle di artisti e persone che hanno tra i trenta e i quaranta anni. Forse è il caso di dare davvero spazio alla novità…».
È sempre un punto delicato: che fare con i cosiddetti “giovani”? non è detto che tutto quel che è giovane sia per forza di qualità…
«Il tema degli “under 35” vede da tempo C.Re.S.Co molto impegnata. Non può bastare un articolo del DM che per tre anni finanzi una realtà giovane, se il sistema non è poi in grado di accoglierla dopo averla sostenuta. Ma c’è un altro aspetto delicato, le cosiddette “residenze trampolino” previste dall’Accordo di Programma relativo all’art.43 dedicato alle Residenze Artistiche. Quella del trampolino è una immagine pericolosa: il giovane artista, under 35, che non deve aver avuto collaborazioni professionali con altre strutture, che deve essere insomma alle prime esperienze e deve saltare da quel trampolino, rischia di non trovare acqua in cui tuffarsi! E dove salta? Verso l’abisso? Allora, si tratta di creare le condizioni per cui le giovani generazioni non debbano solo ricevere contentini, ma possano veramente formarsi, e stare dunque sul mercato – ammesso che esista un mercato».
Sembra di avere, invece, un mercatino delle pulci…
«Dove ci sono “giochi” fin troppo conosciuti. La speranza, al di là dei cambiamenti politici, al di là delle scelte di partito, se resta in piedi il Governo, è per il Teatro avere finalmente i Decreti Attuativi del Disegno di Legge Delega. La Politica si è impegnata in questo percorso e il comparto – ognun per sé, come abbiamo detto – è preparatissimo. Non unito, ma attivo. I Decreti sono urgenti: abbiamo esultato per la Legge di settore, arrivata finalmente dopo decenni, ma senza Decreti Attuativi non si non possono apportare dei veri cambiamenti. Da due anni ci diciamo disponibili a parlare dei Decreti. Speriamo sia la volta buona».
Il Festival Kids di Lecce ha ospitato un focus su “Teatro e disabilità”. Si parla di sociale, di integrazione, di nuovi linguaggi e accessibilità. C.Re.S.Co che ne dice?
«È un tema prioritario, che rientra nel contesto più ampio della Formazione. Quello del riconoscimento della professionalità del formatore è un problema nazionale che richiede grande attenzione. Ci sono grandi maestri in Italia che hanno dedicato la propria vita professionale alla pedagogia e al lavoro in contesti di disagio. Eppure, soprattutto nel mondo della scuola, non c’è nulla che tuteli la professionalità, non c’è un albo di formatori. Abbiamo lanciato dunque una raccolta firme per il riconoscimento della professionalità del formatore teatrale in tutti gli ambiti. Con questo documento, che presenteremo a breve al Miur, vogliamo fare in modo che venga garantita la qualità della formazione, soprattutto quando ci si confronta con migranti o disabilità, contesti in cui invece si riscontra tanta improvvisazione».
Altra questione aperta è quella femminile: la presenza delle donne ai vertici dei Teatri nazionali è ancora marginale…
«Il direttivo di C.Re.S.Co è composto negli ultimi anni da circa un 80 % di donne. Scherzando, tempo fa una collega mi rispose che questo è possibile perché non ci sono in ballo economie! Comunque, ci sono state tre presidenti donna: Roberta Nicolai, Laura Valli e ora io. Ma la questione riguarda il ricambio tout court, sia di genere che generazionale. Nel settore della Organizzazione teatrale incontro da anni prevalentemente colleghe su tutto il territorio nazionale, che portano avanti con il proprio lavoro le strutture: eppure poche di noi donne vanno oltre la dirigenza e raramente si arriva alla direzione o alla presidenza di una struttura teatrale nazionale. Il “direttore” è uomo, e circondato spesso da uno staff efficientissimo tutto al femminile. Ma voglio aggiungere qualcosa: dobbiamo ricordare che secondo le indagini dell’inchiesta “Vita d’artista”, il 90% del campione statistico, tra gli under 35, artisti e organizzatori, vive con un reddito medio di 5mila euro l’anno. Ovvero la soglia di povertà. Come si fa a progettare una vita, a vivere, con queste economie?»
Quali sono gli altri temi all’ordine del giorno?
«Stiamo lavorando sull’internazionalizzazione, non solo come ricerca di mercati “altri”, ma come ampliamento dei confini. Ci interroghiamo sull’Etica, da rimettere al centro della nostra attività. Poi ci confrontiamo su temi come la sostenibilità, tra esperienze e speranze per un mondo che vive anche senza il Fus. Infine, la questione fondamentale che abbraccia tutto e tutti: è il momento in cui, oltre al sistema, dobbiamo pensare a che responsabilità politica ha l’arte in tempi di rischio democratico. Al di là dei finanziamenti, dobbiamo alzare lo sguardo e uscire dalla “confort zone” del Teatro e chiederci cosa possa fare un comparto che si dice e si racconta come politico. Dobbiamo capire che posizioni prendere. Il teatro non può svolgere tutte le funzioni che lo stato trascura. Ma che il comparto, o quanto meno una gran parte di esso, resti muto di fronte al rischio di democrazia che viviamo a livello internazionale è per me e per noi di C.Re.S.Co abbastanza grave».
Ultima domanda. Lei è figlia d’arte. Suo padre è Franco D’Ippolito, manager teatrale ormai di lungo corso, direttore del Teatro Metastasio, Stabile di Prato. Che effetto fa? Quali motivazioni l’hanno spinta a affrontare questa vita?
«Ho fatto la guerra con me stessa per non fare teatro. Mio padre, la moglie di mio padre, i miei cugini: tutti a teatro. Io invece ho studiato filologia classica, però ho scritto la tesi di laurea sui finanziamenti pubblici per il teatro nell’Atene del V secolo a.C., con una appendice dedicata al contemporaneo e al Fus. Ho fatto l’insegnante di italiano per stranieri, poi ho deciso di andare a fare la supplente di latino a Bolzano. E stavo partendo. Ma in quel momento Federico Tiezzi mi ha chiesto di collaborare in veste di filologa al “De Rerum Natura” con Roberto Latini. Dovendo scegliere tra il latino e Latini, ho scelto il teatro… Adesso a volte penso con nostalgia a un lavoro “vero”, ma è talmente forte la voglia, la presunzione di riuscire a cambiare le cose, di combattere la battaglia assieme ai miei compagni di lavoro, di partecipare a un processo in atto, che sento di non poter più scappare dal teatro. Ed è lo stesso motivo per cui resto a lavorare in Puglia, senza cercare situazioni più comode».
E che teatro ci sarà, tra dieci anni?
«Non vorrei risultare presuntuosa, ma immagino “meno” e con più qualità. Immagino artisti che non siano costretti, obbligati a produrre continuamente novità e che possano invece avere più tempo per provare, studiare, migliorarsi, far crescere la qualità. C’è una iper-produzione che è sfruttamento, e al tempo stesso sono pochi gli spettacoli che veramente restano nel ricordo e nel tempo. Vediamo tante cose, ma sono rare quelle davvero imperdibili. Dunque meglio meno produzioni, ma più libertà, più qualità dei processi, e forse più senso…».
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