Lavoro

Esilio. O dell’umanità perduta

12 Febbraio 2018

Dove si perde un’anima in esilio? Cosa rimane a chi – perso il lavoro – non ha più un posto nella società e finisce “fuori dal tempo”? Mariano Damacco e Serena Balivo (premio UBU 2017 come Miglior attrice under 35) hanno provato a non rispondere a questa domanda, raccontando una storia di ordinaria disoccupazione attraverso i mutevoli e repentini cambiamenti dell’animo di chi, da un giorno all’altro, si ritrova “buttato”. In scena una figura statuaria – l’anima – che commenta, coro greco al singolare, un fatto interiore che si universalizza, e un protagonista, commovente marionetta umana, che si agita per l’intera pièce in pochi metri di spazio, ricavato su un piccolo palco di legno.

La tragedia incontra la commedia dell’arte e forse soltanto in questo modo poteva essere affrontato, in modo originale e mai autocommiserante, il dramma della disoccupazione. Una malattia contemporanea che, poco a poco, divora tutto quanto c’è di umano nell’uomo: la dignità, il rispetto per sé stessi, le relazioni, i progetti e i sogni per il futuro, la casa, la lucidità mentale e infine l’anima.

“Mi hanno buttato” esordisce il protagonista “Come una cosa”.

E suona incredibilmente famigliare la scena del plotone d’esecuzione di una (piccola o grande) impresa che, schierato, racconta, attraverso un copione sempre uguale, le difficoltà in cui naviga il settore, la precaria situazione del mercato, l’incertezza che colpisce anche chi è ai vertici e che – suo malgrado, controvoglia e con grande sofferenza – si vede costretto a licenziare. Una sofferenza comprensibile, non fosse per gli sguardi distratti, il telefono sempre in mano e l’evidente contraddizione di chi parla di una crisi globale e prospetta al “licenziando” nuove strade e “portoni che si aprono” davanti a lui.

Nessun portone si apre, nemmeno il più piccolo degli spiragli, e la sola cosa che cresce, per tutta la durata della rappresentazione, è l’ansia del protagonista, il suo bisogno di trovare una risposta, di avere un giusto processo perché – se una punizione tanto gravosa è piombata su di lui – dev’esserci una motivazione altrettanto importante. Il percoso allora diventa esistenziale e dalle domande sulla propria utilità sociale si passa al senso di una vita, allo scopo di stare al mondo. Amori, amici, famiglia non sembrano voler partecipare alla ricerca di una risposta: chi non riesce a voltarsi dall’altra parte risponde sbrigativamente con ironia e finto ottimismo.

Nessuno ha tempo per chi è fuori dal tempo. La vita urge, con i suoi impegni professionali, i figli, la casa, gli hobby e il tempo libero.

Tutto è pensato in funzione di un mondo “occupato”, anche un rapido “Come stai?” che non presuppone mai una vera risposta. Una commovente Serena Balivo, malinconica erede del Chaplin di Tempi Moderni, si aggira come persa sulla scena. Non sono gli ingranaggi della fabbrica a schiacciare il personaggio, non è il capitalismo, ma – a settant’anni dal film di Charlot – la sua crisi o, direbbe qualcuno, le sue estreme conseguenze. Le emozioni, volutamente riportate in modo caricaturale, si susseguono in un ritmo accelerato e, solo per questa ragione, fanno sorridere, ma è un riso amaro, anzi amarissimo, pieno del senso di una fine. E proprio l’epilogo, con il suo stridente accostamento fra “lieto scioglimento” da un punto di vista sociale e tragica presa di coscienza di una morte spirituale, spegne qualsiasi sorriso possa essere nato nel corso della rappresentazione. Non è solo l’esilio di un uomo quello rappresentato in scena e nemmeno di un’anima, così statuariamente interpretata da Mariano Damacco, capace di rendere marmorea un’essenza invisibile, ma l’esilio di un’intera umanità, della sua cultura, del suo essere umana e pensate, del suo senso d’intimità. Tutto va bene, l’ordine è ristabilito, e poco importa se, sacrificata sull’altare della rassegnazione, sia venuta meno la dignità dell’individuo. Non c’è via d’uscita, non c’è alcun intento consolatorio.

Nulla da aggiungere al dramma umano di una contemporaneità schiacciata fra due mondi: quello di chi viene “buttato” e costretto a vivere fuori dal tempo e chi del tempo è vittima, immerso in un costante flusso di cose da fare per non finire buttato.

Esilio è un’opera che dovrebbe essere proposta come corso d’aggiornamento ai dirigenti d’impresa, ai responsabili del personale, agli orientatori, ai vari CEO ed “Head of” delle aziende. Potrebbe essere un principio di cura, ma – come spesso accade – queste cure vengono auto prescritte a chi già conosce la diagnosi e l’infausta prognosi. Per tutti gli altri rappresenta una perdita di tempo o, forse, una presa di coscienza che, in fondo, non si vuole affrontare. Perché guardare alle persone, oltre lo schermo, è quanto di più pericoloso possa esserci per quel sistema in cui ogni giorno, più o meno consapevolmente, operiamo, credendo si tratti di una libera scelta.

 

ESILIO

con Serena Balivo e Mariano Dammacco

ideazione, drammaturgia e regia Mariano Dammacco

con la collaborazione di Serena Balivo

cura dell’allestimento Stella Monesi

luci Marco Oliani

produzione Piccola Compagnia Dammacco

con il sostegno di Campsirago Residenza

con la collaborazione di L’arboreto Teatro Dimora di Mondaino

e di Associazione CREA/Teatro Temple, Associazione L’Attoscuro

Serena Balivo vincitrice del Premio Ubu 2017 nella categoria “Nuova attrice o performer”

Spettacolo vincitore Last seen 2016 (miglior spettacolo dell’anno su Krapp’s Last Post)

Spettacolo vincitore del Primo Premio Museo Cervi – Teatro per la Memoria 2017

Spettacolo finalista al Premio Rete Critica 2016

Spettacolo finalista al Premio CassinoOFF 2017

Spettacolo Selezione In box 2017

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