Teatro
Emma Dante: tutti nudi a fare i conti con il teatro
Alla fine ho visto anche Bestie di scena, l’ultimo spettacolo di Emma Dante: quello, per intenderci, dei 14 attori e attrici tutti nudi sulla scena. Una strana sensazione – non la nudità, che scandalizza ormai solo quelli cui dà gusto fare i moralisti – ma lo spettacolo stesso, poiché suona quasi come un amarcord, un best of, un ricordare con nostalgia e rabbia il decennio passato. Per chi, come chi scrive, ha visto tutto o quasi il percorso della regista palermitana, questo lavoro fa lo strano effetto che fece la ripresa del Giulio Cesare di Romeo Castellucci.
Sono “quadri di un’esposizione”, un montaggio di “pezzi staccati”, un accostamento per numeri o attrazioni che allinea (in parte aggiornandoli, in parte semplicemente evocandoli) alcune tra le visioni migliori della Dante. Allora quest’opera si compone di frammenti, di briciole raccolte da sotto un tavolo, di schegge di una memoria impazzita che riallinea confusamente o liberamente tracce del passato recente. Non sono fossili, no: semmai figurine, vecchi giochi che si trovano in fondo a uno scatolone nascosto in cantina. Il solido gruppo di performer, dunque, prende letteralmente vita in queste combinazioni sottratte all’oblio: una costellazione di azioni, che fanno brillare, qua e là, il ricordo del tempo passato. Ecco, insomma, che queste schegge di sogno si compongono dolcemente sul palco, una dopo l’altra e contemporaneamente danno vita a qualcosa d’altro.
Nelle tessere sconnesse del mosaico in divenire, riconosciamo i volti e i corpi in scena: gli “storici” del gruppo, come Italia Carroccio, Sabino Civilleri o Alessandra Fazzino, presenti già nei primissimi lavori di Emma Dante. E poi quelli che successivamente sono entrati nell’universo creativo della regista e della compagnia Sud Costa Occidentale, come ovviamente Carmine Maringola, Sandro Maria Campagna, Elena Borgogni e con loro in scena sono Viola Carinci, Davide Celona, Roberto Galbo, Ivano Picciallo, Leonarda Saffi, Daniele Savarino, Stephanie Taillandier, Emilia Verginelli
Quindi si dipana la prospettiva compositiva: con la schiera, innanzi tutto, ossia quell’esercizio di gruppo che consiste in un semplice camminare allineati avanti e indietro, a destra e a sinistra e, in quel ritmo scandito, cominciare a trovare spazio per le connotazioni fisiche dei personaggi. Qui la schiera è addirittura coreografata, ironicamente danzata. E nelle belle luci di Christian Zucaro, infine, arriva il nudo, la prospettiva sfacciata ed evidente dei corpi allineati in proscenio: fisici diversi, perfetti o meno, uno accanto all’altro a mostrare la fragilità umana, quasi da cacciata dal paradiso terrestre di Masaccio.
Ma ecco quelle scene, già viste, che tornano dal passato come dal buio: il gioco del Fort/Da caro a Freud, l’apparire dal buio e tornare nel buio. Lo yoyo emotivo e sentimentale che Emma fa per sé e per il pubblico. Evoca il “miracolo dell’acqua” di mPalermu, con l’eterna tanica da condividere; la “scimia” del sempre bravissimo Civilleri, il carillon della Favola di Farrusca e Cherastani con la Fazzino (del 2001), il tirarsi gli stracci da uno all’altro di Carnezzeria, il girotondo circense e molto altro.
Questo recupero di situazioni compone un collage di intensità varia, altalenante, che dà allo spettacolo il ritmo ondivago, di faticosa ricerca di senso. Proprio qui, infatti, si fa più oscura la vicenda di Bestie di Scena. La prima cosa che cogliamo, smaccata, è la metafora metateatrale, suggerita nelle note dalla stessa regista: la comunità sparuta e spaurita di attori alle prese con “esercizi” – dal training in poi – imposti dall’alto o dall’esterno: va detto, infatti, che la chiave di volta dello spettacolo è nel gioco che si instaura tra la scena e l’osceno, tra quel che si vede e quel che si cela dietro le quinte. Da “fuori”, infatti, arrivano gli oggetti con cui sono chiamati o obbligati a interagire gli attori: dalla citata tanica a dei veli con cui coprirsi o asciugare il palco, da noccioline da sgranocchiare a tric e trac che fanno sussultare con le loro esplosioni, dai palloni alle scope. Il punto, però, almeno per me, non è tanto come “reagiscono” gli attori e le attrici – pronti a tutto, generosamente, a danzare o a lottare o a buttarsi in terra o a saltare – quanto il non visibile, quello che c’è dietro. Ovvero la regia.
Emma mette in scena se stessa sottraendosi. Si denuncia e si condanna come colei che “lancia”, letteralmente, stimoli (e poco importa che siano due tecnici-interpreti a farlo, Daniela Macaluso e Gabriele Gugliara, come scopriamo agli applausi finali). Una volta formato il gruppo, insegnato a “camminare”, a vivere nello spazio buio del palco, dopo aver sparato tutti i fuochi d’artificio a disposizione, cosa resta?
Gli attori, in scena, saranno condannati a ripetere nevroticamente le proprie “maschere”, la propria dimensione interpretativa, in una reiterazione febbrile, in un susseguirsi spasmodico e svuotato del “ruolo” imposto: uno con la spada, l’altra con la bambola, l’altro ancora con l’animale. E poi? Sembra quasi che Emma Dante si chieda, attraverso questo spettacolo, come tenere viva la creazione. Come scuotere, sempre di nuovo, la piccola comunità umana che la circonda. Con violenza e con amore, come ha sempre fatto, ma oggi forse non basta più.
In Bestie di scena, non si avverte pathos o tragedia. Tutto è freddo, algido, muto. E le note languide di Only you dei Platters sono solo il parossismo di una contraddizione sentimentale: se avesse voluto, ci avrebbe fatto piangere, come Emma Dante sa fare – elaborando il rito e il lutto, lo struggimento e il dolore. Invece tutto si tiene distante, appena accennato: quasi un entomologo alle prese con le corazze schiantate di creature che ha fin troppo studiato. Non c’è la tonica elasticità dei performer di Jan Fabre, né la perfezione tecnica di una Sasha Waltz: non è quello importante, per una simile umanità. Ci sono i “suoi” attori, c’è la “sua” storia.
Poi, volendo, potremmo suggerire un altro possibile piano interpretativo, più astratto, più teorico (o critico) che porta a identificare il pubblico, ossia noi in platea, con quello spaccato sociologico e antropologico che (ci) rappresenta sul palco. Anche noi, qua, cittadini italiani “rassegnati a tutto”, reagiamo meccanicamente alle caramelline che il potere ci dona, saltiamo solerti e zelanti non appena intravediamo il nostro quarto d’ora di celebrità, ci adeguiamo e ci mortifichiamo, sogniamo e ci disincantiamo. Animaletti, siamo, nello zoo del nostro tempo: ci pavoneggiamo e ci osserviamo diffidenti, senza accorgerci che i giochi – quelli veri – sono fatti al di sopra delle nostre teste, lontano, nel buio del “dietro le quinte” di una politica da corridoi, da sporting club, da circoli canottieri, da salotti bene nei quali non saremo mai ammessi. E restiamo là, con le scope in mano, a pulire lo sporco, fino a che non impazziamo. Sentendoci in colpa, costretti a metterci in discussione per i nostri fallimenti, convinti finalmente di essere noi a sbagliare e non il sistema ad essere sbagliato. Ma mi rendo conto che tale metafora è appiccicaticcia, frutto di una prospettiva politica che probabilmente non è neppure dello spettacolo.
Bestie di scena – prodotto anche dal Piccolo, con il Biondo di Palermo e il Festival di Avignon – ha avuto uno straordinario successo a Milano ed è stato applaudito anche nella capitale, ma evidentemente è uno spettacolo di passaggio, una tappa umana e sentimentale per la regista che fa i conti con il proprio immaginario. Scenicamente, non uno dei pezzi straordinari cui ci ha abituato Emma – difficile tenere il ritmo del “capolavoro ogni volta”, tra lirica e prosa – ma posso pensare, forse azzardando, che per lei sia stato molto, molto doloroso frantumare, volutamente e scientemente, oltre venti anni di teatro.
All’uscita dal Teatro Argentina, affollato dopo la prima romana, ripensavo a Luca Ronconi a quanto e come si fosse “confessato”, svelato, più che altrove in un’opera considerata forse ingiustamente “minore”, quel Pornografia in cui probabilmente si identificava, e non poco, con il protagonista. Per Bestie di Scena, Emma Dante ha parlato di “omaggio agli attori” ma credo che, dissimulando, abbia in realtà messo in scena se stessa qual è stata fino ad oggi, e senza farsi sconti. Non ci resta che aspettare quella di domani.
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