Teatro

Edipo e il corpo “monologante” di Michele Sinisi

11 Giugno 2019

Cosa resta da raccontare di uno dei miti fondativi non solo della nostra cultura occidentale, ma della nostra conoscenza dell’io profondo delle persone? Può Edipo parlare un linguaggio nuovo, capace d’interrogare la contemporaneità in un momento in cui, dentro e fuori dalla scena, rispetto ai classici tutto sembra “già detto”? Una domanda a cui forse potrà dare risposta l’ultimo lavoro di Michele Sinisi, in scena l’11 e 12 giugno al Festival delle colline torinesi proprio con il suo Edipo il corpo tragico. In scena l’attore, accompagnato dallo scenografo Federico Biancalani, si misura con un mito che ha travalicato i confini stessi del paradigma culturale. Edipo tace in questo monologo e si mostra, attraverso un disvelamento progressivo di fisicità e intima riflessione, al pubblico, che viene così coinvolto in un percorso relazionale che molto deve alla sacralità del rito. Tutto si svolge nel contesto di un antico teatro anatomico, tempio del corpo per eccellenza, e a partire da questo spazio definisce il rapporto fra identità psichica e percezione fisica da parte dell’io osservante.

Abbiamo parlato direttamente con il regista di questo suo nuovo lavoro, per capire meglio chi sia il suo Edipo e quale relazione possa avere, con il suo “vissuto” millenario, con lo spettatore di oggi.

La prima domanda riguarda la scelta del soggetto e della modalità teatrale: come mai Edipo e come mai, dopo tanto lavoro su personaggi di forte carattere “relazionale” e “collettivo” – come i Sei personaggi pirandelliani – un monologo in cui è l’attore centro e cardine della scena?

Erano circa cinque anni che non lavoravo su un monologo di questo genere. Normalmente non amo andare in tournée da solo, ma questa occasione doveva essere uno spunto per capire meglio, per approfondire la relazione con il pubblico. Ho deciso di utilizzare non tanto la parola, quanto il corpo, proprio come una tavolozza, per poter esprimere le infinite variazioni di un archetipo – quello di Edipo – il cui corpo esposto rappresenta l’opportunità, per ciascuno, di approfondire il proprio desiderio di conoscenza. Edipo – piede gonfio – non solo per il trauma subito con l’esposizione in fasce, ma anche per il suo continuo andare, il suo cammino incessante animato dalla sete di conoscenza. Per noi oggi Edipo rappresenta un po’ un capro espiatorio, che va al di là della sua personale storia: nel suo spazio tragico esprime tutte le difficoltà di ricerca identitaria e – anche – sociale dell’uomo.

Un monologo su Edipo che, quasi per contrappasso, serve a creare gli spunti necessari per la costruzione di un senso di comunità?

Penso si possa dire così. Il corpo fa da mediatore, si espone, crea i presupposti per un ponte con lo spettatore. Si sviluppa insomma, proprio attraverso la riappropriazione della fisicità, contro alla parola esasperata che, oggi, in molti contesti “dematerializza” la persona, un legame di presenza che obbliga lo spettatore al confronto. Non c’è virtualità. Anche nel parricidio di Edipo, se ci riflettiamo, si esprime una componente di riappropriazione – con forza violenta – della forma individuale. Viviamo nell’epoca della parola, della narrazione: in questa pièce la parola si riduce a poche frasi, nel momento in cui Edipo e Creonte si confrontano e nasce l’ascolto.

Quindi la parola, asciugata e privata della sua eco contemporanea, può tornare ad esprimere un senso profondo, a riacquistare anche quel suo potere “rituale” spesso disperso nel chiacchiericcio costante?

Può farlo, ma attenzione, senza rassicurare, né spaventare. La parola diventa mezzo per far emergere ciò che il pubblico sa. Non esiste una verità da rivelare in questo Edipo, né un monito da far risuonare, piuttosto esiste il desiderio – in parte politico in senso alto – di rimettere al pubblico la sua funzione attiva, ribattezzando un noi al posto di un io che, solo apparentemente, occupa l’intera scena.

E il progetto quindi come si è sviluppato? Qualche nota sul “dietro le quinte”…

Il progetto è nato, sempre con Elsinor, dopo l’esperienza dei Sei personaggi, che mi (o piuttosto ci) avevano dato modo di costruire una comunità capace di immergersi completamente e a tutto tondo nella progettazione. Dall’idea alla scenografia, passando per l’ufficio stampa e i laboratori necessari per l’approfondimento tematico. Durante la costruzione di questo Edipo ho avuto l’opportunità di collaborare anche con Simone Faloppa ad esempio, un grecista che ha dato un importante contributo sul senso del tragico greco attraverso una lezione i cui contenuti sono poi parzialmente riportati in scena durante la performance. L’approccio insomma è stato ampio, collaborativo e aperto. In scena ci sono un corpo – il mio – e quello dello scenografo, ma tutto è frutto di una presenza “collettiva”, di un lavoro di squadra senza il quale Edipo non avrebbe potuto vedere la luce. Il suo sguardo accecato – anche questo importante spunto di riflessione per la contemporaneità in parte ossessionata dal “vedere” e “apparire” – è uno sguardo di tanti. Forse per questo capace di creare una relazione profonda con lo spettatore.

Edipo

Il corpo tragico

di e con Michele Sinisi

scenografo in scena Federico Biancalani

aiuto regia Nicolò Valandro

collaborazione alla scrittura scenica Francesco Maria Asselta

progetto Farsa

produzione ELSINOR / Festival Colline Torinesi – TPE
sostegno alla produzione MAT, laboratorio urbano, Terlizzi (BA)

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