Teatro
Ecco i “Malvagi”, torna il nichilismo nei sottosuoli d’Europa
E’ Fedor Dostoevskij la guida del visionario atto teatrale “I Malvagi”, firmato da Alfonso Santagata e la compagnia Katzenmacher, andato in scena giorni fa al teatro India di Roma. Focus sui figli di un nichilismo che, nato e cresciuto nei sottosuoli di ideologie totalizzanti, spunta sempre nei momenti di crisi dei valori. Come testimonia Dostoevskij nei suoi romanzi in cui ha intrecciato filosofia e credo, passioni borderline, tra vizi e peccato, istinti di ribellione e ossequio al potere. E da quelle pagine le parole risuonano ancora oggi come un mantra, tra le pieghe della cultura della società occidentale ed europea, la stessa che ha partorito la Rivoluzione d’Ottobre e le due grandi guerre mondiali.
Così in “I Malvagi” si parla dell’ieri per fare luce sull’oggi, lanciando i segnali di pericolo incombente, prima di una possibile catastrofe. Un dramma che, dipinto con tutte le gradazioni del nero, è un affresco notturno sulla nostra contemporaneità. Un viaggio spigoloso, come sul filo di una lama acuminata, compiuto a ritroso, sui passi dell’artista che a 28 anni fu arrestato perchè accusato di complotto contro lo zar. A pochi minuti dalla fucilazione il plotone venne fermato dalla grazia di Nicola I e la condanna a morte commutata in carcere duro. Dostoevskij venne così deportato nei campi di lavoro in Siberia _ quelli che all’epoca di Stalin diventeranno i gulag _ dove per quattro anni vivrà tra assassini, rivoluzionari e delinquenti incalliti. Una discesa agli inferi di un uomo che, toccato nell’intimo, conoscerà il male da vicino spingendolo ad elaborare una singolare pietas, indispensabile humus per scrivere opere straordinarie battezzate in quell’impressionante atto primo, che fu il racconto della “Memorie dalla casa dei morti” (a scandagliare in modo dettagliato quel periodo vissuto da Dostoevskij è stato di pochi anni fa l’olandese Jan Brokken nel volume “Il Giardino dei Cosacchi” in cui viene ricostruita l’amicizia tra il giovane Fedor e il barone Alexander Von Wrangel, procuratore della città dove lo scrittore stava scontando la pena. Attraverso la voce del barone, tramite lettere e documenti, viene tratteggiato un ritratto intimo dell’autore russo, “uomo esiliato, tormentato, umiliato e risorto con le sue ultime forze”).
Ed è proprio “Memorie della casa dei morti” la stazione di partenza de “I Malvagi” che nel suo procedere in modo asincrono intreccia biografia d’autore e romanzi in una visionaria opera teatrale dai differenti strati narrativi. Fulcro incendiario con il racconto dei carcerati. Uomini che la notte lanciano alte grida ossessionati dal ricordo di una fine scampata all’ultimo minuto: “… Ci hanno messo i camicioni bianchi della morte, legati ai pali, pronti per la fucilazione”. E poi: “ …suona un allarme: vengono a slegarci… sua maestà ci aveva concesso la grazia … Il mio interno è devastato: ecco perché grido la notte”.
In quegli spazi vivono fianco a fianco uomini come Gazin che “traffica, in acquavite qui in carcere: appena guadagna un po’ di soldi subito se li beve, si ubriaca e diventa crudele, cattivo … tutto viene a galla, si avventa col coltello contro tutti i detenuti che si buttano addosso…”.
E’ il racconto di chi si aggira nella notte con i ferri ai piedi “in mezzo a scarafaggi, che mi saltano alle caviglie e assassini spaventosi che ridono e si divertono come adolescenti allegri…”. Ci sono pure i nobili reclusi tra le mura, anche lì casta tra i disperati. Deridono e sfottono Dostoevskij (“Mi considerano un bamboccio uno che non capisce le cose semplici del mondo, un uomo immaturo, incompleto e debole continuando a derubarmi. Io li amo, loro mi odiano”).
E’ un microcosmo rattrappito quello delle “Memorie”, concentrato estremo della vita con le sue connessioni tra religione, fede e amore per il danaro, finti pazzi e pazzi veri. Non è un caso che lo sguardo dentro le viscere di questo racconto sia la base necessaria per Alfonso Santagata (già nel 1990 aveva reso omaggio a Dostoevskij nello spettacolo “Omsk”) _che in quest’opera si è ritagliato un ruolo di narratore e coro _ per incrociare i “Demoni” e “Delitto e Castigo”, opere tra le più politiche dello scrittore russo. Qui prendono forma e corpo le inquietudini verso il nichilismo, quello che Nietzsche definiva “un ospite inquietante che non si può mettere alla porta”. Pulsioni e spirito ribellistico racchiuso nello slogan urlato in scena: “La nostra passione per la libertà è più forte di ogni autorità”. Storie riprese dalle cronache giudiziarie dell’epoca che svelano un mondo sconosciuto, inciso nel corpo malato della grande Russia. Ideologia senza orizzonte e futuro che arriva a giustificare l’omicidio. Non si chiede infatti Raskòl’nikov in “Delitto e Castigo”: “Perché dovrei uccidere? Voglio fare del bene alla società, rendere felici gli uomini ma c’è un pidocchio ributtante, una vecchia strozzina che maltratta sua sorella e tiene in casa un mucchio di soldi, perché non dovrei prenderli? In fondo quanta gente ha ammazzato Napoleone per realizzare i propri fini?”.
Per capire bisogna lasciarsi trasportare dal turbillon di emozioni, parole e frammenti di citazioni de “I Malvagi”, con i suoi attori che entrano ed escono di scena come da porte girevoli della storia. Porgendo la memoria di secoli lunghi e brevi. Parole, gestualità strappate e immagini. Queste appaiono proiettate sulle quinte, quadri in movimento da pellicole come “Metropolis” e filmati di Dziga Vertov. Frames in bianco e nero di folle di uomini e donne che avanzano ondeggiando. Schermi su cui si allungano sinistramente fuori campo, come in un film di Murnau, le ombre degli attori. Non è solo teatro. E’ poesia nel suo divenire, caotico, disordinato e creativo. Accoglie in sé e fa propria la pietas di Dostoevskij della “Memoria della casa dei morti”. E’ lo sguardo crudo e politico dei “Demoni” e di “Delitto e Castigo”. Qui “ I Malvagi” regala la scena più lucidamente teatrale. Quella dell’interrogatorio di Raskol’nicov ad opera del giudice Porfirij Petrovic reso magnificamente sulla scena dagli ottimi Tommaso Taddei e Massimiliano Poli. Un cerchio pesante racchiude i due attori al proprio interno come se i limiti della circonferenza fossero segnati precariamente da un pendolo in teso e perpetuo movimento. Un teatro che cerca è sempre scomodo perchè mostra i nostri demoni, anche quelli che non vorremmo vedere. Siamo nell’alba avanzata di un nuovo secolo. E, oggi come allora, i più indifesi sono ancora e sempre i giovani. Come racconta il filosofo Umberto Garimberti (citato nell’opera) tornano le stesse pulsioni e le stesse ansie che hanno già tinto di nero il mondo incendiandolo. Dopo il vicino Oriente, nel cuore di Europa riappaiono le croci uncinate, si agitano i fantasmi dell’antisemitismo, del razzismo e la negazione dei diritti. Si assiste a un nuovo dispiegarsi di atti violenti e voglie sotto pelle di pogrom. La miscela è innescata. L’esplosione è possibile.
“I Malvagi”, da F. Dostoevskij. Secondo Movimento. Ideazione e regia Alfonso Santagata. In scena: Carla Colavolpe, Massimiliano Poli, Alfonso Santagata, Tommaso Taddei, Giancarlo Viaro.
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