Teatro
Drusilla Foer e l’espediente della leggiadria
Gianluca Gori, artista poliedrico di origini fiorentine, classe 1967, formato all’Istituto Statale d’Arte di Firenze e blablabla, dopo tanto studio, tanta gavetta, tanto impegno in assoluto silenzio o quasi, compie uno due tre passi indietro per lasciare spazio al suo ambiguo alterego Drusilla Foer. E guarda caso, così lo notano. Vedi le coincidenze, delle volte?
«Cioè? Come Mauro Coruzzi in arte Platinette?»
Non esattamente.
«Allora… Come Renato Fiacchini in arte Zero? Come quei personaggi a metà fra travestiti e trasformisti che a seconda del vento sono un giorno travestiti e cantano il dolore dei diversi, e il giorno successivo trasformisti ormai dissociati da trascorsi ‘birichini’ e disdicevoli? Sconvenienti?»
Uhm, forse no.
«Allora sarà certamente come Michael Dorsey, attore talentuoso e perfezionista interpretato da Dustin Hoffman nel film “Tootsie”, costretto a indossare i panni femminili di Dorothy Michaels per ottenere una parte…»
Drusilla sembra andare oltre.
Ispirandosi vagamente all’ironia provocatoria dell’indimenticato Paolo Poli, suo corregionale e collega (generalmente più affrancato dai personaggi proposti sul palco), scende nel profondo, s’inabissa. Sale, sfiora il cielo. Il tutto con una leggiadria invidiabile.
Trattasi di un personaggio creato a tavolino con una certa genialità o spirito di autoconservazione. Una signora benestante, elegante, dalla vita intensa, dinamica, ricca di esperienze.
La vediamo a teatro protagonista del suo variegato show “Eleganzissima” dove mischia sapientemente più generi (commedia, dramma, monologo comico, impegno civile, politico, umano) e più arti (canto, ballo, recitazione). Indossa quei panni anche fuori dal palco, precisamente in occasione di interviste, ospitate, spazi televisivi (La Repubblica delle donne con Chiambretti, giudice a StraFactor), film (Magnifica presenza di Özpetek).
Racconta tutto di sé Drusilla. Tutto e soprattutto di più. Con ironia, disincanto, amarezza tradotta in comicità, surrealismo. Dice di aver smesso di lagnarsi perché è il sarcasmo, la leggerezza che salva dal dolore, dal disagio. Ma intimamente, talvolta, il vizio di piangersi addosso le è rimasto.
Vanta con discrezione, ma anche no, possedimenti nel Chianti, origini molto altolocate, «non nobili come le vengono attribuite», è figlia di diplomatici e la sua esistenza è costellata di tappe interessanti, matrimoni vari tra cui un vero amore dal quale ha ereditato il cognome.
Drusilla enfatizza, inventa, confonde le carte, fa credere cose, non smentisce quasi mai niente, lascia parlare e laddove non ci sono argomenti per parlare li offre proprio lei, prima che sia il pubblico a inventarli.
Cosa regala alla gente Drusilla Foer, in cima al suo talento e alla preparazione?
Certamente la dualità, ma non solo.
A volte, in occasioni pubbliche, artistiche, smette quei panni per tornare a essere Gianluca, per svincolarsi dall’invadenza di un personaggio forte, a cui deve molto. Ma dura poco, perché la nudità non interessa tanto quanto il personaggio, o quanto meno non garantisce lo stesso successo, senza trascurare che non è sempre facile per l’artista liberarsi dalla sua creatura più riuscita. Tanto vale, allora, vestire il più possibile i panni di una donna famelica, allupata dice lei, estroversa, fantasiosa, curiosa e chi più ne ha più ne metta, al di là del pregiudizio, al di là delle convenzioni.
Eppure, in alcuni fugaci momenti, mentre narra fatti e i misfatti, mentre recita e non recita, gli occhi di Gianluca e Drusilla sono gli stessi; lo stesso sguardo un po’ sofferto un po’ irriverente, risultato di quella rarefatta disperazione sublimata, resa leggera, soave, per non tediare lo spettatore per non gravare su se stesso.
Drusilla Foer è forse una delle risposte che un essere umano può darsi, e soprattutto dare alla platea, per non restare nell’anonimato, per tentare di vincere o in fin dei conti soltanto per esistere.
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