Teatro
Il dolore vivo di Jennifer
CATANIA. “Le cinque rose di Jennifer”, lo spettacolo costruito su testo ormai “classico” di Annibale Ruccello, diretto da Gabriele Russo, interpretato da Daniele Russo e Sergio Del Prete, è un lavoro importante del quale è apparentemente facile scrivere. Facile per la costruzione complessiva e dinamica che attraversa (e si fa carico) di ogni pensiero, vertigine e sospiro del testo di Ruccello, facile per la costruzione visiva scene/costumi che, nel segno del troppo pieno di oggetti (le troppe piccole cose – di meraviglioso – pessimo gusto), colori, costumi, profumi e odori, voci, desideri e fantasmi, coglie esattamente e per antitesi il tagliente deserto interiore di quanti abitano (in presenza e assenza) la scena, facile per l’interpretazione di solida professione attorale, facile per quella viva bellezza della lingua napoletana alla quale Daniele Russo concede una giusta, ferita e grottesca pastosità. Facile, infine, per le musiche (Mina, Milva, Patty Bravo, Ornella Vanoni) che irretiscono immediatamente il pubblico prendendolo alla gola. Jennifer è un travestito che, chiuso nel suo appartamento di un nuovo quartiere popolare di Napoli, aspetta con tenera, teatrale, parossistica impazienza la telefonata del suo Franco, un ingegnere bello, solido e innamorato, il suo ultimo e “definitivo” amore (quanto insiste per sposarla…!). Occorre essere pazienti però, perché in quel quartiere le interferenze tra i numeri di telefono sono troppo frequenti, come cominciano ad essere frequenti e inquietanti gli episodi di violenza e morte ai danni dei travestiti. C’è un maniaco nel quartiere ed è probabilmente un altro travestito. Occorre aspettare con fiducia, essere pazienti anche se sai bene che Franco non telefonerà, anche se il desiderio urla e la solitudine ti spinge a inseguire altri sogni o a confidarti con chiunque, anche per errore, si trovi ad ascoltarti o a passare per casa. Chiunque: compreso quell’altro travestito che si chiama Anna e probabilmente è il maniaco che sta facendo strage dei travestiti del quartiere. È una figura implicita, inquietante, presente ai margini della scena per tutto il dispiegarsi della pièce: c’è perché dev’esserci, perché è il male che sovrasta la scombinata dolcezza di Jennifer, è il pericolo che incombe con soffocante concretezza. Quando si presenterà in carne e ossa, quando busserà alla porta dell’appartamento non cambierà poi di molto il percorso di Jennifer. Finirà col suicidarsi, con lo spararsi in bocca Jennifer, al culmine della frustrazione, del dolore, della paura, della solitudine. Non può fare altro e la dinamica drammaturgica rivela la coerenza feroce del capolavoro. Russo dichiara apertamente il suo rispetto totale per il testo (da approfondire e non da dilatare) e, in effetti, la sua dimensione di classico e la fecondità risultano evidentissime. C’è tuttavia un aspetto di questo lavoro, che ha debuttato nel 2019, che forse va sottoposto a qualche ulteriore riflessione critica: la grandezza del testo domina lo spettacolo fino a lasciare in ombra il fatto, clamoroso ed importante, che oggi le tematiche “di genere” sono arrivate al cuore del discorso politico del nostro paese. E, se è vero che Ruccello ci ha regalato con Jennifer un personaggio immortale, è anche vero che la dimensione umana che racconta (totalmente immersa in solitudine, emarginazione culturale e sociale e deprivazione emotiva) vive oggi un’evoluzione positiva che certo è ancora lungi dal trovare un assetto rispettoso, civile e positivo, ma si trova in una strada tracciata dalla quale difficilmente si può ornare indietro. Allora la domanda è lecita e va lasciata aperta: pur nel rispetto del testo di Ruccello, è possibile che lo spettacolo ignori totalmente l’evoluzione in corso di questa problematica? O che in qualche modo la consideri solo implicitamente puntando a rappresentare l’umanità di Jennifer? Forse no. Visto a Catania sulla scena del Teatro Verga, dall’8 al 13 febbraio, nel contesto della stagione dello Stabile Etneo.
Le cinque rose di Jennifer
Di Annibale Ruccello. Regia di Gabriele Russo. Con Daniele Russo e Sergio Del Prete. Scene di Lucia Imperato, costumi di Chiara Aversano, disegno luci di Salvatore Palladino, progetto sonoro di Alessio Foglia Produzione di Fondazione Teatro di Napoli – Teatro Bellini.
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