Benessere
distruggere resistere ricostruire Intervista a Emanuele Salce
Emanuele nasce a Londra nel 1966, figlio di Luciano Salce e di Diletta D’Andrea. Dopo due anni la mamma Diletta diviene la compagna di Vittorio Gassman. Emanuele cresce così con la famiglia Gassman fino alla maggiore età. Figlio d’arte “anomalo”, prima di applicarsi totalmente nell’attività di attore si dedica per molto tempo a fare altro (anche nulla). Dal 2007 in poi interpreta a teatro La parola ai giurati, La baita degli spettri, Riccardo III, Il topo nel cortile. Nel 2010 presenta per la prima volta al Teatro Cometa Off di Roma “Mumble Mumble, ovvero confessioni di un orfano d’arte” di cui è interprete e co-autore con Andrea Pergolari. Lo spettacolo racconta con ironia e profondità, la sua condizione di orfano di due padri artistici, riscuote un successo crescente e sarà sempre rappresentato nelle stagioni successive, diventando un vero e proprio caso nel panorama teatrale italiano di questo decennio
Emanuele, hai appena completato le rappresentazioni de “Le nostre donne” di Eric Assous, riprenderai Mumble Mumble?
Sì il 13 dicembre al Franco Parenti di Milano inizieremo la settima stagione di “Mumble Mumble”
Ora che il teatro è la tua occupazione principale come vedi lo stato di salute del Teatro Italiano?
La situazione è molto difficile, direi che è lo specchio del momento storico particolarmente critico che sta attraversando l’Italia. Il paese che non è un paese. Mancano i Grandi, abbondano gli spettacoli inutili, le scelte seguono criteri dettati da rapporti amicali. Si vede molta “cattiva televisione”, monologhisti e cabarettisti che non trovano spazio sul piccolo schermo. Anche se qualche eccezione, come sempre e per per fortuna c’è…
Dopo il teatro parliamo di cinema, vieni da famiglie che hanno dato molto al cinema. Che ne pensi del cinema italiano di oggi? Molti vedono segnali di rinascita, condividi la loro opinione?
Solo in piccola parte. E’ vero che ci sono delle eccellenze, dei talenti: i Sorrentino i Garrone, ma il movimento cinematografico italiano è sempre in profonda crisi. Negli anni 60 in Italia si producevano 600-800 film all’anno. Oggi se ne fanno a malapena 80. Pochissimi vengono distribuiti all’estero, alcuni addirittura hanno respiro regionale. Il cinema ha perso da tempo il contatto con il contesto vitale degli italiani, non è più un mezzo per affrontare le problematiche sociali.
E la televisione?
Credo che molti dei mali che affliggono il cinema e il teatro, e la cultura in genere, nascano dalla pessima televisione che si fa in Italia oggi. La televisione oggi è solo ipnotica, persegue con successo il fine di spegnere il cervello degli italiani indirizzandoli le loro scelte riguardo i consumi, la politica etc. Nonostante il moltiplicarsi dei canali (sto parlando soprattutto della TV pubblica) mancano le produzioni di qualità. Proliferano i programmi sui cuochi e sono sempre meno gli approfondimenti sui temi importanti. Per un autore fare un programma di cucina è molto più facile, molto meno rischioso di una trasmissione impegnata ma comunque fruibile.
Se potessi fare un appello al ministro della cultura, cosa chiederesti? A proposito ti ricordi chi è il ministro della cultura? non si sente spesso…
Dovrebbe essere Franceschini…il teatro soffre di mancanza di fondi. La situazione italiana è difficile, lo sanno tutti, i soldi non ci sono. Gli chiederei di recuperare risorse tagliando sprechi e ruberie e di destinarle a chi fa vero teatro, di far scegliere i meritevoli a una commissione di saggi, di appassionati veri, estranei sia all’Establishment sia politico sia teatrale. Persone oneste
Un appello molto difficile da accogliere per un politico! Sei molto pessimista. Eppure a volte i miracoli accadono, sono accaduti in passato e accadranno ancora. Qual è il tuo sogno? Che miracolo servirebbe per uscire dal ristagno culturale?
L’Italia è un paese “Figlio”. Continuamente alla ricerca di padri e madri, di una tetta da succhiare, di una borsa alla quale attingere. Dovrebbe crescere e diventare adulto, autosufficiente, responsabile. Sogno un servizio civile obbligatorio, di sei mesi, per impegnare i ragazzi in attività di protezione civile, assistenza agli anziani, ai malati ma anche semplicemente di pulizia e manutenzione degli spazi pubblici. Per uscire dall’individualismo cieco.
Ma davvero la situazione è così disastrosa? Non c’è un gruppo culturale che si distingue, che produce qualità?
All’interno dei vari gruppi ci sono piccole realtà vive, germogli verdi in una foresta disseccata. Ci si dovrebbe dedicare a questi virgulti e spazzare via tutti i rami secchi…
Ci vorrebbe un giardiniere…
Si uno Chance, il giardiniere del film “Oltre il Giardino” di Hal Ashby. Una interpretazione indimenticabile di Peter Seller, un film del ’79, te lo consiglio.
Se non facevi l’attore che lavoro ti sarebbe piaciuto fare, il giardiniere?
Avrei preferito il falegname, il lavoro manuale lo trovo molto sensato, concreto. Il legno ha un buon odore.
Sei nato a Londra e hai “viaggiato il mondo”, ti senti Italiano, Europeo o altro?
Sono nato a Londra perché mio padre non era sposato con mia madre, nel ’66 in Italia non avrei potuto avere il suo cognome. Mi sento Apolide (anche a livello familiare) mi disturba vedere che altrove le cose che in Italia sono complicatissime funzionano senza nessun problema. All’estero ho incontrato la purezza del sentimento di appartenenza di Italiani che hanno potuto preservarlo, lontani dalla patria malata.
L’Italia è una democrazia, almeno così si dice. Il popolo è sovrano, ma non si può prescindere dalle élites. Tu sei nato e hai passato l’infanzia in una famiglia che era parte di una élite. Qual è la tua opinione?
Non mi sono mai sentito parte di una élite, che altro non era che una serie di persone con un distorto e contraddittorio contatto con la realtà che si traduceva in grossi problemi nella quotidianità. Ho spesso invidiato i figli di padri che potevano passare del tempo in famiglia, che giocavano a pallone con loro.
I tuoi padri e molto altro te li lasci alle spalle in “MUMBLE MUMBLE”, con il dovuto rispetto, ma in maniera molto determinata, a tratti quasi violenta. Posso garantirti che la sensazione che arriva al pubblico è quella della liberazione. E arriva forte e chiara. Personalmente mi è tornata alla mente la sequenza finale di “Django unchained” di Tarantino, quando il protagonista fa saltare in aria Candyland. Ora che ti sei lasciato alle spalle Candyland, che pensi di fare?
Per ora mi godo la cavalcata! C’è stato un grande lavoro di elaborazione in Mumble Mumble, ho dovuto affrontare e risolvere importanti nodi interiori. Ora, anche se continuo le rappresentazioni di Mumble Mumble mi preparo per il futuro. Sto aspettando di trovare un testo non autobiografico, da poter interpretare con la stessa passione che “Mumble Mumble” mi ha tirato fuori. Lo sto aspettando e lo sto cercando. Forse lo scriverò io?
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