Teatro

Demetrio Stratos, la Poesia della Voce vive a Ravenna

17 Dicembre 2023

Demetrio Stratos, l’artista dionisiaco che portò in dono la potenza e il mistero ancestrale della voce è di nuovo tra noi. Dalla sua improvvisa scomparsa, il 13 giugno 1979 in uno ospedale di New York dove era stato ricoverato per una malattia rara, il polistrumentista ed etnomusicologo di origine greca, frontman prima dei Ribelli e poi degli Area, International Popular Group è stato oggetto, ciclicamente ma in modo rado, di mostre e incontri. Eventi sporadici, forse perché celano qualche senso di colpa di una intellighènzia anche accademica allora incapace di cogliere l’importanza del suo lavoro di ricerca. Da non perdere assolutamente quindi la mostra inauguratasi pochi giorni fa negli spazi di Malagola a Ravenna, unica istituzione in Italia, e tra le poche in Europa, a studiare la vocalità. Una esposizione che giunge a coronamento dell’acquisizione dell’archivio del musicista, donato dalla moglie dell’artista, Daniela Ronconi Demetriou e dalla figlia Anastassia, e curata in tandem dai due direttori artistici di Malagola , Ermanna Montanari, attrice fondatrice della compagnia delle Albe e dal musicologo Enrico Pitozzi che l’hanno voluto intitolare “Amorevolmente progredire, amorevolmente regredendo”. La ricerca vocale di Demetrio Stratos 1970-1979” visitabile fino al 22 dicembre tutti i giorni dalle 10 alle 13 e dalle 15 alle 18 (ma si parla di una possibile proroga dall’8 al 31 gennaio 2024).

Poco prima della sua inaugurazione, nei locali del Mar, Museo d’Arte di Ravenna, alla presenza degli eredi è andato in onda il convegno “Demetrio Stratos: il microcosmo della voce” coordinato da Marco Sciotto. al quale hanno dato il loro contributo, oltre a Montanari e Pitozzi, il direttore artistico di Ravenna Festival, Franco Masotti, la studiosa Janete El Haouli, in collegamento dal Brasile, Dario Taraborelli e lo stesso Marco Sciotto. Testimonianze sono giunte dalla fotografa Silvia Lelli, Odorso Rubini e Paolo Spedicato che invece ha inviato un video. L’archivio è stato preso in carico in un primo tempo dal Comune ravennate in cofinanziamento con la Regione emiliana-romagnola che a sua volta ha individuato nel sito di Malagola il luogo più idoneo alla conservazione e valorizzazione del materiale che presto sarà digitalizzato e reso disponibile per studiosi e ricercatori e quanti ne faranno richiesta.

L’ingresso alla mostra “Amorevolmente progredire, amorevolmente regredendo” dedicata a Demetrio Stratos nei locali di Palazzo Malagola a Ravenna (Foto Marco Casellini

Questo sarà il primo nucleo di un fondo destinato sicuramente a crescere di importanza e numero di materiali. Accanto a quello originario dell’artista costituito di appunti di studio, documentazione audio e video, registrazione di concerti, raccolta di oggetti e strumenti musicali, tesi di laurea e studi dedicati all’opera di Stratos, si aggiungeranno via via altre testimonianze (e già sono arrivate le prime telefonate di persone in possesso di registrazioni o immagini inedite). Insomma è destinato a diventare un caleidoscopico patrimonio anche su un importante epoca creativa sul quale l’esposizione ha il merito di sollevare un primo emozionante velo.

Già nella prima sala della mostra si rimane intrigati dalla visione dalla bocca di Demetrio Stratos fotografata in serie e in primo piano da Silvia Lelli mentre l’artista è intento a “suonare la voce” dove tirava fuori dal corpo suoni giunti da altri mondi. Visitati gli spazi dedicati a manifesti e memorabilia -come la marionetta che troneggia nella copertina del primo album degli Area “Arbeit macht frei”-, accanto ad altri oggetti curiosi raccolti da Demetrio e Daniela in giro nei bric a brac, la mostra diventa sempre più un fatto privato e individuale. Nel senso che ogni visitatore si disegna e ritaglia il proprio atlante sonoro ed emozionale. Iniziando dal momento in cui, indossando le cuffie ci si perde nell’ascolto degli spartiti “verticali” in cui Stratos restituiva la memoria poetica di John Cage. Lo stesso Cage che nel 1978 volle l’artista con sé nel suo “Treno” musicale in Romagna, proprio nella tappa di Ravenna...

Dirimpetto c’è una stanza in forte penombra ingombra di cuscini. Dal cielo si diffondono, attraverso dodici casse acustiche disposte in modo ellittico, le note di una playlist di brani e sequenze di voci che l’orecchio cattura incatenati in un ascolto immersivo in cui si resta catturati -o, meglio folgorati- immediatamente dalla complessa ricchezza del campionario sonoro. E’ una playlist in gran parte estratta dall’archivio dell’etichetta Cramps, inventata, tra gli altri, da quel genio che fu Gianni Sassi, musicista, produttore discografico, grafico e fotografo. Figura di spicco e riferimento della Milano creativa underground degli anni Settanta e Ottanta.

Archivio Demetrio Stratos a Ravenna. Spicca la marionetta futurista dell’album “Arbeit macht frei” primo album degli Area (foto di Marco Casellini Nirmal)

Demetrio, il cui vero nome era Efstràtios Demetrios, nato ad Alessandria d’Egitto in una famiglia di esuli greci, nel 1962 si trasferì a vivere in Italia iscrivendosi alla facoltà di Architettura di Milano. L’anno dopo aveva già fondato un gruppo musicale, e nel 1966 era diventato il cantante dei Ribelli. Protagonista centrale della musica beat e pop che si ritrovava attorno a Cramps aveva prodotto, oltre agli Area, anche Eugenio Finardi, Claudio Rocchi, Alberto Camerini e gli Skiantos. Nel 1979 progetta ed edita le riviste “Alfabeta” di cultura varia e poi “La Gola” mensile dedicato al cibo. Viene così proposto un illuminante compendio sonoro dal quale si intuiscono le vie della esplorazione di Stratos dentro quel multiforme e ricco contenitore musicale delle culture popolari. Così come fu proposto nel concerto “Viaggio geografico musicale” (Grecia, Iran, India, Mongolia, Cina) il 4 febbraio del 1979 al teatro San Lazzaro di Bologna. E poi “Cowboys and indians” dal “Concerto all’Elfo” , “Le Sirene” da “Cantare la Voce”, “Metrodora”, e ancora “Flautofonie” e “Diplofonie”. Queste ultime, punto di forza del cantante di origine greca, per l’Enciclopedia “Treccani” sono “emissioni simultanee di due suoni dalla laringe”. Inutile dire: un effetto assai complicato da produrre. Giusto per mettere in evidenza come i lavori di ricerca di Stratos non sono capitale esclusivo della musica ma anzi, un patrimonio a tutto tondo che riguarda anche il teatro, ecco la versione precisa delll’impossibile pezzo teatrale del visionario teatrante francese Antonin Artaud: “Pour en finir avec le jugement de Dieu”. E’ un radiodramma registrato dal teatrante negli studi della radio francese tra il 22 e il 29 novembre 1947. Un urlo di rivolta, lanciato dagli abissi di una situazione precaria e di salute al limite, come quella del visionario teatrante francese.

Fu commissionato dalla RDF (Radio Diffusion Française) e censurato dal suo direttore, Wladimir Porché, alla vigilia della prima trasmissione, il 1° febbraio 1948. I testi furono letti da Maria Casarès, Roger Blin, Paule Thévenin e dall’autore stesso. L’accompagnamento consisteva in grida, colpi di tamburo e xilofono registrati dallo stesso Artaud. In questo testo il poeta contrappone al corpo che lui definisce come “atomico” quello anatomico, il corpo-tomba che imprigiona gli uomini, mentre per lui si tratta di “far danzare l’anatomia umana”.

Il “corpo senza organi” è così un corpo animato dalle parole, fa parte dell’ “Homme incréé” e rappresenta, “la materializzazione corporea e reale di un essere integrale di poesia”. Stratos scopre la registrazione di Artaud nei locali torinesi della Cramps dove incontra Arrigo Lora Totino, uno dei padri della poesia sonora, storico della poesia d’avanguardia che per conto di Gianni Sassi aveva curato la mastodontica raccolta di sette album “Futura-Poesia sonora”, riunendo le voci di futuristi e dadaisti, da Majakovskij a Marinetti. Per una strana coincidenza della vita a Totino, un conoscente francese aveva portato proprio nelle ore in cui capitava Demetrio, la registrazione piratata di Artaud . “Stratos -ricordava Totino – l’ha ascoltata ed è rimasto subito impressionato”. Fino al punto di studiarla e proporne una versione originale, fortemente teatrale.https://youtu.be/G6nGSNI–qU?si=fLDB1GfoVCqB7_lH

In una fondamentale mostra tenutasi al Palazzo delle Esposizioni di Roma, nell’aprile del 2019, curata da Anna Cestelli Guidi e Francesca Rachele Oppedisano, intitolata “Il corpo della voce” si accostarono assieme il genio di Stratos accanto a quelli di Carmelo Bene e della cantante americana di origine armena Cathy Berberian. Tra i collegamenti insospettati, di questi tre “mostri sacri”, vengono in superficie per le loro ricerche sul linguaggio: ancora quelli tra il cantante greco e il teatrante Artaud ma pure con il drammaturgo Samuel Beckett. E dieci anni prima, alla “Triennale Bovisa” di Milano è l’esposizione “Il gesto del suono 2.0” curata da Claudio Chianura e Andrea Laino – quest’ultimo autore del libro “Demetrio Stratos e il teatro della voce”- a scandagliare il rapporto dell’artista greco con la scena teatrale attraverso artisti come Artaud e Carmelo Bene sempre nel punto altamente sensibile di incontro tra teatro e sperimentazione vocale. Naturalmente, è sempre la musica il campo privilegiato della battaglia di Demetrio. E’ qui d’altra parte che Stratos scrive le pagine più emozionanti della sua ricerca. L’esordio è con il gruppo beat e rock dei Ribelli che stavano allora dentro il Clan Celentano. Demetrio Stratos incise con loro la fortunata hit evergreen “Pugni chiusi”, ripresa molti anni dopo anche da Piero Pelù e i Litfiba. Dal 1972 al 1978 (anno in cui abbandona la formazione fusion) è con la formazione degli Area. Nel 1974 l’incontro fondamentale con John Cage di cui interpreta “Sixty Two Mesostics Re Merce Cunnigham”. La loro musica, basata su felici intuizioni e sperimentazioni elettroniche spazia dal rock progressive al jazz rock. Alfieri di un sound innovativo e di una musica capace di rielaborare spunti e idee, dall’avanguardia alle musiche etniche. Non a caso si definiscono International POPular group.

Il celebre logo della formazione degli Area, International POPular Group dove ha militato Demetrio Stratos a metà degli anni Settanta una delle migliori formazione di rock fusion

Nel loro periodo di massimo fulgore raccolgono un ampio e fedele pubblico di fans in tutta Italia, grazie anche alle loro hit. Ecco qualche titolo di brani diventati, grazie anche alla interpretazione e elaborazione di Stratos, veri pezzi cult. “Luglio, agosto, Settembre nero” e “Consapevolezza” dal primo “Arbeit macht frei”. “Cometa rossa”, “Mirage?Mirage!” (da “Caution Radiation Area”, “Gerontocrazia”, “Giro giro tondo” da “Maledetti (maudits)”. “La mela di Odessa” e “Gioia e Rivoluzione” da “Crac”. Gli Area inizialmente, oltre a Stratos, sono formati da Giulio Capiozzo, batteria, Leandro Gaetano, tastiere, Patrick Djvas, al basso (poi sostituito da Ares Tavolazzi). Si aggiungono Johnny Lambizzi, chitarra e Victor Eduard Busnello, sax che compongono tutti i brani del primo album con la partecipazione del chitarrista Alberto Radius. Prima dell’uscita dell’album escono Lambizzi e Leonardo e subentrano Patrizio Fariselli, alle tastiere e Paolo Tofani, chitarrista) si ergevano in un ambiente musicale, popolato di band di alto livello: dalle Orme al Banco di Mutuo Soccorso, dagli Osanna e i Perigeo alla Pfm, band milanese che incontrò un importante successo in terra inglese con il brano “Celebration”. Gli stessi Area aprirono tour di band famose come il seminale Nucleus di Ian Carr, Gentle Giant, Atomic Roosters. Rod Stewart. Un numero autorevole di gruppi che ancora, a distanza di anni, è considerato responsabile e protagonista di una delle migliori stagioni musicali italiane ed europee.

Aggirandosi per la mostra si possono vedere a distanza ravvicinata le partiture, gli appunti scritti in un foglietto che raccolgono una idea al volo come lo schema per un manifesto da pubblicare. Naturalmente, soprattutto al profano, molti di quei fogli appariranno come oggetti misteriosi, geroglifici di una scrittura iniziatica. Scampoli di comunicazione con altri artisti o note per il centro di Ricerche di fonetica del Cnr di Padova diretta da Franco Ferrero con il quale Demetrio collaborava. Difficile cogliere -se non per gli addetti ai lavori- il percorso di chi da tempo aveva scavato nella tradizione del canto greco o pescato nell’ampia e rigogliosa geografia delle musiche e dei suoni mediterranei… catturando le diplofonie e le triplofonie (vedi “Cantare la voce”, Cramps, 1978) dove Stratos usava la voce come un vero e proprio strumento musicale con una pazzesca gamma di timbri, proiettando in alcuni la casi la voce oltre i settemila Hertz…

La sala dell’esposizione al palazzo Malagola contenente le partiture delle sperimentazioni di Demetrio Stratos con John Cage (Foto Marco Caselli Nirmal)

Diplofonie, triplofonie, investigazioni… Così spiega lo stesso ricercatore aprendo il concerto all’Elfo di Milano lo stesso giorno in cui uscì l’album “Cantare la voce”. “Qui si tratta di usare l’orecchio come un microscopio-spiega Stratos- per estrarre dei brandelli di suono, da dividere addirittura per cercare di spezzare il suono, entrarci dentro e dividerlo in due e o tre parti. Come funziona? Secondo il mio parere la voce funziona come un veicolo che dà un’occhiata a destra o a sinistra dentro piccole camere. Occhiate che rimbalzano per simpatia e possono essere controllate”

“In questi concerti di sola voce -ebbe a raccontare in una intervista rilasciata il 23 ottobre del 1978, al termine del concerto di Firenze, e che si può ascoltare nella pagina kJ4sprs di Tommaso Bartolini su YouTube (licenza Creative Commons) – faccio cantare la voce. Sembra difficile -dice Demetrio– in realtà non lo è. Nulla da spiegare, c’è solo da ascoltare e riflettere. La musica è così… io opero su lingua e linguaggi: la mia è una vocalità sperimentale. Per farlo ho bisogno di tre diversi approcci. Il primo, di tipo scientifico, indaga sul mio strumento: come è fatto e come funziona, anche perché si conosce davvero poco… Collaborare con uno scienziato è quindi importante perché ti aiuta a capire meglio i suoi meccanismi, ma non basta. Io che opero sul linguaggio ho necessità anche di uno psicanalista, qualcuno che conosca e studi la linguistica o meglio di un filosofo competente nella storia della linguistica, dalla genesi della voce all’antropologia che con questo tipo di ricerca aiuta moltissimo. Cosa faccio ultimamente fuori dall’Italia? Lavoro con studenti. Insegno tecniche appartenenti a diversi popoli, gente legata alla propria terra e alla propria lingua. Si tratta di sperimentare qualcosa che si fonda più sulla mente che sulle capacità canore. Sintetizzando: il primo approccio riguarda la parte scientifica: da qui nasce la mia collaborazione con il Cnr di Padova. Il secondo è quello psicanalitico. Il terzo infine, è di tipo etnomusicale. Devo conoscere cioè come cantano gli altri popoli, che tipo di linguaggio utilizzano: con la voce e il proprio corpo. Quando alla fine si riesce a raccogliere tutto questo materiale allora si può correre il rischio di inventare nuove tecniche. Questo è in pratica oggi il mio lavoro. Svolto in grande parte all’estero purtroppo. Anche perché qui da noi (in Italia ndr.) questo tipo di ricerca è assai indietro, Fuori dall’Italia invece ho possibilità di lavorare con musicisti come John Cage, Xenaxis etc… i quali hanno accesso alle Università e ai laboratori. In questo modo possono studiare e ricercare. Lavorando così, con loro, si ottengono grandi risultati. Il tutto si svolge dentro rassegne di musica contemporanea. Certo è qualcosa di diverso ad esempio dal fare un concerto in fabbrica”.

Palazzo Malagola, Ravenna. Una delle sale dedicato all’ascolto immerso delle registrazioni in cui Demetrio Stratos esegue le sue partiture (Foto Marco Casellini Nirmal)

L’intervista, assolutamente da ascoltare, nell’ultima parte è un amaro commento sulla enorme difficoltà nel fare musica e cultura in Italia. Di quanto il lavoro del musicista e dell’artista sia sottoposto a rinunce e sacrifici. E soprattutto, rimarca con forza Demetrio Stratos nel suo “J’accuse”, la mancanza totale di educazione e formazione (“mancano le scuole, non ci sono strutture… Una situazione di emergenza che vale anche per le altre arti. Occorre investire e spendere di più in cultura. Siamo davvero molto indietro: questa è la realtà…etc”). Come si vede problemi che a distanza di quaranta anni sono ancora gli stessi. L’analisi è lucida e disegna una situazione disarmante del Paese _ poco cambiata da allora _ e ci consegna un intellettuale attento e impegnato sul fronte del rinnovamento e della cultura.

“Demetrio Stratos, il microcosmo della voce” .

Ovvero quello che resta di Stratos.

Nell’evidenziare l’importanza per la cultura di un personaggio come Demetrio Stratos e la conseguente decisione di acquisire il patrimonio e affidarlo alle cure di Malagola, il convegno anticipatore della mostra, tenutosi nei locali del Mar ha conosciuto anche accenti di intimità che moltiplicheranno di certo la cura dedicata a questo patrimonio ritrovato.

Dopo aver ricostruito la genesi di questa operazione: un incontro tra i direttori Montanari e Pitozzi con Oderso Rubini e Paolo Spedicato che chiedevano se fosse possibile ospitare a Malagola l’archivio di Demetrio Stratos (risposta ovviamente positiva) Montanari osserva come:

Stratos è stata un’eco. In quel momento tutto è scaturito nel senso che era già nella singolarità del nome Malagola” ha osservatola direttrice di Malagola specificando che “Stratos porta in sé, in dritto e rovescio quello che Malagola porta in sé in dritto e rovescio. Cioè una tensione materica e altamente spirituale”. E venne il giorno della scoperta dell’archivio a casa di Daniela Ronconi e la figlia Anastassia Demetriou. “Per un anno ci hanno accompagnato. Daniela è stata una guida. Aveva già un suo personale percorso: aveva custodito tutto di Stratos. La casa è in qualche modo un labirinto: ogni volta dovevamo districarci tra scatole, cassetti, comodini, stanze. Daniela le apriva di volta in volta. Non sempre tutte allo stesso tempo: era come se ci facesse scoprire la magia che Demetrio è stato, non solo per lei ma anche per noi, Dico magia perché è una libertà che Stratos ci porta. Quando iniziai a fare teatro nel 1977 non lo conoscevo. All’Università era anche lui un’eco, ma come uno di quelli che a un certo punto scaturiscono come proiettili dalla terra. Stratos è diventato concreto nella sua ricerca e sperimentazione.

Quando mi sono recata in Africa, dove ho conosciuto danzatrici guaritrici in alcuni villaggi animisti della Casamance ho avuto anche incontri indimenticabili (che hanno aperto un varco nella mia ricerca vocale) con alcune sciamane che avevano sonorità simili a quella di Stratos. Quando dico simile, intendo che per loro come per Stratos, la voce è questo appello, grido, rimbombo che scaturisce dalla terra madre. E scaturisce dal profondo. Da Stratos ho imparato ad abbandonare tutto e farmi respirare l’aria intorno. La voce è questa aria, qualcosa che non appartiene a noi, ma da cui siamo trapassati”.

Ravenna, Palazzo Malagola: Scuola di vocalità e corso di alta formazione I direttori artistici Ermanna Montanari ed Enrico Pitozzi

E’ attorno a queste suggestioni e ispirazioni che si muove anche Enrico Pitozzi co-curatore, della mostra “Amorevolmente progredire, amorevolmente regredendo”, direttore artistico con Ermanna Montanari di Palazzo Malagola e docente del Dipartimento delle Arti, Università di Bologna, coordinatore Laurea magistrali nelle discipline della musica e del teatro.

“Riattraversando alcune coordinate importanti nel delineare il nostro percorso espositivo soprattutto a partire da una espressione che circola sulla mia testa da un po’ di tempo e che formulerei così: la “Poesia della voce”, questo è uno degli elementi più importanti da considerare come elemento riassuntivo di tutto il materiale presente in mostra. “Poesia della voce” non è tanto il pensiero di una voce utilizzata per una comunicazione o per veicolare un senso. Per cui diciamo come strutturazione del linguaggio, quanto invece la possibilità di riportare la voce al suo luogo naturale. E qual’è questo luogo se non quell’intervallo, quella sorta di intermezzo che sta tra l’ispirazione e l’espirazione. Quel punto probabilmente inconoscibile che però fa rimontare la voce ad una questione originaria. Non è il veicolo della parola, non è ancora il linguaggio, ma qualcosa che nomina le cose e le chiama. Ecco, mi sembra che forse il dato essenziale, dei materiali e dell’intera opera di Demetrio Stratos sia esattamente qui. Non nel gioco del linguaggio, ma nel rimontare alla sorgente del linguaggio. Cioè quell’inizio in cui la “lallazione” che per Stratos è stato un elemento fondamentale della ricerca, proprio a partire dagli anni Settanta, dalla nascita della figlia Anastassia e che si muove all’interno di articolazioni varie e come sono ad esempio quelle del balbettìo o di altri elementi in cui il linguaggio è sul limite del senso, ma riscontrabile prima di tutto come una forma sonora e musicale. Perchè dico questo? Evidentemente qui c’è anche una consapevolezza incarnata da parte di Stratos di far parte di qualcosa che forse noi oggi dovremmo cominciare a prendere molto più sul serio di quanto facciamo: e cioè le radici del bacino del Mar Mediterraneo che probabilmente è qualcosa che dovremo riguardare con attenzione perché è da lì che viene una indicazione precisa del fatto che la voce non sia solo il veicolo del linguaggio, ma anzi vi arrivi solo in un movimento molto tardo, ma che sia qualcosa che nomina il mondo. E nominandolo lo manifesta, lo presenta. E’ così. Non vorrei fare una lunga storia, ma sarebbe bellissimo ragionare sul fatto che dalla dimensione sanscrita passando per tutte le tradizioni persiane, le tradizioni arabo-andaluse, fondamentali per noi come bacino culturale, dove la voce _ e non esiste alcuna eccezione- prima di tutto è una manifestazione del suono.

La copertina dell’album di Demetrio Stratos “Cantare la voce” secondo e ultimo disco solista pubblicato nel 1978. Un disco complesso in cui l’artista mostra le sue tecniche

Ricordatevi anche quanto è parte della nostra cultura “In principio era il verbo” e quel verbo prima di essere una parola è un suono. Ed è anche quel passaggio bellissimo del libro della “Genesi” in cui Dio si manifesta ad Adamo come un soffio di vento che passeggia nel Giardino dell’Eden e nel verso successivo dice: “E Dio si rivolse poi ad Adamo”. Quindi la prima è una manifestazione di ordine naturale, di ordine sonoro. Ecco: ancora una volta lì coincidono parola, voce e suono. Quindi è da questo punto che siamo partiti: è esattamente quell’asse che Demetrio Stratos incontra, incarna esattamente ed è il primo movimento che dà forma alla mostra. Questo scavo che si concretizza ad esempio all’interno dei fonemi: guardare dentro le singole lettere per ricostruirle da un punto di vista sonoro. Qui dentro c’è un secondo elemento che trovo fondamentale ed essenziale, quella che chiamerei la “cordatura cosmica” della voce di Stratos. Cioè la capacità che ha Demetrio di mettersi in relazione con il mondo e manifestarlo attraverso la voce. Questo, dal mio punto di vista, è estremamente importante perché ricolloca e riposiziona il tema dell’ascolto. Solitamente pensiamo all’ascolto come qualcosa che riguarda la ricezione, in questo caso il lavoro di Stratos ci indica una cosa molto precisa: che l’ascolto, prima di tutto, riguarda chi deve emettere la voce e che quindi deve proferire la parola. Ascoltare significa mettersi in accordo con il mondo e le sue cose, entrando in una dimensione in cui la voce converte un suono udibile in qualcosa che ancora non lo è. Mi sembra questo un dato essenziale di tutto quello che andremo ad ascoltare nel percorso allestito nella mostra. Sono così anche le diplofonie, le doppie voci: riguardano l’intero percorso di Stratos che sono poggiate ancora una volta su una tecnica di respirazione. Qui si apre un altro capitolo su che cosa è la respirazione e come per l’emissione vocale tutto il corpo deve essere organizzato in funzione della voce. E qui, evidentemente il passaggio, l’incontro con il maestro vietnamita Trần Quang Hải che introduce Stratos alle diplofonie, un tema che tocchiamo all’interno della mostra. Emerge anche questo nel momento in cui ci sono alcuni materiali che riguardano le sperimentazioni fatte negli anni dal 1978 a poco prima della sua scomparsa con Franco Ferrero del Cnr di Padova e quindi a tutte le analisi, un po’ fredde dal punto di vista documentale però utili per capire la tecnica vocale di Demetrio.

Tecnica vocale: occorre una precisazione. Ci sono molti materiali video di Demetrio Stratos dove si parla dell’articolazione della voce, la sua dimensione anatomica, ma guai a pensare che questa tecnica è semplicemente al servizio di una espressione. Il punto fondamentale è che questa sia concepita come possibilità di fare i conti con se stessi. E’ simile a un esercizio spirituale, ma non c’è niente di religioso, tutto è molto laico.

Altra popolare cover di un disco degli Area “Are(A)zione” considerato in assoluto uno dei migliori album italiani. E’ il primo disco live della band pubblicato nel 1975

Fare i conti con se stessi per ritrovare una propria dimensione dello stare al mondo, dell’essere al mondo. E’ lì che questa dimensione s’incarna anche con chi ha praticato una strada analoga, penso ad Antonin Artaud, a tutta la teoria del souffle, il soffio, qualcosa di più del semplice dire: riguarda il suono e il tessuto del mondo che può essere espresso attraverso la voce. Non a caso l’eredità fondamentale di Artaud passa attraverso una trasmissione radiofonica come “Pour en finir avec le jugement de Dieu” del 1947 (“Facendola finita con il giudizio di Dio”) che Demetrio Stratos riprende nel 1979, nella sua parte forse più importante, quella più enigmatica della teorizzazione del corpo “senza organi” artaudiano. Artaud, ma anche e soprattutto l’incontro con John Cage, profondamente documentato all’interno dell’archivio, valorizzato nella mostra attraverso un ascolto dei “Mesostics” (“Sixty-Two Mesostics Re Merce Cunningham”) di John Cage che Demetrio ha messo in voce. Anche qui siamo di nuovo in un territorio di inizializzazione del linguaggio. C’è un momento in cui non siamo dentro una dimensione espressiva: i “Mesostics” di Cage e Cunningham sono delle costruzioni di parole che possono essere vocalizzate seguendo la grandezza o la dimensione dei singoli fonemi. Un modo attraverso il quale il senso della parola veicolata va a disfarsi all’interno della voce. A disfarsi e rifarsi. Altro elemento è quello della dimensione dello spazio. Questa voce che è da sempre -almeno per quanto riguarda me ed Ermanna– stata considerata e pensata come una forma della spazialità. Diventava così naturale pensare a una esperienza da fare agli ascoltatori. Cioè: non semplicemente permettere l’ascolto di questi materiali straordinari di Stratos ma di metterli nello spazio, cioè in un ambiente immersivo in cui questa voce sia in grado di abitarci: quindi di passare da un ascolto a un altro. Il corpo di Stratos dentro il nostro corpo, dentro il nostro orecchio, Questa forse è la modalità più consona per noi attraverso cui restituire forza e dignità a questo straordinario materiale che abbiamo disposizione. E, probabilmente mi pare che tutta la parabola e la traiettoria del lavoro di Demetrio Stratos abbia sempre a che fare con la dimensione del sublime. Come una sorta di sintesi dolce e amara dell’incontro tra lo sgomento e l’attrazione fatale. Cioè, tra il gioire dell’apparire delle cose e la crudeltà però per la loro non appropriazione, cioè del fatto che le cose non sono mai a nostra disposizione e non possiamo tenerle per sempre. Forse è questa malinconia che la memoria ci consegna ed è la cosa migliore che dobbiamo preservare”.

E’ quasi un epitaffio, in realtà è invece un raccoglimento e una istanza per le cose a venire, quelle che verranno da oggi e fanno parte del futuro dell’opera di Demetrio Stratos che si riconsegna al mondo, a chi non lo conosce ancora, a chi da qui partirà per nuove esplorazioni dentro l’universo ancora sconosciuto del proprio essere e del cosmo. Sta nelle prime frasi delle Note dei curatori della mostra, ancora Ermanna Montanari ed Enrico Pitozzi assieme, stampate nella bella e “politica” pubblicazione di Sigaretten Edizioni Grafiche che, con la sua combattiva copertina rossa, è una citazione degli anni Settanta. Dice che…

“Quando un corpo si congeda, ciò che resta è la presenza della voce. Cortocircuito del tempo, essa chiama ancora, ora come allora. Pronuncia il nome di ciò a cui si rivolge: convoca una ad una le cose del mondo e le dispone secondo la loro andatura nel cosmo che affiora”.

Demetrio Stratos e gli Area eseguono la popolare hit “La mela di Odessa” durante una registrazione della Rai nel 1977. Il brano era uno dei più richiesti durante i concerti degli Area

 

Commenti

Devi fare login per commentare

Accedi

Gli Stati Generali è un progetto di giornalismo partecipativo

Vuoi diventare un brain?

Newsletter

Ti sei registrato con successo alla newsletter de Gli Stati Generali, controlla la tua mail per completare la registrazione.