Teatro

Da “Erodiade” a “Tango Glaciale”, ecco la memoria della scena

17 Gennaio 2018

“Erodiade” venticinque anni dopo. Rivedere dopo tale lungo lasso di tempo il capolavoro di teatro danza firmato dalla coreografa e regista Julie Ann Anzilotti con le scene del geniale artista Alighiero Boetti (e che rivive grazie al progetto Ric.Ci curato dal critico Marinella Guatterini) vuol dire recuperare immediatamente la sensazione di stare al centro di una visione sospesa tra passato e futuro, catapultati dentro le fuggenti prospettive di un chiaroscuro caravaggesco, quali transfughi perduti in labirinti in cui è facile smarrire la via.

I danzatori volteggiano occupando lo spazio disegnato in modo geometrico in “Erodiade”

Seguendo i movimenti rigorosi dei danzatori, lo sguardo è infatti posseduto e sollecitato ad ampliare la visione, e quasi suggerisce al corpo di acquistare la levità giusta a scalare il cielo: e così fluttuare in alto, osservando sospesi, uno spazio di geometrica perfezione in cui le distanze tra gli opposti si annullano. Laddove l’inferno esplode e il cielo cade sulla terra. Si percepisce il dolore di bellezze sfregiate, l’agitarsi di sentimenti in contrasto perenne. Il Bene e il Male, la paura d’amare, l’eros negato e il terrore di vivere. La costante e drammatica ricerca di un punto di fuga, dove tutto è chiuso dentro linee geometriche, confini e spazi precisi che evocano le cadute terrene, eppure possono dissolversi in un chiarore abbacinante come nell’attimo della decapitazione di Giovanni Battista fotografando l’ansia e il vuoto, la caduta e l’oblìo, “la fame di vento” di Erodiade, donna perduta dentro il dramma dell’esistenza.

Il martirio di Giovanni Battista in “Erodiade” della compagnia Xe

Tornano con forza le tensioni che questo spettacolo suggeriva ieri e suggerisce ancora oggi con assoluto senso di contemporaneità, la ricerca della verità, la voglia di conoscenza che può sfidare l’ignoto, anche quello più oscuro, perchè è da lì che può giungere la via della catarsi. La salvezza.

L’ispirazione viene dal mito di Salomè raccontato per tormentati frammenti dal poeta francese Stéphane Mallarmé. Un grande progetto che iniziò nel 1864, oggetto di stesure continue, mai realizzato fino in fondo, di cui restano il poema “Hèrodiade” del 1887 e l’ultimo, poco prima della sua scomparsa, “Les Noces d’Hèrodiade” _che nelle intenzioni dell’autore doveva essere modello di una nuova scrittura _ e dove il poeta conferma la decisione di lasciare appunto il nome di Hèrodiade invece di quello di Salomè. Non solo. Facendo comparire il personaggio della Nutrice evidenzia il rifiuto a raccontare la leggenda della danzatrice nei canoni di quella figura archetipo che ai suoi tempi è oggetto di molti studi e poemi. Ecco quindi “Hèrodiade”, già motivo di ispirazione nel 1944 di una coreografia di Martha Graham_ in realtà prese spunto dalla poesia “Hérodiade-Cantique de San Jean” _ che ritrova in “Erodiade”, spettacolo della compagnia Xe, il suono e la bellezza struggente dei suoi versi unici e grandi (detti da Gabriella Bartolomei) tradotti nei movimenti eleganti e spezzati dei giovani danzatori sulle musiche sontuose, da raffinato contrappunto, di Paul Hindemith. Ma non sono le stesse note affidate a Graham per il suo balletto, bensì è la scandalosa ed erotica opera originale dello stesso Hindemith (libretto di August Stramm, mette in scena gli scabrosi turbamenti erotici di una suora) “Sancta Susanna”, partitura all’insegna della politonalità e della ricerca timbrica. Forse più simbolicamente in sintonia con la visione di Anzilotti, richiama due eroine così vicine e scosse nel profondo della loro intimità di donna. A completare il puzzle sonoro di “Erodiade” stanno infine le composizioni neoclassiche di Wilhelm Killmayer e Walter Fahndrich che arricchiscono un paesaggio austero fatto di smarrimenti e spiritualità.

La disperazione di Erodiade in un travolgente solo al centro del palcoscenico con la scena disegnata da Alighiero Boetti

Spettacolo al femminile, e intimamente teatrale, “Erodiade” si immerge in un’epoca, quella del diciannovesimo secolo dei vari Baudelaire, Poe, Wilde e lo stesso Mallarmé, restituendolo per immagini e furore sino a giungere, affrontando un conturbante viaggio nel tempo, alla nostra contemporaneità, con le sue paure e i conflitti messi a nudo, cioè tutte le ambiguità possibili di una società votata al consumo e alla perdita del senso. Una discesa all’inferno e una risalita raccontate anche cromaticamente nei preziosi costumi disegnati da Loretta Mugnai come dagli iniziali rossi accesi che evocano il sangue. A suggerirlo è una lunga striscia rossa che divide emblematicamente in due la scena disegnata da Boetti fino ad incontrare al suo limitare un grande cerchio rosso campeggiante in un telone bianco. E poi la luce che segnala l’arrivo dell’Angelo come nell’Annunciazione del Beato Angelico, in un singolare e ardito melange di miti sacri. Angeli e Demoni. Eros e morte. Caos e ricerca interiore. Così indica un armonico gioco di semisfere d’acciaio ricolme d’acqua che, quasi in un esercizio zen, vengono continuamente riempite e vuotate. Un momento rituale che nella ossessiva ripetitività suggerisce lo scorrere del tempo e della vita. La danza è sempre straordinariamente sospesa anch’essa in uno scontro tra movimenti ballettistici e scomposizione teatrale a ricordare parallelamente l’agitare creativo degli anni del debutto. I danzatori, ispirati e di solida presenza, sono tutti giovani e bravi (Paola Bedoni nel ruolo della Nutrice alter ego di Erodiade interpretata da una efficace Sara Paternesi. E poi Giulia Ciani nelle vesti dell’Angelo custode, Sara Ladu in quelli dello Spirito del Bene, mentre Liber Dorizzi è San Giovanni e Laura Massetti lo Spirito del Male) e si muovono con liquida consapevolezza in un quadro di affascinante fissità pittorica. L’impianto di questo allestimento, di forte ispirazione neoclassica, anzi decisamente winckelmanniano, è solido e ben costruito e colloca ancora oggi “Erodiade” in una nicchia di autorevolezza teatrale. La polvere non si è per niente depositata su questo spettacolo di teatro danzato. Al contrario mantiene intatti tutti quei valori che venticinque anni orsono facevano compiere un sensibile passo in avanti alla ricerca e alla cultura della scena contemporanea.


Un momento rituale in “Erodiade”: il continuo travaso dell’acqua in due semisfere d’acciaio

“Erodiade”, spettacolo di teatro danza con la regia e la coreografia di Julie Ann Anzilotti, debuttò nel 1993. E’ stato riallestito a fine anno 2017 dalla compagnia Xe, diretta dalla stessa Julie Ann Anzilotti all’interno del progetto Italian Contemporary Choreography Anni ’80-’90, Ric.Ci/ Reconstruction, curato da Marinella Guatterini andando in scena al teatro Storchi di Modena, al Comunale di Ferrara e al teatro Guglielmi di Massa.

Una scena da “Tango Glaciale” con la regia di Mario Martone in scena sino al 28 gennaio al Piccolo Bellini di Napoli

Coprodotto dal teatro Bellini di Napoli e Danza/Aterballetto, dal 16 al 28 gennaio al Piccolo Bellini di Napoli, in anteprima nazionale, torna in scena sempre per Ric.Ci un altro capolavoro: “Tango Glaciale” di Falso Movimento. Lo spettacolo, che debuttò a Napoli il 27 gennaio 1982 con la regia di Mario Martone, segnò una autentica rivoluzione per la scena contemporanea, non solo nazionale. “Tango Glaciale Reloaded” torna nel suo allestimento originale con una troupe di giovani attori e la regia dello stesso Martone, riallestimento a cura di Raffaele Di Florio e Anna Redi. La prima nazionale è in programma per il 1 luglio al Ravenna Festival.

Un sax sospeso nel vuoto e una scena disegnata con il croma key: “Tango Glaciale” diretto da Mario Martone
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