Teatro
Da Castiglioncello: in scena “La morte e la fanciulla”
Nella quiete di Castiglioncello i turisti girano con il golfino sulle spalle o con i Kway messi in valigia “che non si sa mai”, sorpresi dal freddo inatteso e dalla pioggia di inizio luglio.
Quelli come me, impreparati a tutto, si consolano con un bicchiere di vino bevuto nel ristorante allestito accanto all’imponente Castello Pasquini, edificio caro ai Macchiaioli, che ospita l’edizione del ventennale del Festival Inequilibrio.
Appuntamento da non perdere, non solo per tradizione: il programma della manifestazione 2017 apre spiragli interessanti nei territori della prosa e della danza. Con la direzione aguzza di Angela Fumarola e Fabio Masi, il Festival si è inaugurato lo scorso 21 giugno, ospitando tra l’altro un focus sulla giovane danza araba di assoluto livello, il nuovo lavoro di Silvia Rampelli e Habillé d’eau e ancora Claudia Catarzi, Bartolini/Baronio, Nerval Teatro, Simona Bertozzi, Massimiliano Civica, la compagnia Garbuggino/Ventriglia, Roberto Abbiati, Leviedelfool, Silvia Gribaudi e molti altri.
Allora proverò da oggi a domenica, a tenere una specie di diario, un racconto a puntate di quel che ancora accade.
A partire dagli incontri casuali che si fanno: salendo sulla stradina ombrosa che porta al Castello ci si imbatte non solo in operatori e critici che arrivano da mezza Italia, ma anche in artisti che, pur non essendo presenti nel cartellone, vengono a Castiglioncello per scoprire il lavoro altrui, per confrontarti o semplicemente conoscersi e chiacchierare. Mi piace fare l’esempio dei perugini Occhisulmondo, vivace compagnia che già avevo incontrato al Festival di Castrovillari: con umiltà e coscienza, frequentano i festival da spettatori accorti e consapevoli.
Allora l’atmosfera è serena e disinvolta, di un’allegria che abbraccia e rende partecipi. Quando poi si apre la tensostruttura che fa da teatro, proprio alle spalle del Castello, la piccola comunità si muove per andare incontro allo spettacolo: ieri sera era quello proposto dalla compagnia Abbondanza/Bertoni.
Il titolo è La morte e la fanciulla, ed è un balletto di straziante bellezza, ispirato, ovviamente, al celebre quartetto di Schubert. Dico “balletto”, poiché la coreografia di Michele Abbondanza e Antonella Bertoni è di impianto classico, seppur venata di tensioni e stridori tutti contemporanei. In scena, le tre splendide e intense interpreti – Eleonora Chiocchini, Valentina Dal Mas e Claudia Rossi Valli – partono da una incarnazione, quasi una azione mimata, dell’altrettanto noto e commovente Lied scritto dallo stesso Schubert. Il tema è tragico: la fine di tutte le cose, la scomparsa o la perdita della bellezza. “Dammi la tua mano/bella creatura delicata” dice la Morte.
Non so: saranno i miei cinquanta anni, sarà la consapevolezza di tutto quel che sfugge, sarà la nostalgia, ma questa versione de La morte e la fanciulla è stata per me una epifania di dolore e struggimento. Proprio la bellezza infinita e amara del corpo femminile diventa, nel crescere dello spettacolo, una macabra evidenza del sepolcro, uno stordente “memento mori”.
Le tre danzatrici, dopo il breve prologo, lasciano la scena entrando in una dimensione “altra”: sono seguite, infatti, da una telecamera che riprende in un bianco e nero sgranato il “dietro le quinte”, registra il rumore del fiato, del respiro appesantito dallo sforzo, spostando la dinamica dell’osservazione su un altro piano. Le immagini, proiettate sul fondo del palcoscenico, sono il contraltare freddo e analitico della passione portata in scena. Così, osserviamo cosa c’è al di là, oltre le quinte nere che tagliano l’orizzonte visivo. Ecco, dunque, le tre danzatrici prepararsi per rientrare in scena: sciolgono il morbido nodo di una leggera vestaglia e tornano sotto i riflettori, completamente nude. La nudità, da quel momento, sarà l’algido costume di scena.
La perfetta forma, le volute e le mordidezze di corpi giovani, tesi, muscolosi, nervosi, i lunghi capelli sciolti: nelle dinamiche compositive, sull’incalzante e straziante musica di Schubert, quei corpi sono le Tre grazie di Canova o le tre età di Klimt, sono la danza di Matisse o le affilate sagome di Giacometti, sono Schiele o Masaccio. Sono Erinni e Muse, Baccanti e streghe, Ninfe e animali. Sono la Bellezza, insomma, tagliente come un ricordo, un sogno che svanisce freddo: sono gli scheletri oltre il candore della pelle. Alternando assoli frenetici e passi a due (o tre), con inserti a terra che non risparmiano violenza e fatica. I tempi del quartetto vengono scanditi da scritte proiettate, Allegro, Andante, Scherzo allegro molto, Presto: ma la struttura musicale è la gabbia, la porta stretta attraverso cui passare inesorabilmente. L’erotismo, l’amore, il sesso, la gioia, la vita sono là, che si dissolvono, che si sfumano nella grazia infinita di anime e corpi che non saranno più. E il rimbombo cupo, ostinato, lontano di un tuono fa tremare non certo per il freddo.
La coreografia, vista al debutto, forse è ancora da perfezionare qua e là, magari certe soluzioni sono un po’ semplici (il triplo finale, ad esempio), ma vi è uno struggimento per il tempo che passa così forte da togliere il fiato. Se questa era l’intenzione di Abbondanza/Bertoni e con loro di Eleonora Chiocchini, Valentina Dal Mas e Claudia Rossi Valli, direi che hanno raggiunto lo scopo. Un umanissimo e commovente canto a quel che è stato e non sarà più.
Viene da pensare, allora, che la danza italiana viva anche di eccellenze assolute: nel balletto come nel contemporaneo o nella performance, vantiamo coreografi e danzatori di grande qualità. E così come siamo pronti, giustamente, ad omaggiare gli artisti che arrivano d’oltralpe, dovremmo premiare quantomeno con altrettanto attenzione produttiva oltre che critica, con più strumenti e mezzi, spazi e incentivi quanti, ostinatamente, fanno danza in Italia.
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