Teatro
“Cyrano di Bergerac”, Arturo Cirillo accende il varietà tra Collodi e Modugno
CAGLIARI _ Tra pulsioni verso il non umano, la riduzione del triangolo d’amore di Rostand in un cunto al limite del popolare, Arturo Cirillo mette spavaldamente in mostra le qualità di mattatore della scena, uno degli ultimi, in un allestimento assai visionario tra teatro canzone e varietà, incline comunque a metafisiche escursioni nel mondo aereo e impalpabile dei sogni e desideri d’amore in “Cyrano di Bergerac”. Un allestimento rifatto a misura d’artista e cucito sulla propria abilità d’attore che al centro della scena la domina distribuendo battute, motti di stizza e florilegio di versi. Lo fa con il piglio del capo brigata e la consumata abilità di incantatore da palcoscenico che, partendo dal testo originale di Edmond Rostand (ogni volta al centro di forti attenzioni del pubblico per messe in scena con attori di fama e impegnate regie, teatrali e cinematografiche) in grande parte se ne allontana disegnandone uno dai contorni originali. Pur con riferimenti e spunti di ispirazione, citati e bene in evidenza, indicati senza camuffamenti, come giusto che sia. Dal ricordo del musical curato da Riccardo Pazzaglia con l’interpretazione di un valente Mimmo Modugno, rimasto a lungo nella memoria di diverse generazioni, tra cui quella dello stesso Cirillo che lo vide adolescente al Teatro Politeama di Napoli. Fu un “coup de foudre” che segnerà il futuro teatrante. L’atto fondante, come egli stesso rivela, trentacinque anni dopo, di questa messa in scena con la propria firma come regista. Era, quello di Pazzaglia-Modugno, un’opera che per Cirillo portava le stimmate del suo amato Molière. Di quel lontano spettacolo, come Cirillo stesso riconosce nelle sue note, riprende lo spirito di “contaminazione della vicenda di Cyrano di Bergerac, accentuandone più il lato poetico e visionario e meno quello di uomo di spada ed eroe della retorica”. Alla fine il suo è dichiaratamente un “teatro canzone”, o un modo per raccontare comunque la famosa e triste vicenda d’amore tra Cyrano, Rossana e Cristiano attraverso non solo le parole ma anche le note, che a volte fanno ancora di più smuovere i cuori, e “riportarmi a quella vocazione teatrale, che è nata anche grazie al dramma musicale di un uomo che si considerava brutto e non degno d’essere amato. Un uomo, o un personaggio, in fondo salvato dal teatro, ora che il teatro ha più che mai bisogno di essere salvato”.
Un teatro che ama citare se stesso. Sensazione forte che questo “Cyrano” trasmette è in effetti il gioco delle citazioni e dei rimandi.
Non solo Modugno quindi. Fortissimo il riferimento alla marionetta del Collodi, Pinocchio, che stimolò il geniale Carmelo Bene preso a modello per movenze e inchini dall’attore Cirillo. Il binomio di maschera e vita, dell’essere ed apparire sono un costante alimento del dramma. Così come la scienza d’arme e l’abilità di spadaccino avvolgono l’arte sublime del poetare versi. Un continuo travestimento che conduce a effimere vittorie come cocenti sconfitte. D’altra parte le pagine letterarie già contengono l’essenza di quello che poi a teatro emerge con forza. Cioè lo scivolare continuo nelle contraddizioni del doppio teatrale. Sin nella sua trama. Lo spadaccino Cyrano con un naso smisuratamente grande, che ricorda la marionetta, ama la cugina Rossana in scena simile a una diva hollywoodiana degli anni Cinquanta. Amore non corrisposto, ma mai dichiarato, a lei è indirizzata la poesia. Ma Rossana è perdutamente innamorata di Cristiano, un cadetto illetterato ma belloccio che la donna raccomanda proprio a Cyrano. Questi non solo lo dovrà proteggere dagli assalti in battaglia ma scriverà pure, in sua vece, lettere d’amore alla bella cugina in un singolare triangolo del desiderio. Lettere scritte e anche, sfruttando il buio, declamate sotto il balcone. Frasi per suscitare ammirazione e scatenare la passione. Come in un’opera delle maschere e dell’inganno Cyrano/Cirillo recita davanti al pubblico, e pure davanti all’oggetto della sua passione, e così in presenza di Cristiano. Il gioco del teatro è così un continuo travaso di saggezze e memorie letterarie e di scena. Da dramma delle maschere e dell’inganno, diventa poi tragedia, (quasi) classica alla morte di Cristiano, sicuramente barocca.
E’ cioè un teatro che rigenera se stesso aggiornandosi come un racconto popolare fino a sconfinare nel non umano, difficilmente scrutabile e misterioso. La musica, le canzoni e il ritmo danno i tempi di un varietà da far struggere i cuori riecheggiando i miti antichi. Nel finale tutte le bugie diventano verità, il falso diventa autentico e così il suo contrario. Cadono i travestimenti. Rossana chiede a Cyrano di leggere la lettera d’addio che lei crede sia di Cristiano e, come a teatro, si predispone ad assistere da spettatrice alla sua lettura. C’è così aria di comicità in quell’equivoco che si è protratto troppo a lungo. L’atto che precede la fine ha qualcosa di eroico e commovente allo stesso tempo. La scena è segnata dalla coreografia di corpi che accoglie con delicata pietas la dimensione neo romantica in cui sono sigillati per sempre i ghirigori e le volute barocche di un astruso sentimento d’amore. Da Rossana che ha scelto la clausura per rimpiangere Cristiano e ora capisce che forse non era lui il vero amore e Cyrano, vecchio e malandato, rimasto per tutta la vita fedele al suo pudico amore. Ora però la verità è sovrana. Rossana interroga il cugino che da lì a poco morirà : ”Perché hai taciuto per quattordici anni?”. Il comico si è mescolato al tragico: l’attimo finale in cui la parola cede il passo al silenzio.
Dalla sera del suo debutto, il 28 dicembre del 1897 al Theatre de la Porte de Saint Martin a Parigi, “Cyrano di Bergerac” continua a raccogliere consensi per quell’intrigante gioco del nascondere e svelare. L’amore fa da padrone ma non solo. Sotterraneamente nel testo del libertino Rostand si scova l’intelligente e amara critica al potere del tempo che elimina chi non è allineato ai disegni di chi lo detiene. Ben poca cosa è cambiata sotto i nostri cieli. L’adattamento, per molti versi originale e curioso di Arturo Cirillo d’altra parte stimola in questa direzione spostando la vicenda in uno spazio tempo indefinito.
Compagni di strada del mattatore Cirillo, autore di adattamento, regia e scene sono, con bella intesa tra loro, Irene Ciani, Rosario Giglio, Francesco Petruzzelli, Giulia Trippetta e Giacomo Vigentini. Le scenografie sono di Dario Gessati, costumi di Gianluca Falaschi e le luci di Paolo Manti, con le musiche originali di Federico Odling. La produzione è di Marche Teatro, Teatro di Napoli, Teatro Nazionale di Genova, Emilia Romagna Teatro/Ert Teatro nazionale.“Cyrano de Bergerac” è stato visto nei giorni scorsi in questa edizione al Teatro Massimo di Cagliari, nella programmazione del Cedac, sempre più attenta alle tematiche del contemporaneo, pur all’interno di un cartellone gioco forza generalista. Repliche: Dal 5 al 7 aprile al Teatro Duse di Bologna. Dal 17 al 28 aprile al teatro Ambra Jovinelli di Roma e infine al teatro Verdi di Padova dall’8 al 12 maggio.
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