Teatro

Cuore di cane: un Faust diluito al Piccolo

23 Gennaio 2019

A metà strada tra Kafka e Orwell, la metamorfosi raccontata da Michail Bulgakov in «Cuore di cane», andato in scena ieri sera al Piccolo, non degrada l’uomo trasformandolo in insetto, ma al contrario eleva l’animale, nello specifico un cane, al rango di uomo, o meglio di omuncolo: difficile essere uomini sotto un regime. Scritto nel 1925, in pieno bolscevismo, e prevedibilmente vietato in Russia fino al disgelo, nel 1987, «Cuore di cane» attacca il suo presente senza salvare nessuno: né il professore positivista, nostalgico borghese in polemica con l’autorità, né la sua cavia, il cane-uomo che eredita le peggiori caratteristiche di entrambe le specie. Da una parte un nemico del popolo, ma vile, dall’altra un potenziale braccio violento del partito: forse il dottore poteva pensarci due volte prima di trapiantare un’ipofisi umana in un corpo canino. La sua ricerca faustiana provoca un grottesco salto tra le specie, col risultato di una bestia umanizzata subito ribelle, che corre a denunciare il suo padrone a qualcuno di più potente.

Lo spettacolo, nella versione di Stefano Massini con regia di Giorgio Sangati, è ambientato in un futuro distopico vintage, con rimandi in cui si riconosce più la cupezza di «Frankenstein» che il grottesco di Bulgakov: primo tempo tra uomini e cani, con il professor Preobražénskij che tenta di educare il suo ragazzo selvaggio, secondo tempo “da salotto” in cui i rapporti con Pallino, diventato il compagno Pallinov, degenerano fino all’intervento dell’autorità e alla finale inversione dell’operazione chirurgica – che avviene fuori scena. Sandro Lombardi è Preobražénskij, verboso e (volutamente) pedante nei dettagliati resoconti dei suoi esperimenti, Paolo Pierobon comincia come randagio, per poi subire un tentativo di addomesticamento tipo “my fair Pallinov”, anche se finirà più come Hannibal Lecter, Giovanni Franzoni è il dottor Bormentàl’, l’aiutante del professore. Completano il cast la cuoca e la sguattera, rispettivamente Bruna Rossi e Lucia Marinsalta, oltre al commissario del popolo Lorenzo Demaria.

Come quasi sempre avviene negli adattamenti di Massini, tutto è chiaro, limpido e funzionale: non servono sforzi per capire la drammaturgia. Quanto al lavoro di Sangati, il regista scansa il grottesco puntando al filosofico, ma con troppa linearità: ad esempio la prima parte alterna qualche invenzione visiva, per l’esperimento – le scene sono di Marco Rossi, i costumi di Gianluca Sbicca –, a interminabili monologhi di Lombardi detti con un’intonazione cavillosa che sembra uscita da un passato che, oggi, è una terra straniera. Meglio la direzione di Pierobon, almeno da quando smette di fare il cane e inizia il suo percorso tra le parole e le cose, con l’intento di nominare il mondo con articolazione crescente ma comprensione decrescente della società.

Il problema dello spettacolo è che si limita a fare del romanzo – che non è forse tra i migliori di Bulgakov – un racconto satirico per intrattenere il pubblico, quasi sganciandolo da un presente di cui la regia sembra non occuparsi granché, se non superficialmente, sia nella forma sia nel contenuto: non basta rivolgersi alla sala o fissare una gabbia sotto il palco per sfondare la quarta parete, per arrivare a un coinvolgimento emotivo, politico o etico, suggerendo che quanto sta avvenendo in scena ci riguarda tutti. Eppure si parla di scienza, di identità, di questioni morali esibite e nascoste: «Cuore di cane» sarà anche un «Faust» diluito, ma è pur sempre un «Faust».

 

 

 

 

 

 

 

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