Teatro
Crudeli e irriverenti: ecco il teatro de Les Chiens de Navarre
Aggressivi, caustici, ironici, violenti, dissacranti, erotici, cinici…
Si fanno chiamare Les Chiens de Navarre, sono un collettivo di attori-autori e stanno riscuotendo successo in mezza Europa. Potremmo definirli una versione aggiornata e francofona dei Monty Python, oppure uno strano melange tra Jacques Tati e Peter Sellers, con un tocco di cattiveria in più. Il gruppo è composto da una dozzina di persone e in Francia è sotto i riflettori almeno dal 2012, apprezzati da critica e pubblico – tanto da essere invitati anche al prestigioso Bouffes du Nord, che figura tra i coproduttori dell’ultima creazione.
Les Chiens fanno spettacoli impostati su un canovaccio tematico-contenutistico che poi sviluppano e aggiornano, sera dopo sera, con ampi spazi di improvvisazione, in un rapporto non sempre garantito con il pubblico.
Possono non piacere: il grado di provocazione che raggiungono è tale che il pubblico può rifiutare o rinnegare le loro proposte; e in più, nell’evidente e costante “apertura” delle scene, non tutte le sequenze riescono al meglio. Ma hanno la forza di asfaltare luoghi comuni e cliché, di spiattellare verità scomode e contraddizioni palesi del sistema sociale (francese ma non solo).
Les Chiens de Navarre, dunque, almeno per quel che ho visto, stanno avviando un percorso originale verso stilemi scenici diversi: pur nella consueta costruzione performativa basata su numeri e sequenze che si susseguono senza apparente filo logico (se non un blando e sottile filo rosso emotivo), il gruppo “coordinato” dal regista Jean-Christophe Maurisse, si muove non solo per scardinare il concetto stesso di rappresentazione, ma anche per superare i triti luoghi comuni della destrutturazione, demistificando oltre ogni immaginazione qualsiasi punto fermo. Ben oltre il postmoderno e il postdrammatico, la compagnia propone qualcosa di ambiguo, di sottile per quel che concerne i meccanismi scenici: siamo di fronte, insomma, a un curioso tentativo di reinventare la realtà raccontandola con una performatività che slitta continuamente tra un ironico, grottesco anche scurrile neorealismo e una poeticità allusiva che dà linfa alla creazione.
Lo spettacolo che ci è toccato in sorte è Quand je pense qu’on va vieillir ensemble.
Il pubblico entra e si trova di fronte a una scena aperta, ricoperta di terra scura, con un divano scrostato e poco altro. Loro, sul palco, sono orribili: denti finti, sono brutti, sporchi e cattivi, vestiti malissimo. Giocano alla petanque, gridano contro il pubblico, mentre fiati barocchi danno un tono da parodistica marcia solenne.
La sequenza va avanti a lungo, tra approcci sessuali e nudità. Poi un repentino cambio scena: sedie allineate e un playback magistrale di I’ve been loving you too long, tutto giocato su una estrema provocazione erotica. Ancora stacco radicale e la scena riporta a uno dei tanti centri per l’elaborazione del sé, quasi una terapia di gruppo in cui due “esperti” guidano la verbalizzazione dei sentimenti, con esiti esilaranti. Poi un’altra situazione: la preparazione per un colloquio di lavoro e la selezione del personale, di devastante comicità. E ancora e ancora: è incredibile quello che un performer riesce a fare con il proprio pisello…
Un quadro dopo l’altro si sciorinano incertezze e arroganze, amori e separazioni, esplosioni di violenza e gesti di gentilezza.
Bravi, bravissimi, intelligenti e spavaldi in scena, Les Chiens procedono per accumulo, in una festa di clownerie, in un carnevalesco ritratto delle paturnie e delle malattie della vita parigina e non solo. Gioventù, o umanità, non bruciata ma persa.
Ben al di là del cupo perbenismo borghese a-là Yasmine Reza, qui il racconto del presente assume i toni di una danza macabra. Per Quand je pense qu’on va vieillir ensemble la suggestione iniziale era un libro di Stig Dagerman, Il nostro bisogno di consolazione: e gli esserini umani tratteggiati nello spettacolo sono creature sole, al limite della disperazione, egoiste nella loro vacuità, bisognose di apprendere come vivere o quanto meno sopravvivere. Ce la faranno? Il finale è affidato a due strane creature, liriche e poetiche nella loro semplicità, esseri mascherati, dall’identità indefinita, che tra sottili nostalgie e parole appena sussurrate lasciano con un retrogusto amaro il pubblico. Non ci sono risposte, sembrano dire Les Chien de Navarre.
Visto al Festival Mess di Sarajevo, lo spettacolo ha suscitato reazioni diversissime: applausi ed entusiasmo (soprattutto giovane) ma anche fughe e indignazione. A me resta la curiosità di vedere cosa altro combineranno in futuro.
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