Teatro
Cronaca di due seduttrici in scena a Milano
La signorina Lavia si fa signora al Teatro Franco Parenti fino al 22 gennaio. E non una signora qualunque, ma la scandalosa protagonista delle pagine di Flaubert: quella Bovary generatrice di aggettivi, anzi di uno degli ismi più di moda ancora oggi, coniato dal filosofo Jules de Gaultier. Il bovarismo dell’insoddisfatto, del sognatore piantagrane che evita la realtà e cerca nella lamentela un equilibrio che non ha alcuna intenzione di trovare. Ma in fondo, più sottilmente, chi non ha mai sostituito a un’aspirazione un imperativo? O scambiato un desiderio per vocazione? Magari gonfiandosi nell’illusione di essere altro, pur di non fare i conti con uno stato di cose che potrebbe – guai ad ammetterlo – perfino piacergli.
Queste in sintesi le ragioni della caduta dell’antieroina più insopportabile dell’ottocento, che qui rivive nel bel taglio claustrofobico del regista Andrea Baracco, con i personaggi ingabbiati in un’astratta impalcatura dove non c’è spazio nemmeno per un sentimento. Conta solo il perpetuo attacco isterico pre-Charcot della protagonista, le giravolte compulsive, i percorsi senza meta su e giù per scale che si ostinano a non portarla dove vorrebbe. Perché non c’è amore a Yonville e forse nemmeno desiderio. Solo una voglia senza oggetto: Emma non vive affatto per quegli amanti che la umiliano, né per quegli abiti che non può permettersi. Ogni cosa è equivalente, purché non cessi l’inseguimento a vuoto, purché non svanisca quell’io sognato irrimediabilmente sfuggente, con la soddisfazione masochista di chi l’arsenico lo divora a manciate ben prima di suicidarsi davvero.
C’è tutto questo nella messinscena di Baracco, che si sviluppa nelle logiche di un melodramma donizettiano distorto – la pazzia di Lucia di Lammermoor, citata anche da Flaubert, segue il declino di madame. Forse è un difetto l’eccessiva aderenza al romanzo, che non fa sconti sulla durata dello spettacolo. Quasi tre ore – compreso intervallo – che però scorrono, interamente sulle spalle di Lucia Lavia. E se alcuni passaggi sono faticosi, con l’enfasi dell’interpretazione che diventa esercizio di gesti e vibrati, certamente una Bovary così anti sentimentale va vista. Buono il resto del cast, tra cui emerge «l’idiot de famille» Charbovari ben interpretato da Woody Neri. Funziona la figlioletta Berthe come Pinocchio al femminile mossa da Roberta Zanardo con quell’intensità che può dare solo una marionetta.
Sempre fino al 22 gennaio al Teatro Carcano è in scena un’altra collezionista di uomini, nel clima metateatrale e un po’ strehleriano di questa delicata Locandiera diretta da Andrea Chiodi. Attori, personaggi, lo stesso Goldoni prendono vita attorno a un tavolo lungo tutto il palco, che ricorda il Don Giovanni di Robert Carsen, riferimento non casuale per questa Mirandolina che canticchia Là ci darem la mano non appena ha un attimo di tregua dai suoi ospiti così esigenti. Il Conte, il Marchese e il Cavaliere: incapaci di contegno i primi due, virilmente indifferente al secondo sesso l’ultimo. Molto sensata perciò la scelta di un Conte en travesti e di un Marchese non del tutto maschile nei modi.
Nello spettacolo ogni personaggio ha un suo doppio in una poupette, che è insieme feticcio infantile, utile didascalia nel trambusto della locanda, ma anche una scusa per l’ispirazione drammatica, quasi un portale d’accesso di ogni attore agli amori e disamori di questa vicenda di seduzione. Così il teatro diventa un gioco, brioso e d’insieme quando è esposto, intimo e discreto se si sposta sotto al tavolo. E come ogni gioco, la sua fine rende tristi, nonostante tutte le allegrie vissute. Lo spettacolo si chiude in un diminuendo inatteso, capace di smaterializzare quel mondo di marionette montato per incanto scena dopo scena.
Ottima la compagnia Proxima Res, dalla Mirandolina insieme dolce e cinica di Mariangela Granelli, all’esilarante effemminatezza del Forlimpopoli di Tindaro Granata, vulcanico sempre con gusto. Gusto che sta anche nelle luci, nei costumi, nelle parrucche, nelle canzoni anni trenta di Mascheroni e Mendes che danno vita a questa malinconica casa di bambole fiorentina, in cui la riflessione sul teatro diventa spinta propulsiva per raccontare una storia. È da notare quanto Goldoni sia forse, tra i classici, uno dei meglio rappresentati degli ultimi anni: da Le donne gelose diretto da Giorgio Sangati, a Il bugiardo di Valerio Binasco, a Gli innamorati di Andrée Ruth Shammah.
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