Teatro
Così semplice, così umano
Continua il diario di Milo Rau, che qui richiama il lavoro – umano, umanissimo – fatto da Pier Paolo Pasolini. Girare un film a Matera vuol dire confrontarsi con la sua gente, con i volti, con le storie, con i ricordi di questa città impregnata di passato. Ma vuol dire anche fare i conti con la realtà contemporanea, con l’immigrazione, con lo sfruttamento e il lavoro nero del Sud Italia. Milo Rau ha messo assieme il Vangelo e la politica, il cinema e la vita, il teatro e il coinvolgimento individuale e collettivo di tanta gente. Il prossimo fine settimana, il regista girerà ancora il suo film materano: e nella città dei Sassi c’è molta attesa per capire, per vedere il lavoro nel suo farsi. Poi, a Roma, al Teatro Argentina, una assemblea pubblica segnerà la fine (momentanea) di questo processo di lavoro e di creazione. un incontro in cui parlare dei temi emersi, in cui confrontarsi e ascoltare: non sarà la Resurrezione di Cristo, dopo il calvario e la crocifissione di Matera – Milo Rau non crede ai miracoli – semmai potrebbe essere un respiro nuovo, collettivo, una consapevolezza raggiunta su cui continuare a indagare. Il tempo di un approfondimento, dunque, che possa dare senso e forza rinnovata al teatro e, forse, al Vangelo.
(Andrea Porcheddu)
Così semplice, così umano
Due anni fa ho messo in scena a Zurigo un adattamento del brutale film di Pier Paolo Pasolini “Salò, o le 120 giornate di Sodoma” con gli attori e attrici della compagnia Theater Hora, i cui componenti, per dirla con Wikipedia, soffrono tutti di “disabilità intellettiva”. Durante le prove abbiamo visto anche un altro film del cineasta italiano: “Il Vangelo secondo Matteo”.
Ricordo bene le sensazioni che questo film in bianco e nero così puro provocò alla compagnia Hora. Alcuni protestavano infervorati alla condanna di Cristo da parte dei sommi sacerdoti e del governatore romano, altri piangevano mentre veniva torturato e crocifisso. Questo film di oltre due ore – un capolavoro, nonostante i 55 anni – risulta noioso per un pubblico “normale”. A delle persone con “disabilità intellettiva”, invece, le scene bibliche hanno suscitato le reazioni più spontanee: rabbia e compassione.
Ora che, come Pasolini a suo tempo, sto girando un film sul Nuovo Testamento a Matera, ma dal canto mio con rifugiati e contadini, mi tornano in mente le prove di “Sodoma”. Non solo perché nelle ultime settimane ho rivisto più volte il film cristico di Pasolini, sia in proiezioni improvvisate nei campi profughi che con i tecnici al momento di preparare i sopralluoghi per le riprese.
No. È soprattutto perché d’un tratto ho realizzato quanto Pasolini abbia plasmato il tutto in maniera così essenziale e umana. O detta altrimenti, come mai il film avesse questa forza. Come nel mio film, i ruoli sono assegnati a persone incontrate per strada che Pasolini trovava interessanti. E questo rende la sua opera biblica solo apparentemente un film su una divinità. In realtà è un film sulle persone che lo interpretano.
Nessun regista lavora così nel dettaglio – e drammaturgicamente con tale futilità – alle inquadrature delle scene di massa come Pasolini. Quando Gesù parla, per più della metà del tempo si vedono i suoi ascoltatori: gente del popolo, gente dal viso consumato, amici di Pasolini. Si percepisce l’amore con cui la telecamera contempla i volti degli interpreti. E si percepisce che solo un film biblico che non sia frutto di devozione o ipocrisia può restituire questa grazia.
L’aneddoto più bello però me l’ha raccontato il sindaco di Matera, un uomo di 84 anni che fece la comparsa per Pasolini. Nel nostro film interpreta Simone, che aiuta Gesù a portare la croce. Il Gesù di Pasolini, mi ha raccontato, viene crocifisso rivolto verso Matera: mentre muore guarda la città, le persone. Il che è cinematograficamente svantaggioso, perché in tal modo il Redentore o l’ambientazione di Gerusalemme si possono inquadrare solo separatamente. Nella “Passione di Cristo” di Mel Gibson, anch’esso girato a Matera, la città è al contrario solo uno sfondo: il Cristo muore sulla croce voltando le spalle all’umanità.
È proprio questo appassionato rispetto, questa pietà così semplice e diretta, che ha fatto sciogliere gli attori di Hora in lacrime. E naturalmente tutti volevano interpretare Gesù.
Milo Rau
(Traduzione di Riccardo Benedy Raschi)
Nella foto di copertina: Rau (a sinistra) e il cameraman Thomas Eirich-Schneider (destra) discutono una scena del film di Pasolini, durante le riprese de Il Nuovo Vangelo. Foto di Armin Smailovic, per gentile concessione.
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