Teatro
Così facciamo tutti
Bisognerebbe rendere eterno omaggio a Lorenzo Da Ponte, nato Emanuele da Geremia Conegliano. Bisognerebbe studiarlo a scuola, questo prete libertino, mezzo truffaldino, emigrante, insegnante universitario, impresario in perenne fallimento. Perché è certo: risuona il genio immortale di Mozart, ma lui, Lorenzo, ha scritto – o riscritto, adattato, come volete – tre opere che hanno cambiato il corso della storia. Le nozze di Figaro, Don Giovanni, e Così fan tutte. Che altro volete?
C’erano dei precedenti, vero: nella trilogia, Da Ponte misura il suo genio con Baumarchais, con la tradizione spagnola e con Molière, ma alla fine lui si libra felicemente nel Così fan tutte. E che capolavoro!
Si sa: il libretto non godette di grande successo. C’è voluto il secolo della devastazione, il Novecento, per farne cogliere appieno profondità e verità. Per coglierne l’ironia, la sorniona empatia, i rimandi e i riferimenti colti, la briosità delle immagini, e soprattutto, la capacità di narrare le contraddizioni e le ricchezze dell’animo umano.
Giustamente Strehler, in prova, diceva con un sorriso: “Il titolo dovrebbe essere Così fan tutti!”. Ed è vero, ah quanto è vero: così, proprio così, siamo tutti.
E che freschezza, che gioia, che libertà nelle parole del libertino.
Cosa è il libertinaggio? Non tanto scavallare i limiti, figuriamoci: nulla a che vedere con gli eccessi e gli spasmi bassoventreschi spavaldi ed egoisti di oggi. Ma no, quel libertinaggio settecentesco era vivere sul limite, sperimentare sempre e comunque – sul ciglio della catastrofe: ovvero essere, incarnare il limite.
Così fa Don Alfonso e così fanno i due baldi giovanotti. Ma altrettanto faranno le gentili Dorabella e Fiordiligi, coadiuvate e incoraggiate dalla disincantata ed emancipata Despina.
È un ritratto vivo e vero quello che emerge da questi personaggi: più consapevoli, molto più consapevoli di quel che la tradizione ha voluto, troppo a lungo, riconoscere. Sono personaggi di grande, vivace, contemporaneità.
Ben ha fatto, allora, il maestro Graham Vick, per il Teatro dell’Opera di Roma, a spogliare il Così fan tutte, di quell’armamentario partenopeo e frizzantino settecentesco, rivendicandone la natura quasi ipercontemporanea e protofemminista.
Coraggiosamente ha chiuso – letteralmente – la vicenda tra le pareti asettiche di una scuola (certo, la “scuola degli amanti”, filologicamente, come recita il sottotitolo), con Alfonso che è un professore amico – ma non come lo stucchevole Attimo fuggente – e i due, Guglielmo e Ferrando, sono allievi un po’ cresciutelli, liceali romantici e pronti all’avventura.
Avventura che, come si sa, non tarderà a realizzarsi.
Nella scuola, tra banchi, lavagne e videoproiezioni, evidentemente studiano anche le innamorate, le due giovani sbarazzine, dapprima salde nella pretesa fedeltà poi, al pari dei ragazzi, gioiose nel divertirsi. Ecco il grande scandalo: due donne che scelgono di giocare, di vivere, di farsi libere (o libertine).
Dovrebbero essere ‘punite’ come si usa oggi a colpi di acido o di coltellate? Per fortuna no: Mozart e Da Ponte sanno la natura umana, ed evocano, giustamente, la ragione: «Fortunato l’uom che prende/Ogni cosa pel buon verso,/e tra i casi e le vicende/da ragion guidar si fa» dice in chiusura Don Alfonso. Chissà, anche lui forse più per esperienza diretta che non per teorica saggezza.
L’allestimento dell’Opera di Roma, di bell’impatto, rallegrato da poche, colorate invenzioni all’interno della contestualizzazione generale voluta da Vick, conta su un cast giovane e preciso. Nella serata che ci è capitata in sorte, abbiamo ascoltato le brave Federica Lombardi come Fiordiligi e Paola Gardella come Dorabella, Mattia Olivieri come Guglielmo e Antonio Poli come Ferrando. Il solidissimo Paolo Bordogna era Don Alfonso mentre la bravissima Daniela Pini ha dato carattere e humour a Despina. Sul podio la trascinante novità di Speranza Cappucci: romana, donna, il gesto ampio, vivace, quasi danzato guida bene l’orchestra e il coro (benissimo anche al fortepiano) dando smalto e slanci che giovano all’allestimento e mettono a loro agio – almeno così a me è sembrato – gli interpreti. Vorremmo vederla molto più spesso sul podio capitolino.
Il Costanzi era pieno, pubblico felice, volti giovani assieme ai canuti di sempre. Bei segnali, ancora una volta, per la rinascita del Teatro dell’Opera di Roma.
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