Teatro
Cose belle di fine stagione
Due belle cose da segnalare. Bei testi, che suonano alti, netti, che colpiscono come una freccia – che sia d’amore o mortale.
La prima è una “semplice” lettura, nell’arioso e appartato giardino de La Casa delle donne, a Trastevere. La seconda è Elettra, al festival AdArte di Calcata.
Daria Deflorian, da par suo, ha letto – o meglio, ha dato voce – a L’altra figlia, un racconto di Annie Ernaux. Ed è stato un incanto, lieve e struggente.
Semplicemente l’attrice al leggio e le parole dell’autrice francese, pubblicata oltralpe da Gallimard e in Italia nelle eleganti edizioni de L’Orma: null’altro per avvolgere il pubblico di un manto fatto di tenerezza e dolore, un’evocazione lucida, poetica, di una vita possibile. Deflorian ha definito Ernaux “la mia scrittrice del cuore”, e si avverte un’empatia tra lo stile privato e politico della francese e la teatralità trattenuta e intima di Daria.
Attrice di talento, fragile e potente, Deflorian è ormai un gigante della scena italiana: ha un passato lungo, a tratti duro, fatto di sperimentazione, di percorsi diversi, di quella “gavetta” onesta e feroce vanto di pochi. Non si è mai arresa e ha saputo creare, con il tempo, un suo stile, un modo delicato – a volte timido, dubitativo – eppure vero, essenziale, incisivo, di stare in scena. L’incontro con Annie Ernaux, ancora solo per questo reading, spero possa continuare. Perché Deflorian può affrontare al meglio la consapevole, ampia, personalissima prosa della scrittrice, in cui sono messi in gioco tanti elementi, che evocano la storia collettiva francese e europea dal dopoguerra ad oggi. Con tratti commoventi e umanissimi, in romanzi come Il posto o Gli anni, Annie Ernaux parla di se stessa e del nostro tempo spingendosi spesso a una lucidità che può far male.
Dobbiamo alla nuova associazione DoppioRistretto di Debora Pietrobono, con Silvia Barbagallo e Santa Di Pierro, la serata alla Casa delle donne, nell’ambito di un più ampio progetto che attraversa l’estate romana con appuntamenti di raffinata efficacia. Il pubblico, estasiato, ha applaudito a lungo: Daria, per la sua dote di srotolare con semplicità affetti sereni e inquieti, la Ernaux (in assenza) per i libri che dona.
Di Elettra, invece, volevo scrivere da tempo. L’avevo visto, e mi era piaciuto molto, al Teatro Vittoria, dove lo spettacolo ha vinto la rassegna Salviamo i Talenti. E invece – sbagliando – ho rinviato, col pensiero che “sì, va bene, ma è una sorta di opera prima, chissà quando si rivede, aspettiamo”, etc….
Insomma, una mia svista critica, un eccesso di prudenza, una pigrizia inutile.
Poi il lavoro della compagnia Wanderlust Teatro è tornato in scena a Calcata, confermando le sue doti. Intanto, vale la pena sottolineare che è il testo di Hugo von Hofmannsthal d’inizio novecento, e non la tragedia classica sofoclea ad essere messo in scena (e già questo merita attenzione), poi è il regista Giuliano Scarpinato a firmarne una edizione asciutta, tagliente, efficace. Di questo giovane ex allievo della scuola dello Stabile di Torino avevamo conosciuto Fa’Afafine, lo spettacolo per ragazzi (vincitore di premi di settore) che affronta acutamente il tema delle differenze di genere. Tanto questo era vivace, colorato, visionario, Elettra è invece rigoroso, addirittura algido. Affidata a un gruppo di giovani interpreti, la tragedia di Hofmannsthal esce rivitalizzata, potentemente giocata in tutte (o quasi) le sue possibili sfaccettature.
Si sa, il clima del bel testo era quello freudiano, impregnato di psicoanalisi – anche Elettra è portatrice del suo bel complesso – spesso introverso, claustrofobico, solo a tratti esplosivo e estroflesso. Suggestioni tutte che ben si incardinano in una scena tutta veli con al centro un sontuoso tavolo da pranzo. Nel salotto borghese si compie, ora e sempre, la tragedia, la metafora di uno scontro generazionale, sessuale, economico, di potere, che si cela – morboso – dietro le apparenze, proprio come Elettra si nasconde reietta, a inizio spettacolo, sotto la candida tovaglia.
Scarpinato spinge i suoi attori a una interpretazione tesa, aguzza. Spiccano, nel ruolo protagonista, l’intensa Giulia Rupi, che fa di Elettra una dropout vibrante passione; e la straordinaria Elena Aimone, attrice di sorprendente talento nel ruolo di Clitennestra. Contraltare umanissimo e devastato della pasionaria Elettra, questa Clitennestra è un personaggio memorabile che segnala la Aimone tra le eccellenze interpretative della stagione. Con loro in scena Raffaele Musella a far Oreste; Eleonora Tata, brava nel ruolo non facile di Crisotemi; l’aspra guardiana di Francesca Turrini (a Calcata era Francesca Mària), e ancora le serve genettiane di Anna Charlotte Barbera e Valentina Virando (a Calcata Claudia Benassi), Elio D’Alessandro e infine l’Egisto di Lorenzo Bartoli.
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