Teatro

Con l’Edipo Re di De Rosa, un rito che non smette di parlarci

15 Febbraio 2025

Napoli. Uno spettacolo come l’Edipo Re di Sofocle realizzato e diretto da Andrea De Rosa (traduzione di Fabrizio Sinisi) può essere descritto con più o meno diligenza, si può tentare di interpretarlo cogliendone la posizione propria rispetto all’attuale contesto artistico-teatrale e esplicitandone le dinamiche interne, deve esser fatto oggetto di un equilibrato giudizio critico. È così. Ma c’è una domanda che precede tutto: da dove traggono origine l’urgenza e la necessità di portare in scena ancora oggi Sofocle, e di Sofocle soprattutto questa tragedia? E perché questa domanda deve precedere le azioni di cui si è detto prima? Perché l’arte funziona così e occorre ribadirlo e tenerlo presente stabilmente: o è in totale ed efficace interazione politica con la realtà oppure non è arte. Oggi più che mai. Nel caso di questo spettacolo, che ha debuttato a Pompei nella scorsa stagione e ha ripreso a girare con tappe nelle più importanti realtà teatrali italiane, appare abbastanza evidente che la febbrile, dolorosa, inquietudine che lo attraversa in tutto il suo dispiegarsi altro non è, né può essere, che il rispecchiamento della più inquietante delle domande che l’umanità sta ponendosi in questi anni: ovvero, quanto possiamo andare avanti con la conoscenza e la conseguente elaborazione tecnologica senza renderci conto che, se è disumano negarle o limitarle, lo è altrettanto non riuscire a dominarle eticamente. Non può essere una recensione teatrale il luogo per affrontare il merito filosofico, sapienziale e pre-cristiano di una questione del genere, ma non c’è chi non vede di quanto sia vitale l’archetipo mitico sotteso al testo tragico sofocleo. Da questo puto di vista non appare dubbio che lo spettacolo di De Rosa presenta un tratto di evidente riflessione filosofica che esclude ogni traccia di improvvisazione o di superficialità: è uno spettacolo profondamente meditato in ogni strato, segmento, gesto, immagine della sua formalizzazione. È meditato nella traduzione del testo sofocleo curata da Fabrizio Sinisi che, pur non rifiutando la sfida vertiginosa del pensiero, si presenta come un testo di tersa e geometrica chiarezza. È uno spettacolo profondamente meditato nell’allestimento scenico (curato da Daniele Spanò) e nel disegno luci (di Pasquale Mari): ci si confronta non tanto col portato metaforico della luce e dell’oscurità come emblemi della conoscenza e dell’ignoranza (anche posizioni invertite), quanto con i segni della luce, dell’oscurità e dell’ostruzione al vedere o all’esser visti, determinati da meccanismo tecnologici e artificiali, ovvero gruppi-luce, fari, e schermi in plexiglass (variamente sporcati e segnati) disseminati nella scena e posti davanti agli attori con la sola eccezione centrale e fatalmente irrisolta di Edipo. Si tratta infine di uno spettacolo profondamente meditato anche nella resa degli attori, (Francesca Cutolo corifea, Francesca Della Monica corifea, Marco Foschi Edipo, Roberto Latini Apollo e Tiresia, Frédérique Loliée Giocasta, Fabio Pasquini Corifeo e Creonte) che, non solo danno luogo, veramente tutti, a una solida prova attorale, ma soprattutto riescono a  incarnare l’idea di un teatro concettuale che, restando ben saldo nella dimensione critica e auto-riflessiva della contemporaneità, si presenta non come semplice spettacolo ma come rituale umanissimo, coinvolgente e condiviso d’illuminazione interiore, crescita, consapevolezza. In questo contesto vanno evidenziate le prove di Roberto Latini che, con rigorosa disciplina d’artista, mette al servizio del suo campo d’azione, di interpretazione e d’invenzione la sua consueta dimensione fisica e vocale e la sua autorevolezza, e Frédérique Loliée che non impone né subisce passivamente il suo accento straniero, ma lo esercita con sorprendente intelligenza come ferita e segno di una estrema e irraggiungibile alterità femminile. Ecco il nodo: per quanto sembri, apparentemente, di trovarsi davanti ad una atmosfera noir, lo spettacolo, man mano che va dispiegandosi, si configura invece come un rito che attraversa gli attori e coinvolge esplicitamente il pubblico. Chi è il colpevole della peste, del contagio, delle morti, del male, della devastazione della città, dello stato, della società? Chi è? “sei tu” Edipo, dice Tiresia/Apollo seccamente rivolto al re di Tebe e, altrettanto direttamente, al pubblico. Nell’autenticità vitale di questa risposta, che viene giustamente posta al centro senza banalizzarla, c’è la forza del testo sofocleo e la sfidante necessità di questo spettacolo. Visto a Napoli, il 5 febbraio 2025, sulla scena del Teatro Mercadante.

 

EDIPO RE di Sofocle

Napoli Teatro Mercadante, dal 5 al 16 febbraio. Traduzione di Fabrizio Sinisi, adattamento e regia di Andrea De Rosa. Con Francesca Cutolo, Francesca Della Monica, Marco Foschi, Roberto Latini, Frédérique Loliée, Fabio Pasquini. Scene di Daniele Spanò, luci di Pasquale Mari, suono di G.U.P. Alcaro, costumi di Graziella Pepe (realizzati presso Laboratorio di Sartoria del PICCOLO TEATRO DI MILANO – TEATRO D’EUROPA). Produzione: Teatro di Napoli – Teatro Nazionale, TPE – Teatro Piemonte Europa, LAC Lugano Arte e Cultura, Teatro Nazionale di Genova, Emilia Romagna Teatro ERT / Teatro Nazionale. Crediti fotografici: Andrea Macchia.

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