Teatro

come fossi (ancora) una bambola: quotidianacom vs Ibsen alle moline di bologna

17 Gennaio 2023

 

In scena in questi giorni del 2023 al Teatro delle Moline di Bologna ci sono i Quotidianacom assieme ai fantasmi di Henrik Ibsen: A casa, bambola! (prodotto in collaborazione con ERT – Teatro Nazionale e dal Teatro della Caduta), titolo che non indulge a fedeltà al testo, mantenendo però un saldo contatto col classico dramma, facendo di questa pièce un rapsodico metateatro di intime parodie.

Tutto nei lavori dei Quotidianacom è possibile, tranne che una trama lineare. Mai una fedeltà filologica, nemmeno a se stessi. Si parte con Lui nudo di spalle e un proscenio altrettanto spoglio. C’è tutto il tempo di scorrere l’epidermide del lato posteriore di Roberto Scappin, illuminato a dovere, per cogliere financo le nervature tese dei polpacci. Lei, Paola Vannoni (assieme formano i Quotidianacom) è immobile sulla diagonale che dai talloni di lui taglia il palco; prende atto della nudità dell’uomo, cosa pensa non lo sapremo mai.

Ispirati dal celebre testo di Ibsen un uomo e una donna s’invitano su un palco a “far finta di fare” Casa di bambola. Giocano coi significati e i simboli di un classico commentato da Antonio Gramsci su L’Avanti del 1917. Era, per il futuro segretario PCI, il dramma spirituale di una borghesia “grossa e piccina”, che s’indigna davanti al finale del famoso terzo atto.

Il terzo atto che fece scandalo alla fine dell’800, quello in cui Nora decide di abbandonare la famiglia per fedeltà alla propria vita viene in questo lavoro frammentato in tanti sketch rallentati da densi silenzi, in cui si avvertono tutti i furori e tutte le dolcezze che possono unire una coppia.

Siamo dentro la mente complessa, raffinata di Scappin e Vannoni; Torvaldo e Nora (i personaggi di Ibsen) si dibattono tra il testo del loro drammaturgo e i bisturi compositivi dei quotidiana.com, in una costante meditabonda doppia sovrapposizione. Due soli oggetti catalizzano l’attenzione: una tigre di pelouche, chiamato oggetto transizionale, e due palline antistress colorate. Il dramma si fa “drammedia”, lo scandalo sedimenta in argomentazione.

(foto di copertina e del testo di  Luca Del Pia)

La scenografia ha una sede anche immaginaria, si schiude nelle ombre e negli specchi dietro il sipario argenteo. Lì accadono cose, da lì giungono le voci di Nora e Torvaldo doppiate a turno da Scappin e Vannoni. Proscenio e palco a coincidere in pochi metri occupati da un tavolo nero e due sedie. Il sipario si fa valico tra i due salotti di Ibsen e Quotidianacom; al di là della tenda, Nora e Torvaldo, chiusi dentro l’antico dramma, reclamano le proprie ragioni, mediati dai due attori che un po’ giocano un po’ traducono (traspongono) il dramma, forti di una tecnica che sa come decomprimere, rarefare la scena di colpo.

Nella dispettosa comunanza che lega da vent’anni i Quotidianacom alla commedia e alle “tragedie tutte esteriori”, questa volta troviamo anche il medium di coppia, lo psicologo; un dottor Bruno che simbolicamente divide e poi ricompone la coppia. Uno vi ha ceduto pensando di innescare un cambiamento, l’altra lo ha seguito per guarire un eccesso di desideri; entrambi abbandonano poi il divano dell’inconscio “perché anche lo psicologo non s’accorge”, dirà lei; perché “la lezione dell’inconscio è una lezione di umiltà, per questo spesso non si ha accesso” dirà lui.

Il capitolo dedicato alle sedute col dottor Bruno sorprende per le assonanze – non così peregrine – col testo classico: va forse ricondotto ai prodromi della psicoterapia di fine ‘800 quando Ibsen scrive di una donna tormentata e stanca che abbandona il marito? Nora acquisita consapevolezza, vorrebbe stritolarsi per aver accettato per anni un ruolo nel teatrino famigliare borghese, umiliante, alienante. Forse anche Paola Vannoni vorrebbe stritolarsi – a oltre cento anni di distanza – per ragioni analoghe? In parte sì. Siamo comunque dentro la parodia, dentro la vita che in essa risuona, al cui centro la bambola rimane ancora tragicamente in ballo. Certo, meno drammaticamente, forse affiancata da un compagno che ammicca, aspira alla propria evoluzione, va in terapia.

In questo loro omaggio (oltraggio ad attese classiche) al lavoro di Ibsen, Paola Vannoni e Roberto Scappin non sono quindi Nora e Torvaldo, nemmeno sono la loro declinazione contemporanea: sono piuttosto la fuga dei personaggi stessi dal testo, dal teatro, e anche dal presente. Sono sempre di più loro stessi appena al di qua dei loro personaggi, nella fuga da sé, dalle loro memorabili trilogie. Perché questo lavoro, che pure attinge da un classico del teatro, è sorprendentemente contemporaneo, è nuovo rispetto al repertorio dei due autori; nel bene e nel male diverge, si oppone, contrappone al comico il faceto, mette a nudo senza ritegno le infermità di qualunque discorso morale, religioso, politico di genere e di classe fatto oggi.

Ma questo non è nemmeno così evidente, accade piuttosto attraverso una implicita dialettica dei contrari che contrappone le parole espresse a voce a quelle tradite dalle posture, dai volti, più che mai esterrefatti, capaci di un ulteriore giro d’impassibilità. Ogni tanto un guizzo, come per dispetto, s’accende un occhio azzurro, palpita la vita. Sintesi: gli attori in scena si accordano come autori per fare finta di fare un dramma che in ultimo non riesce loro; indugiano sui propri appoggi, restando contemporaneamente su due piani, quello di autori a innescare la scena, e quello di attori in scena a disobbedire al copione stesso. Sviluppo: impossibilità del vero e del falso.

Resta riconoscibile il metodo d’indagine dei Quotidianacom – euristica esplicitata – ma solo per essere negato, annichilito a colpi dal calembour, di “teorie del pelouche”, riuscendo così a non farne un dramma, né una commedia, ma piuttosto una rapsodia teatrale. Gli spiriti di Nora e del marito aleggiano di qua e di là dal sipario, invocati dall’uno e dall’altra, in un andirivieni di appelli, supposizioni, sedute psicanalitiche e prove di solfeggio manuale. Nonostante la brevità della pièce, la varietà (il varietà?) è garantita.

L’inizio. Lui nudo desiste a mostrare il lato A, le obbedisce e guadagna la prima uscita. Lei apre in proscenio con le parole di Gramsci: “Perché gli spettatori, i cavalieri e le dame che l’altra sera hanno visto svilupparsi, sicuro, umanamente necessario, il dramma spirituale di Nora, non hanno a un certo punto vibrato con la sua anima, ma sono rimasti sbalorditi e quasi disgustati della conclusione?”
Si domanda Vannoni: “Cosa si aspettavano gli spettatori? Cosa si aspettano gli spettatori oggi? La possibilità di un sogno? Cosa sognano gli spettatori mentre fanno gli spettatori? Che il tetto terrà per un altro inverno? Un’eclissi di sole? Non ho più tempo. Per fare la madre. La moglie. La bambolina. Lo scoiattolino. I suoi doveri sacri. I suoi diritti profani. I doveri sacri si scontrano con i diritti sacri. Se togliamo sacri sono doveri contro diritti. Diritto e rovescio. Nora è il rovescio della medaglia. Gli spettatori non se l’aspettavano.” Hanno così inizio le danze verbali e di bacino; da qui in avanti, lui rientrato di nero vestito, i due si alternano al tavolo, al gioco, al balletto senza mai sconfiggersi a vicenda, senza nemmeno abbandonare l’idea di un coltello da cucina in un sacchetto di plastica, di un immaginario squartamento di un cane. Tutto a scompaginare il racconto attraverso un apparentemente casuale espediente prosaico che piomba improvviso: una minzione urgente, una citazione di Battisti, dei Beatles. Il pop fa le sue irruzioni estemporanee, fa da volano dissacratorio. 

Non manca certo la proverbiale ironia dei Quotidianacom, che anzi innerva il lavoro, ma questa volta è ancora più sottile, più amica del sarcasmo; viaggia sulle note di una fuga di Bach su una clavietta giocattolo che attende le dita della donna sotto al tavolo.

Mentre la coppia di Ibsen si separa intonando il dramma, Paola e Roberto rinsaldano la disputa, “problematizzano” le impossibilità del presente; gli ormoni dello stress sono già in calo, lei concede il contatto, dalle stasi irose di tante loro commedie ritroviamo qui, nell’archetipo della coppia, un duo sensibilmente risolto, conciliato al proprio destino imperscrutabile, in un temporaneo armistizio di confronti. Non ci s’inganni tuttavia, si staglia a sorpresa sul finale, un sillogismo ardito da parte della donna… Il maschio comunista… Il maschio fascista… Alla fine esaltando il politicamente scorretto. Questo, crediamo rincari il merito del presente lavoro.

 

www.quotidianacom.it

www.bologna.emiliaromagnateatro.com

 

 

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