Teatro

Cinquanta anni di nuovo teatro in Italia

3 Maggio 2017

Per chi si occupa di teatro, e di critica teatrale in particolare, quello che fu il Convegno di Ivrea del 1967 è quasi un momento mitico, un punto di svolta cui fare riferimento ogni volta che si parla di ricerca, d’innovazione, di critica “militante”.

Sembra passata una vita, ma quel convegno, con gli atti che lo precedettero e lo seguirono, è ancora un modello e un obiettivo, l’inevitabile “evento fondatore” di una modalità di vivere il teatro che avrebbe segnato la vita teatrale negli anni a venire.

Se per il critico Franco Quadri – tra i promotori del convegno con Beppe Bartolucci, Ettore Capriolo, Edoardo Fadini – l’appuntamento fu una sorta di codificazione tardiva di una avanguardia che già da dieci anni almeno era attiva (basti pensare che Bene debuttò nel 1959), per uno studioso come Marco De Marinis, invece, il convegno fu una consacrazione ufficiale di quel “nuovo teatro” che prese finalmente posizione rispetto alla “scena ufficiale”.

Carmelo Bene in Pinocchio

Vale la pena, allora, riprendere l’incipit del corposo documento elaborato a Ivrea. Eccolo qua:

«La lotta per il teatro è qualcosa di molto più importante di una questione estetica. In una situazione di progressiva involuzione, estesa a molti settori chiave della vita nazionale, in questi anni si è assistito all’inaridimento della vita teatrale, resa ancora più grave e subdola dall’attuale stato di apparente floridezza. Appartenenza pericolosa in quanto nasconde l’invecchiamento e il mancato adeguamento delle strutture; la crescente ingerenza della burocrazia politica e amministrativa nei teatri pubblici; il monopolio dei gruppi di potere; la sordità di fronte al più significativo repertorio internazionale; la complice disattenzione nella quale sono state spente le iniziative sperimentali a cui si è tentato di dare vita nel corso di questi anni. Come conseguenza le realtà italiana e i mutamenti intervenuti nella nostra società così come le nuove tecniche drammatiche e i modi espressivi elaborati in altri paesi non hanno trovato che isolati e sporadici riferimenti nella nostra produzione teatrale…».

E vale la pena anche riportare l’elenco dei firmatari: Corrado Augias, Giuseppe Bartolucci, Marco Bellocchio, Carmelo Bene, Cathy Berberian, Sylvano Bussotti, Antonio Calenda e Virginio Gazzolo, Ettore Capriolo, Liliana Cavani, Leo De Berardinis, Massimo De Vita e Nuccio Ambrosino, Edoardo Fadini, Roberto Guicciardini, Roberto Lerici, Sergio Liberovici, Emanuele Luzzati, Franco Nonnis, Franco Quadri, Carlo Quartucci e il Teatrogruppo, Luca Ronconi, Giuliano Scabia, Aldo Trionfo.

Franco Quadri e Luca Ronconi

Firme importanti e parole importanti, per un manifesto che comportò conseguenze significative. A partire (simbolicamente) da quel momento, infatti, il critico non era più “solo”, un estraneo alla vita del teatro, ma diventava parte a tutti gli effetti della famiglia-teatro. Si passava dalla “distanza dall’oggetto-teatro” – predicata e perseguita da molti critici di rilievo come, per citarne solo uno, quel gigante che fu Roberto De Monticelli del Corriere della Sera – a una sistematica “prossimità” all’oggetto. Una bella novità, una dichiarazione di guerra alle strutture ufficiali: «stiamo arrivando», sembravano dire quelli di Ivrea: o forse «siamo arrivati!». L’appello, l’auspicio, la dichiarazione d’intenti si può riassumere in uno slogan efficace rimasto da allora memorabile: si trattava di “sporcarsi le mani”, di prender(si) la responsabilità della vita teatrale, e del necessario rinnovamento della stessa. Attraverso il teatro, dunque, i firmatari rivendicavano appieno il proprio ruolo di intellettuali che volevano intervenire e cambiare la società dello spettacolo, contro gli apparati consolidati e incancreniti della Stabilità.
La critica scendeva apertamente in campo, non stava più a lambiccarsi nell’osservazione, ma sceglieva di annullare le distanze dal teatro, in altre parole sceglieva la “militanza”, fino al punto che, di lì a poco, la critica stessa s’impossessò dell’oggetto-teatro, ne determinò l’esistenza e le possibilità.

Di fatto, però, già nel 1972, in un altro appuntamento tenuto a Chieri, si sancì lo stato di crisi, lo scoramento di quello che avrebbe forse potuto essere un movimento e che invece si risolse in singole individualità. Negli scontri dell’autunno caldo, nelle contestazioni studentesche, nella strategia della tensione, il teatro segnò il passo. Molti abbandonarono (almeno temporaneamente) la militanza teatrale: Carmelo Bene si dedicò al cinema, Luca Ronconi trovò lavoro più all’estero che in Italia, Leo de Berardinis e Perla Peragallo si esiliarono nella piccola Marigliano, Carlo Quartucci partì per girovagare con il suo camion, Giuliano Scabia cercò nuove ispirazioni nel teatro di base…

Leo de Berardinis in Novecento e Mille (foto P. Casadei)

Dunque, cosa è cambiato da allora? È cambiato qualcosa? Che ne è della dialettica tra nuovo teatro e scena ufficiale? Che ne è della critica oggi?

Se ne parlerà nei prossimi giorni a Genova (dal 5 al 7 maggio), in un articolato incontro di tre giorni intitolato per l’appunto “Ivrea 50, Mezzo secolo di nuovo teatro in Italia”, curato proprio da Marco De Marinis che, forse più di chiunque altro, ha studiato e seguito il fenomeno. Appuntamento centrale dell’ottava edizione del bel Festival Testimonianze ricerca azioni – organizzato da Teatro Akropolis con la direzione artistica di Clemente Tafuri e David Beronio – il convegno genovese chiama a raccolta numerosi critici, studiosi, artisti, e vuole fare il punto su passato, presente e possibilmente futuro di quel radicale rinnovamento del linguaggio scenico avviato allora. Interrogando(ci) tra necessaria riaffermazione delle radici e aperture al futuro; tra linguaggio dei padri e creatività dei figli (o nipoti); tra prese di potere e scontri interni al settore.

Eppure quel documento firmato a Ivrea risuona ancora come monito, come ricordo, come pungolo: e nel momento in cui anche il “nuovo teatro” sembra essersi ormai istituzionalizzato e formalizzato, viene da chiedersi se, facendo tesoro degli insegnamenti e degli errori di chi ci ha preceduto, si potrebbe forse ipotizzare un rinnovato slancio della scena nazionale. Si potrebbe pensare, oggi, a un simile manifesto? Chi lo firmerebbe?

 

Informazioni tel. 329.1639577 tutti i giorni dalle 10 alle 20; email info@teatroakropolis.com

Per il programma completo del convegno e del festival: www.teatroakropolis.com

 

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