Teatro
“Carmelo Bene”, il genio oltre il Teatro
GENOVA _ Carmelo Bene. O del genio incompreso e solitario. Troppi anni avanti le sue ricerche collegate al buio profondo delle origini. Ecco, inatteso e benvenuto il film realizzato da Clemente Tafuri per la nobile serie cinematografica “La parte maledetta. Viaggio ai confini del teatro”. “Carmelo Bene” non è un documentario ma molto di più. Entra nel cuore politico e filosofico di una ricerca che ha scosso la scena italiana e non smette ancora di generare onde di conoscenza. Il film, in prima assoluta nazionale e internazionale, il 16 novembre alle ore 21 nello spazio del Teatro Akropolis di Genova, dove è in corso la quindicesima edizione del festival “Testimonianze, ricerca, azioni” diretto da Clemente Tafuri e David Baronio.
Chi è Carmelo Bene (Campi Salentina 1937, Roma 2002) per chi vive il teatro come missione e studio? E quei giovani a cui forse qualche insegnante ha mostrato il “Pinocchio”, che ricordo e informazione hanno conservato? E la gente comune?. Quella uscita dal dopoguerra e ritrovatasi con la cappa di una cultura bigotta e di regime, tutto quanto a cui Carmelo non andava giù. Come ai grandi rivoluzionari, da Artaud a Majakowskji, capita che il potere costruisca processi o peggio. Ma anche, come lo stesso teatro insegna, accade che tra gli stessi amici si possano annidare i peggiori nemici.
La camera mostra una sinuosa confusione di braccia, di corpi, un sabba colto da vicino al rallentatore. Erotico e misterioso… I movimenti e le immagini segnano un’alternanza tra ieri e la contemporaneità. E’ l’incipit del film.
Carmelo Bene, personaggio ricco di sfacettature ma anche disturbante per certe posizioni “maledette”. Quale è stata la molla per buttarti a corpo morto su un lavoro necessario che attendeva venti anni. Utile per il teatro come per la cultura in generale. La sfida è stata enorme: raccontare il teatrante, l’uomo di cultura, il filosofo. L’uomo d’arte. Da dove sei partito?
“Carmelo Bene riconosce presto che una delle questioni fondamentali del teatro non è una questione prettamente teatrale, ma filosofica e quindi più ampia, con cui l’arte può e probabilmente deve misurarsi. È il grande tema della rappresentazione e della sua crisi, che da Schopenhauer in poi -spiega il regista Tafuri– ha segnato la nostra epoca continuando a interrogarci sul senso della nostra volontà e su come dare un’immagine del mondo che ci permetta di penetrarlo più a fondo. Le grandi rivoluzioni nell’arte durante il Novecento sono tutte ispirate da questa fondamentale domanda. Ed è una domanda che non prevede la possibilità di una risposta definitiva. Anzi, è proprio il cammino l’unica possibilità, attraversare gli enigmi senza risolverli, Questo spiega, tra le altre cose, il motivo per cui Carmelo ha lavorato in più campi dell’arte. Dalla musica alla letteratura, dal cinema alla radiofonia. Sono stati tutti grandiosi tentativi per affrontare il paradosso dell’arte, ovvero la sua incompiutezza rispetto alla vita e a quello che la vita ci pone di fronte. Una moltiplicazione delle rappresentazioni fino al culmine dell’irrappresentabile, e questo culmine, questo fondo della vita, è l’espressione della condizione umana, il suo sussultare tragico o, come scriveva Artaud, il sussultare tra le fiamme. Questa è la parte maledetta di Carmelo Bene ed è da qui che sono partito per il film”.
È come se per la prima volta Bene avesse diritto di parola per parlare della sua opera e di se stesso. Artista colpito ante litteram da crisi esistenziale, sensibile a una deriva del mondo iniziata dal dopoguerra e di cui solo ora si avvertono i cascami. Il suo lavoro a ben guardare è anche un grido di allarme. Esortazione ad essere liberi.
“Lanciati e vola.. In giro, in avanti all’indietro, tu che sei lieve. Canta non parlare più”. Ma quando la danza e le fanciulle se ne furono andate diventò triste. Come? tu vivi ancora Zaratustra, perchè, per chì? Con che, a che, dove, come… Non è follia vivere ancora… la mia tristezza. S’è fatta sera perdonatemi”.
E’ il superamento dei limiti dell’umano. Tra Nietzsche e Schopenhauer, in un’Italietta bigotta e conservatrice parte l’avventura di Bene.
“Proprio il superamento dell’umano è l’ossessione di Carmelo. Un superamento che in realtà è uno sprofondamento nell’umano, nelle radici della nostra natura. Carmelo Bene, seguendo la lezione di Nietzsche, vive il suo tempo da apolide, senza riconoscersi nella storia, riemettendo in gioco il tema dell’inattualità, così poco compreso e così tanto frainteso. È certamente la lezione di Nietzsche, ma anche quella di Giorgio Colli, a cui era particolarmente legato. Non è supponenza, alterigia. È il solo modo possibile per dare all’arte e al pensiero la giusta profondità, se ci si occupa di questioni complesse. La grande arte è sempre lì a interrogarci, con la sua potenza originaria. Come dice il filosofo Carlo Sini in un nostro film precedente, il pensiero è al di là di ogni moda, di ogni tempo. Il filosofo è la figura più lontana dal suo tempo perché solo così può interrogarlo e rimetterlo in discussione. Che non significa certo essere fuori dal tempo. Significa piuttosto non ridurre le questioni complesse a problemi di piccolo conto. In questo senso Carmelo si riteneva un classico. Non era una provocazione. Era un modo per richiamare l’attenzione sul suo rapporto con la storia dell’arte e della letteratura. L’apertura del film, con lo Zarathustra di Nietzsche letto da Carmelo, è un invito a riflettere sull’arte come un canto, un lied, le cui parole si dissolvono restituendo l’evanescenza delle cose”.
Torniamo a Shopenhauer. Fine della rappresentazione, fine del mondo. (fine della volontà, fine della tecnica) Questo è il teatro. Fine dello spettacolo. Nel film questo ulteriore passaggio, senza sconti, viene raccontato in sequenza da Bene stesso.
“Il mondo è rappresentazione. Il mondo che si offre ai nostri occhi. Quello che tocchiamo e pensiamo è rappresentazione…” l’attrice raccoglie e rimonta i pezzi sparsi dell’umanità…. “una semplice catena di ricordi che si collegano a costituire il mondo della rappresentazione”.
“Indecifrabile e fuggente è la natura di ciò che è stato. Ogni tremito è una menzogna, ogni immagine è un miraggio”.
Il paradosso della non rappresentabilità arma il cammino di Bene.
“Sì. E l’unico destino possibile, in questo senso, è sostare sul limite della rappresentabilità, visto che è con tutta evidenza un limite invalicabile. L’irrappresentabile, appunto, il momento in cui il principio di individuazione vacilla. Come se per un attimo potessimo prendere coscienza proprio del mondo come rappresentazione. Ovvero che tutto quello che abbiamo intorno altro non è che una figurazione operata dalla cultura, dal linguaggio, dall’arte stessa. In questo senso Carmelo parla di una ricerca impossibile riferendosi al vuoto, al teatro come un non luogo, al rapporto tra soggetto e oggetto. E infine al gioco, a Narciso e all’essere un capolavoro, smettendo finalmente di pretendere di realizzarlo. Bene su questo è chiarissimo. Da subito. Dai suoi primi lavori. E non abbandonerà mai questa ispirazione.”
Il teatro è un non luogo… Carmelo Bene è uomo del Sud, delle profonde Puglie. Eppure, guardando il film, si coglie progressivamente la figura di un déracineé. Di uomo e artista, senza un tempo preciso che appartiene solo al pensiero, all’arte, a se stesso…
“È così. Perché l’arte non ha un tempo preciso pur essendo la testimonianza più radicale dell’epoca in cui nasce. Spero che dal film emerga anche il grande impegno di Carmelo a portare fino in fondo le sfide che aveva deciso di intraprendere. Sfide che lo hanno portato a essere come giustamente cogli tu un déracineé, o addirittura un morto in vita, come a volte ripeteva. Dedito ai suoi studi, costantemente sull’orlo del fallimento, consapevole di percorrere una ricerca incomprensibile ai più. A volte con accanto uomini e donne straordinari, a volte circondato da avventurieri, come spesso capita a personalità di quella forza. Ma restano per fortuna le sue parole, i suoi film straordinari, i suoi scritti”.
Carmelo Bene è stato un vulcano non solo di idee, ma anche di progetti sulla scena, nel cinema e in televisione. Il tuo film- che va precisato non è un documentario- punta molto su un percorso narrativo di teatro e filosofia, interessandosi ad un segmento di studi dell’opera beniana che fino ad adesso non ha ricevuto la giusta attenzione. O sbaglio?
“Non sbagli. La filosofia non va qui intesa in termini disciplinari, accademici, tecnici. O meglio, non è solo questo. Se applichiamo alla conoscenza logiche di questo tipo è del tutto inutile provare a mettere a fuoco autori tanto complessi, che hanno non solo spezzato le logiche della convenzione, ma si sono occupati di più ambiti di ricerca e di studio. In questo senso la filosofia è proprio l’amore per un sapere difficilmente riducibile a una forma o a una disciplina. Viviamo però un epoca di specializzazioni sempre più parcellizzate, e questo rappresenta un problema quando si prova a dare un’interpretazione o un’immagine delle cose del mondo. Questo ad esempio spiega il motivo per cui Carmelo Bene sia rimasto folgorato dall’opera di Carlo Sini e da quella di Giorgio Colli, tra i pochissimi ad aver indicato un possibile smarginamento delle logiche della rappresentazione. Insomma, non si tratta di fare un teatro che affronta letterariamente questioni filosofiche, o di mettere in scena l’ennesima versione di un Edipo. Sono in gioco questioni che non si risolvono in scena.”
A metà del film incontriamo una introvabile sequenza di un seminario-dibattito svoltosi oltre quaranta anni fa all’Università di Roma, La Sapienza, sui temi della rappresentazione Al suo interno un cammeo di Maurizio Grande studioso teatrale tra i più rinomati, che pochi forse ora ricordano. Di bella potenza il suo intervento che chiude davanti a un Bene, leggermente sorpreso, con una folgorante definizione di “fonè”.
“Ferruccio Marotti a metà degli anni Ottanta organizza due seminari di Carmelo alla Sapienza di Roma dedicati al tema della phoné. Maurizio Grande, anche lui ospite, nell’intervento che abbiamo inserito nel film, fa una sintesi straordinaria sul senso filosofico e artistico dell’uso della voce in scena, oltre a riprendere il tema del vacillare del principio di individuazione (o di rappresentanza come lui lo definisce). Grande, ricordato troppo poco e spesso solo in riferimento a Carmelo, è stato un intellettuale di incredibile spessore. Quello che in una manciata di minuti racconta va al di là, pur attraversandolo, del lavoro di Carmelo. È una cavalcata attraverso la nostra cultura e i suoi limiti, un invito a ripensare il teatro dalle sue fondamenta. Carmelo aveva una stima incondizionata di Grande”.
Il linguaggio si articola come l’inconscio. Dice Bene. Quindi bisogna disarticolare il linguaggio. Dopo la phonè ecco svelare la Macchina Attoriale. Il teatro è nell’Atto, nell’immediato. Presenza/assenza come superamento del Grande Attore. Anche se è da lì che bisogna partire per arrivare alla Macchina Attoriale. Ancora una volta si torna a Schopenahuer.
“Disarticolare il linguaggio significa dare trasparenza all’opera. La questione della scrittura di scena è stato un problema centrale nel secolo scorso. Se ne sono occupati gli artisti, gli studiosi, gli scrittori. Ha senso ripetere (o riferire come ricorda Carmelo) le parole di un poeta dal momento che già la scrittura è una traccia di qualcosa di perduto? Nel film Bene affronta questo problema da più angolature, ma è sempre molto chiaro il suo riferimento alla scrittura di scena. Carmelo riscriveva, smontava, ricuciva le opere degli scrittori. Nel film legge Genova, dai Canti orfici di Dino Campana. E per quella lettura ha operato tagli, riconsiderato la punteggiatura e l’andamento, ridefinito il suono e le connessioni tra le parole. Le immagini di Campana assumono profondità diverse, allucinatorie. È il lavoro di un poeta sull’opera di un altro poeta. E questo Carmelo Bene lo ha fatto con tutti gli autori con cui si è confrontato. In questo senso la parola restituisce l’evanescenza di ogni immagine, e l’attore, in quanto macchina, smette di affermare la sua presenza ovvero la sua coscienza, il suo io, le sue opinioni. E quindi sì, è ancora Schopenhauer, forse ancora di più Nietzsche. La rappresentazione che vacilla”.
Punteggiano il film immagini di donne seducenti, allusive, in un continuo cambiare di spazio e postura e si scoprono stimolanti verità Verso la fine del film mentre Bene si sofferma sullo specchio di Dioniso. leggendo un testo orfico, la macchina indugia fuori campo su un uomo che taglia lo spazio: è Giorgio Colli. Riferendosi a Carmelo Bene si sono spesi riferimenti a Lautremont e Cioran. Magari ignorando o dimenticando quanto, nella formazione di Bene, fosse stato importante Giorgio Colli.
“Come si può guardare assieme tutta la vita? Se si vive, si è dentro una certa vita ma voler essere dentro tutta la vita insieme? Ecco questo suscita Dioniso…”
“Giorgio Colli è stato un protagonista della cultura e della filosofia del Novecento. Ed è una delle figure che ha ispirato e ispira il nostro lavoro da sempre. Bene conosceva la sua filosofia, i suoi studi sulla sapienza Greca e la tragedia, l’edizione critica di Nietzsche curata da lui, la traduzione della “Critica della ragion pura” di Kant. Nel film ci sono momenti presi dal documentario che Marco Colli, figlio di Giorgio, dedicò al padre pochi anni dopo la sua scomparsa. E in quel documentario è Carmelo che legge le parole di Colli. E questi seguiva il lavoro di Bene. Si conoscevano. E Carmelo è stato influenzato da Colli in modo profondo. Molte delle cose che dice e il fondo della sua ispirazione sono evidentemente prese dal pensiero di Colli, o quantomeno dalla Grecia e dal Nietzsche che Colli ci ha lasciato. Il film è un film su Carmelo Bene, ma come per tutto quello che facciamo a Teatro Akropolis, è Giorgio Colli a segnare il cammino”.
Il film non è un racconto biografico, ma è un viaggio ai confini del teatro e della filosofia, eppure qua e fanno capolino immagini e tranches de paroles da opere indimenticabili come “Pinocchio” etc.. C’è una significativa sequenza verso la fine dove Bene sfoglia un libraccio. Qui viene isolata l’essenza stessa del suono, segno delle formidabili e ardite sperimentazioni musicali e sonore con Luporini.
“Se cerchiamo di considerare lo specchio a sé, finiremo per scoprire su di esso altro le cose. Se vogliamo cogliere le cose, torniamo in definitiva, nient’altro che lo specchio. Questa è la più universale storia della conoscenza”.
“Sono parole di Nietzsche, un aforisma da “Aurora”, che Bene cita in “4 momenti su tutto il nulla” e che compaiono nel film. Lo specchio è espressione della molteplicità. Dioniso specchiandosi un momento prima di morire, vede il mondo. Intuisce cioè in un attimo il mondo come rappresentazione, o per usare le parole di Colli, “il mondo come arabesco”. Il frammento in cui Bene sfoglia un quaderno in una scena senza sonoro, tranne il fruscio delle pagine, è dal finale di “In-vulnerabilità d’Achille”, il suo ultimo lavoro, quello che Carmelo considerava il suo testamento artistico. No, il film non è un racconto biografico. Lavorare sulle sue parole e la sua voce, sulla potenza delle sue immagini e sull’incredibile tecnica di montaggio dei suoi film e delle sue opere per la televisione è stato possibile proprio grazie a un suo grande insegnamento, lo stesso che Colli ci ha lasciato in riferimento all’opera di Nietzsche. Ovvero tentare con tutte le forze di stare accanto ai nostri maestri, riconoscerli innanzitutto, e saperli ascoltare”.
L’occhio della cinepresa insegue le attrici giunte sul set; si insinua in controluce tra i trucchi, le prove d’abito, i copioni, le risa, i silenzi. In una folle vertigine il tempo si è rotolato su sé stesso, al contrario, come un mulinello di foglie d’autunno. Tutto è invertito. Quello che accade domani è già avvenuto ieri. Un non tempo teatrale che degrada come il giorno verso la sera avvitandosi morbidamente sulle note romantiche di Schumann. E’ il virtuoso violinista Jascha Heifetz con le torrenziali note di Johannes Brahms a seguire il successivo cut up da Helzapoppin: un vertiginoso ed esplosivo cambio di immagini pop. Definitive. Closing
La parte maledetta Viaggio ai confini del teatro
“Carmelo Bene” Un film di Clemente Tafuri (regia). Con Valentina Beotti, Margherita Fabbri, Daniela Paola Rossi. Musiche originali Teatro Akropolis. Fotografia e montaggio Clemente Tafuri Luca Donatiello e Alessandro Romi. Riprese e audio Luca Donatiello e Alessandro Romi. Produzione Teatro Akropolis AkropolisLibri (2024)
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