Teatro
Cantiere Ibsen – Art needs Time
Attori, esperti in campo musicale, letterario, cinematografico, ma anche spettatori curiosi di confrontarsi con la scoperta di sé attraverso il teatro: ecco le basi per il percorso immaginato da Il Mulino di Amleto – realizzato insieme con Fertili Terreni Teatro, in collaborazione con Swiss ITI – International Theatre Institute. Si ringraziano TPE – Teatro Piemonte Europa, ACTI Teatri Indipendenti, Elsinor Centro di Produzione – dal titolo Cantiere Ibsen/Art needs time. Il sottotitolo già racconta molte cose: l’arte ha bisogno di tempo, di uno spazio di raccoglimento, fuori dalle dinamiche, fisiologiche, della performance e dei tempi serrati delle scene. Cantiere Ibsen è pensato come una serie di appuntamenti per tappe, alle quali i partecipanti potranno aderire singolarmente o su più date, immaginati come territori di libero studio e sperimentazione. Aperto, inclusivo, sperimentale.
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Ne abbiamo parlato con il regista Marco Lorenzi al quale abbiamo subito chiesto le ragioni di questa scelta, sicuramente in controtendenza rispetto ai ritmi di lavoro ordinari.
Come nasce l’idea di cantiere Ibsen?
Più che da un’idea il Cantiere nasce da una necessità. Dopo un periodo intenso costellato di tanti titoli in scena nel giro di pochi anni per noi de Il Mulino di Amleto, si rendeva necessaria una scelta: continuare a “viaggiare” a ritmo serrato, oppure prenderci il tempo – mantenendo sempre gli appuntamenti di scena – per riflettere sul nostro lavoro attoriale, approfondire non solo elementi tecnici propri del “mestiere”, ma un percorso culturale e individuale legato al senso di una professione.
Un momento di studio quindi?
Non solo studio, anche incontro, ascolto, concentrazione sul processo creativo e ciò che genera il processo creativo. L’idea è quella di coinvolgere più mondi proprio per non concentrarci esclusivamente sull’elemento performativo, ma anche letterario, musicale, artistico in senso lato. Il lavoro sulle scene implica disciplina, rispetto dei tempi e, nei momenti di maggiore urgenza, rischia di “mangiare” lo spazio personale di elaborazione e rielaborazione di ciò che ci arriva dall’esterno.
Uscire quindi dal solo studio finalizzato allo spettacolo?
Uscire dallo studio delle parti. Si tratta di un lavoro impegnativo e fondamentale per chi fa questa professione, ma prendersi uno spazio per fare ricerca, approfondire i materiali in quanto artisti, prima ancora che attori, credo permetterà di migliorare la nostra creatività, la spinta generatrice.
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Difficile a farsi in un periodo di ritmi frenetici promossi come modello sociale…
Si. Il sottotitolo, Art needs time, è un vero e proprio manifesto politico. Il tempo è una componente fondamentale dell’essere umano e, sempre più spesso, ci viene sottratto senza che neppure ci diamo troppo peso. Misuriamo il mondo in termini di produttività e performance, siamo abituati a quantificare i risultati e i costi, ma non a confrontarci con l’impiego del tempo. Quando poi ci rendiamo conto dei problemi sottesi a questo sistema spesso scatta la lamentazione. Ora, con questo Cantiere, vogliamo andare oltre, vogliamo fare qualcosa di creativo e rivoluzionario di questa spinta critica.
L’artista che si riappropria di sé…
L’artista che si riappropria del suo tempo, come componente fondamentale della sua capacità espressiva e creativa. Tempo per spaziare a livello tematico, ma anche oltre i confini usuali. I sei appuntamenti previsti vedranno una call internazionale. L’idea è quella di costruire piccoli nuclei di lavoro permeabili, sia per chi seguirà l’intero percorso, si per chi farà solo un breve tratto di strada.
Perché partire proprio da Ibsen?
Perché da tempo lavoriamo come Il Mulino di Amleto sul tema della famiglia e Ibsen ha affrontato senza pietà alcuna il tema del potere e delle relazioni familiari. La famiglia come nucleo primo, nucleo sociale e modello anche per la sperimentazione laboratoriale. Ci sembrava un buon volano. In questo ci aiuteranno molto anche i contributi esterni di figure lontane dalla scena: romanzieri, produttori cinematografici, ma anche persone con una storia personale da raccontare, biografie di rapporti familiari “potenti” appunto.
Partire dalla famiglia e dal potere per esercitare potere sul proprio tempo?
Per reagire alla frustrazione che pervade questa epoca. Senza rinchiudersi in facili elitarismi critici e decidendo invece di fare qualcosa di questa energia propulsiva, per creare qualcosa di nuovo che contribuisca a definire il linguaggio di domani.
Per informazioni: organizzazione@ilmulinodiamleto.com
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Ph. Luigi di Palma
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