Teatro
Bolaño, Amuleto, i poeti e Berardinelli…
Una generazione che ha dissipato i suoi poeti. Chi sa che ne penserebbe oggi Jakobson di Berardinelli?
Spiego. Lo studioso Roman Jakobson parlava della Russia, e della fine spesso tragica di una generazione – Majakovskij in testa – forzatamente persa nella spirale di violenza e ottusità del regime. Il critico Alfonso Berardinelli, più serenamente, pochi giorni fa diceva senza mezzi termini che i poeti italiani sono venti, o al massimo trenta. L’occasione per tale affermazione arriva dalla mesta notizia della chiusura di una collana editoriale dedicata alla poesia, la prestigiosa Lo Specchio di Mondadori: per Berardinelli, appunto, ormai poco prestigiosa, perché in Italia i poeti sono pochi, quelli meritevoli di pubblicazione ancora meno. Ovviamente c’è chi gli ha risposto, è il caso di dirlo, per le rime.
Ma a me questa diatriba ha fatto tristezza.
Mi venivano in mente i “realvisceralisti” che Roberto Bolaño racconta in Detective Selvaggi (appena ri-edito da Adelphi, nella bella traduzione di Ilide Carmignani): che avrebbero detto?
O chissà come avrebbe vissuto questa storia Auxilio Lacouture, la “madre di tutti i poeti messicani” cui dà voce e corpo la splendida Maria Paiato in Amuleto, spettacolo diretto da Riccardo Massai e passato troppo velocemente nella stagione del Teatro India di Roma. Il racconto di Amuleto è tratto, e sviluppato, proprio da Detective Selvaggi ed è diventato, per la scena, un intenso monologo viscerale e astratto, lirico e terrigno. Un flusso di parole poetico e ferocemente politico che racconta di una donna salvatasi dall’irruzione dei reparti antisommossa nell’Università di Lettere e Filosofia di Città del Messico il 18 settembre del 1968, perché era chiusa in bagno a leggere i versi di Pedro Garfias.
Nel monologo di Paiato – ferma in centro scena a tenere con un filo magico l’attenzione di tutti – vibra proprio l’amore per la poesia, per la forza dirompente e libera della “parola poetica”. È la libertà, in fondo, il tema di Amuleto: è il canto di chi si aggrappa con le unghie e i denti alla forza terribile dell’arte.
Il racconto è sulfureo, magmatico, ipnotico, vitale, viscerale, romantico, lirico: è una storia impossibile e verissima, cui Maria Paiato dà adesione totale, nella sua tenera, garbata, forma di “straniamento”, di popolare distanza, di autoironica visione che spesso la contraddistingue in scena.
Magistrale come sa essere, Paiato-Auxilio tiene le fila di quel mondo che suona remoto, lontanissimo, di un altro tempo: voci, volti, gesta di quel Messico che è mito e leggenda, che è storia dove tutto è possibile, che si dipana lenta, avvolge e seduce chi ascolta. Realismo magico? No, forse, semplicemente, poesia.
I poeti, quei poeti cui Bolaño restituisce una forza incredibile, incarnano uno spirito di rivolta che è pure sbandamento, utopie che sono sogni, ambizioni che si mutano subito in frustrazioni. Però li vediamo, li leggiamo, sempre con i libri, con le poesie appena scritte nella sacca. Poveri illusi? probabilmente: ma potentissimi, pronti a sfidare tutto, anche i manganelli.
E chissà quanti, di quei poeti amati o “partoriti” da Auxilio Lacouture sarebbero stati pubblicabili per Berardinelli. Ho una certa diffidenza per gli apocalittici, per i distopici, per quelli che dicono “il romanzo è morto, la poesia è morta, il teatro è morto”. Non fosse altro perché capita sempre qualcuno, o qualcosa, a smentirli.
Ma qui, nel Belpaese, il problema reale è che i poeti li dissipiamo: non li ascoltiamo, non li prendiamo sul serio. I poeti come i teatranti, come i pittori, gli artisti in genere. Capita assai raramente, ad esempio, che un poeta possa dire la sua su questioni politiche o etiche, morali o economiche nei giornali o in tv. Il poeta, si sa, deve essere uno stralunato, tutto genio e sregolatezza: qualcuno da guardare con occhio bonario, da tollerare con un sorriso, o al massimo da commiserare perché eccentrico, quasi un “disadattato”. Ma nei libri, a teatro, in scena, le parole risuonano, sono un amuleto, appunto, addirittura una speranza contro questa Italia che guarda Sanremo e l’Isola dei non famosi, che freme con Maria de Filippi, si strugge per Baricco e rimpiange Carosello.
Insomma, dovremmo dare voce ai nostri poeti, aprire nuove collane, nuove riviste, restituire forza e coraggio agli editori che ne pubblicano. Senza per forza pensare che una poesia debba esser venduta come un gelato. Magari la poesia è anche altro: Bolaño lo sapeva bene. E magari potessi avere la passione “realvisceralista” dei poeti, avere quella libertà nella scrittura. Mi piace immaginare che, per caso, a Bologna qualche giorno fa, mentre la polizia sgomberava la biblioteca di Discipline umanistiche, qualcuno, chiuso in bagno, leggesse un poeta. Altri tempi, altra polizia (per fortuna), altri mondi, ma stessa fantasia.
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