Teatro
Biennale Danza, Leone d’oro a Simone Forti, Leone d’argento a Tao Dance Theater
È un personaggio di primo piano dell’arte e della scena internazionale, Simone Forti, il Leone d’Oro per la carriera della danza prescelta per la prossima Biennale danza che si terrà a Venezia dal 13 al 29 luglio 2023. In quella occasione si potrà seguire il programma del diciasettesimo festival della danza che si intitolerà “Altered States” curato dal direttore artistico Wayne McGregor. Il Leone d’argento invece sarà consegnato negli stessi giorni alla compagnia cinese Tao Dance Theater nata nel 2008 a Pechino. In particolare, per quanto riguarda Simone Forti, figura seminale della postmodern dance che ha operato senza barriere nell’arte contemporanea. Nella motivazione al premio lo stesso Mc Gregor lo mette subito in evidenza raccontando come l’artista di origine italiana nel corso della sua lunga carriera abbia dato vita a un corpus di opere, dai disegni alle fotografie, dai film alle installazioni alle performance “Sorprendente e per varietà e unico per capacità visionaria”. Simone Forti quindi come artista totale è stata ed è una specialista dell’improvvisazione della danza capace di unire elementi come il movimento, il suono, e gli oggetti in “nuove e sorprendenti articolazioni ibride” che sono state poi fondamentali per la crescita e lo sviluppo della postmodern dance come nel minimalismo. Lei stessa si definisce artista o meglio “movement artist” così, dice Mc Gregor “da non costringersi nelle convenzioni e ortodossie dell’essere una “coreografa”. Simone Forti si è sempre mossa liberamente e senza confini tra mondi creativi, intrecciando diverse discipline e – facendo questo – ha sostenuto la superiorità del corpo, o piuttosto “il pensare con il corpo” come forza di sperimentazione, azione e (re)invenzione”.
Nata nel 1935 a Firenze in una famiglia ebrea, dopo la promulgazione delle leggi raziali fasciste Simone Forti si trasferisce con i genitori a Los Angeles. Una volta diplomatasi in psicologia si trasferisce nel 1956 a San Francisco con il marito, lo scultore Robert Morris uno dei principali esponenti del minimalismo in America. Qui frequenta i Dancers Worshop di Anna Halprin con cui lavora nel capo della modern dance e della improvvisazione. Tre anni dopo a New York è nella scuola di Martha Graham. Completa la sua formazione nello studio di Merce Cunningham. In questi anni frequenta l’ambiente del movimento giovanile e artistico alternativo . Debutta nel 1960 con le coreografie, “See Saw” e “Rollers”, danze in forma di happenings. Prende una distanza dalla modern dance con le coreografie ppresentato l’anno successivo nell’atelier di Yoko Ono nella serata “Five Dance Constructions ad Some Other Things”. Punto di forza originale è la sperimentazione di movimenti naturali basati su gesti quotidiani e interazioni con oggetti. In questo periodo collabora con esponenti di punta della nuova sperimentazione coreografica americana: da Yvonne Rainer a Trisha Brown e Steve Paxton dello Judson Dance Theater, il collettivo che ha dato origine alla post modern dance. Nel 1962 si separa da Morris e sposa l’artista Robert Withman con cui collabora artisticamente per tutta la durata del suo matrimonio.
Nei primi Settanta si muove tra New York e Los Angeles. Pratica il Tai Chi Chuan e collabora con artisti sperimentali della scena musicale come Charlemagne Palestine e Peter van Riper, che diventerà nel 1974 il suo terzo marito e da cui si separerà nel 1981. Negli anni Ottanta e Novanta nascono i “News Animations”, una serie di soli incentrati sull’improvvisazione che esplorano il rapporto con il testo unendo le parole al movimento (Logomotion). Essi includono riflessioni sulla politica, sui cambiamenti climatici e sulle questioni sociali. Dal 1986 al 1991 si esibisce con il gruppo Simone Forti and Troupe, impegnato in improvvisazioni strutturate con discorsi e movimenti. Dal 1991 al 1997 collabora con l’artista Nam June Paik. Tiene spettacoli e performance nei maggiori musei internazionali come il Museum of Modern Art di New York e lo Stedelijk Museum di Amsterdam. Fin dagli anni Ottanta ha presentato la sua ricerca insegnando in varie università e scuole d’arte, tra le quali la School of Visual Arts di New York (1983- 1987) e l’Università della California (1997-2014). Ha ricevuto numerosi premi tra i quali il Guggenheim Fellowship (2005) e il Yoko Ono Lennon Award for Courage in the Arts (2011).
Mc Gregor afferma nelle motivazioni del Premio che “la forza concettuale della sua traiettoria – lunga sessanta anni – il rigore del suo pensiero e la semplicità di esecuzione, il suo spirito impertinente, la curiosità infinita – tutto contribuisce a consolidare l’eredità di Simone Forti quale vero genio artistico, che sorprende l’immaginazione e motiva noi, il pubblico, a guardare al passato (della Forti) per andare oltre, verso il futuro (della Forti). Un’eredità impareggiabile di cui essere grati”.
A Venezia Simone Forti ha partecipato alla 39a Biennale Arte del 1980 nella sezione dedicata a “L’arte negli anni Settanta – film e video produzioni di artisti che lavorano in performance” curata da Achille Bonito Oliva, Michael Compton, Martin Kunz, Harald Szeemann; mentre alla Biennale Danza del 2018 viene presentato “An Evening of Dance Construction” (2009), il film che ripropone quelle danze radicalmente nuove che la Forti aveva presentato nel loft/studio di Yoko Ono nel 1961, serie poi ricostruita per il Museum of Contemporary Art (MOCA) nel 2004. Fino al 2 aprile al Museum of Contemporary Art di Los Angeles è in corso la retrospettiva completa dell’artista italo-americana.
E’ invece di origine cinese la compagnia di danza contemporanea Tao Dance Theater, fondata nel 2008 a Pechino da Tao Ye, Duan Ni e Wang Hao. E a cui andrà il riconoscimento del Leone d’argento. Tao Dance è anche la prima compagnia cinese in assoluto ad essere stata invitata al Lincoln Center Art Festival di New York, all’Edinburgh International Art Festival, alla Sydney Opera House, al Théâtre de la Ville di Parigi e all’American Dance Festival, dove è stata anche in residenza. A Londra è stata invece di scena sei volte, invitata dal Sadlers’ Wells, che le ha commissionato cinque lavori.
In effetti per la Cina questa compagnia è un po’ una sorta di mosca bianca. I loro lavori sono molto diversi da quelli che si definiscono appartenenti alla danza postmoderna. Assolutamente non convenzionali, sono le opere della compagnia diretta dal coreografo Tao Ye per il quale il corpo e il movimento fisico sono l’essenza della danza stessa. A partire da “Weight x 3”, il primo spettacolo di “Numerical Series” il coreografo si è applicato esclusivamente a ricercare ed esplorare il corpo e il movimento fisico. Le opere di Tao Dance si concentrano esclusivamente sul corpo stesso del danzatore utilizzando movimenti ripetitivi, qualcosa che delle volte mette a dura prova lo spettatore che assiste alle loro performance. E’ insomma un ritorno totale all’attenzione per il corpo quello portato avanti dagli artisti della compagnia cinese. Questa svolta è stata dettata dal bisogno di prendere in qualche modo la distanza del teatro e ritrovare i suoi fondamentali. Da qui il ritorno verso il potenziale espressivo del corpo a partire dall’esplorazione di diverse tecniche legate al lavoro fisico. Osserva il direttore artistico di Biennale Danza nelle motivazioni del premio che “Tao Ye e Duan Ni hanno creato un genere di danza unica ed evoluzionistica che cattura con la sua forza ipnotica e minimalista” nei fatti la loro compagnia è impegnata in “un’estetica di “danza pura”, essenziale, che elimini ogni categorizzazione del movimento e, per estensione, di loro stessi. Il corpo viene presentato come elemento da percepire in quanto affascinante alla vista – privo di rappresentazione, narrativa, contesto: semplicemente esistente come oggetto.
Esso viene amplificato solo dall’uso della luce e del suono, così da consentire agli spettatori di essere messi a confronto – e alla prova – con tecniche, vocabolario e forme rigorosamente focalizzate sul corpo”. Tramite il loro innovativo “Circular Movement System” hanno sviluppato una importante fiducia nel “potere del solo movimento” con tutto il suo potenziale “ed espressività latente, le sue sfumature, la sua eleganza, idiosincrasia, limiti e restrizioni che ci chiede di guardare e guardare ancora – di apprendere la sintassi nascosta e di ‘vedere’ davvero come se facessimo esperienza del corpo e della danza per la prima volta – in tutta la sua meraviglia spettacolare, eleganza e comunicatività diretta, viscerale, cinestetica”. Mc Gregor definisce così Tao Dancer Theater una compagnia eccezionale che ha una visione , uno scopo e una mission che “Come i grandi della danza del passato, comprendono la vera natura del corpo quale ‘microcosmo dell’universo’ e hanno individuato il loro territorio particolare da esplorare ed espandere. Immergersi qui, in questo territorio ignoto, è originale, importante ed edificante e noi veniamo allo stesso tempo avvolti e provocati dalla loro genialità”. Tao Dance a Venezia saranno di scena il 28 e 29 luglio al Teatro Malibran con tre nuovi lavori in prima europea. Tre coreografie che proseguono la sequenza delle “Numerical Series” con cui sono affermati sulla scena internazionale:”11, 13, 14″ sono i titoli.
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