Teatro
“Autunno danza”, il cut up di Jenna e i perimetri di Guarino
Impegnata, attenta allo stato della ricerca, persino un pizzico elitaria, la rassegna di Autunno danza si conferma appuntamento sempre stimolante per la sua linea di attenzione a una contemporaneità che non concede molto alla spettacolarità ma preferisce osservare e riflettere su quanto avviene nella società, un dato particolarmente sensibile ed evidente in questa edizione nata sotto il segno della pandemia. Sono gli stessi autori della programmazione _ che questo anno si tiene a Cagliari tra gli spazi dell’ex Manifattura Tabacchi, il nuovo M15, e quelli del Teatro Massimo, ospiti di Sardegna Teatro _ a raccontarlo nella presentazione di un programma che nel corso dell’anno ha dovuto fare più volte i conti con la riscrittura perchè minato dall’incertezza: dall’impossibilità di ospitare artisti stranieri alla insicurezza per gli stessi luoghi di rappresentazione. “Ecco così una programmazione che “ruota attorno ai dubbi, al rifiuto delle asserzioni apodittiche, gioca con estetiche inconsuete, intersecando le molteplici percezioni con l’estrema concretezza di corpi in movimento, di luci che creano immagini, vibrazioni che alterano i battiti interiori”. Allo stesso tempo il festival compie una scelta di campo netta in quanto “si sottrae alle convinzioni economicistiche e diffida dell’utilità disumanizzante. Naviga con leggerezza sulla molteplicità dei piani dell’essere, si affida alle visioni divergenti di artisti/e consapevoli dell’indissolubile continuum dell’umano con il post umano, capaci di inventare un futuro e intrecciare l’attenzione all’integrità naturale con le trame originali di culture differenti…”. Il tutto è quasi una sorta di manifesto che vorrebbe affidare all’arte il compito salvifico di costruire un domani migliore. A conferma giunge l’interrogativo: “La potenza immaginativa e l’azione creativa saranno utili a provocare trasformazioni e rivoluzioni non più inderogabili?” così si chiedono infatti ad “Autunno Danza”, che è certamente festival di danza contemporanea ma anche di arti performative.
E’ questa filosofia, che consiste nel guardare oltre il proprio campo, anche in momenti di tensione civile e incertezza del vivere quotidiano, il pilastro di una rassegna che per il secondo anno ha tenuto a battesimo “Fuorimargine” progetto di sostegno alla creatività giovanile che ha anticipato il festival (dopo l’anteprima dei due studi, “Spogliati” di Tommaso Giacopini e “Compost#4 Compost#5″ di Alessandro Carboni) con una formula originale di residenza (questo anno, a differenza dello scorso anno, frequentata solamente da artisti provenienti da tutta Italia) che lavora proprio sull’interazione di diversi linguaggi: da quelli del corpo alla musica, dal video alle nuove tecnologie. Seguiti da un robusto staff di tutor i performer si sono confrontati per giorni con musicisti e studiosi su temi anche complessi come quelli dell’intelligenza artificiale, apprendendo nozioni preziose anche sul campo della ricerca teorica nell’ambito delle neuroscienze (da segnalare una preziosa conferenza tenuta dal filosofo ed epistemologo Silvano Tagliagambe). Al termine della formazione _ costruita in collaborazione con Sardegna Film Commission, Sardegna Ricerche, CRS4, Spaziomusica, Ticonzero e Sardegna teatro _ i giovani artisti hanno prodotto azioni di gruppo dove sì è gettato il seme per ulteriori progetti. Questi i danzatori: Chiara Aru, Paola Drera, Francesco Ferrari, Nicola Manzoni, Edoardo Mozzanega, Carolina Alessandra Valentini. I musicisti: Emanuele Bella, Francesco Medas, Mauro Murru, Francesco Oppes, Manuela Ragusa e Sergio Tifu. I tutor erano invece Marco Cadinu, Alessandro Olla, Giulia Muroni, Massimo Gazole, Nicoletta Zonchello e Jacopo Jenna.
Proprio da quest’ultimo, filmaker e coreografo, è venuta domenica 11 ottobre l’apertura ufficiale del festival: una sperimentale e raffinata “Alcune coreografie”, quasi un esercizio di stile provocatorio e stimolante che vede un dialogo diretto tra una danzatrice precisa come Ramona Caia e un grande schermo video in cui vengono proiettate le immagini delle grandi Maestre della danza, da Pina Bausch a Trisha Brown mescolate a frammenti di “May B” di Maguy Marin e alle ipnotiche evoluzioni di una danza balinese colte per un attimo e “citate” attraverso un processo di mimesi diventata sofisticata meditazione sulla danza stessa. Ed è proprio una danza che fotografa se stessa nell’atto del divenire utilizzando la danza stessa come strumento. Nascono così fotogrammi in slow motion partoriti da una cinepresa che avanza a scatti e include anche scene di danze popolari, lampi di coreografie alla Ester Williams e via discorrendo. Il risultato è quello di costruire, oltre lo schermo e lo stesso palcoscenico, delle immagini nuove. Sulla stessa linea narrativa, nella seconda parte della performance viaggiano su un binario eccitante ed ambiguo le immagini del videoartista Roberto Fassone. Un insieme di paesaggi non antropizzati, tra natura e frattali, che con un cut up nervoso punta a provocare, simultaneamente alla colonna sonora, fascinazione e straniamento. Una ginnastica ardita e parossistica per gli occhi e una emozionale palpabile sotto pelle.
Con questo elettrizzante viatico la rassegna entra “in res” il prossimo 21 ottobre con l’azione performativa a coppie per bambini e adulti insieme di Anna Fascendini di Scarlattineteatro, “Corpo Lib(e)ro” che, coprodotta assieme dal festival “Tuttestorie” e la compagnia Is Mascareddas, propone un incontro tra libri e corpi “per stimolare l’immaginario e vedere oltre” indirizzato alla primissima infanzia da zero a tre anni (di scena alla Manifattura dal 21 al 23 alle 16,30 e alle 18, il 24 e 25 alle 10,30, 16,30 e 18). “Forecasting” è il titolo dello spettacolo di Giuseppe Chico e Barbara Matijevic (23 e 24 ottobre alle ore 21 al teatro Massimo) dove si utilizzano frammenti video ripresi da quella grande mediateca online che è YouTube. Da questo grande magazzino di immagini e azioni il performer estrae dei filmati che “rappresentano la vasta scala delle manifestazioni umane”. Da qui nascono “una serie di spaesamenti spaziali e temporali”. Lo schermo di un personal computer diventa il luogo di incontro tra azioni performative e realtà virtuale.
Igor e Moreno del Work Place di Londra sono gli autori di “Beat” (il 25 ottobre alle ore 19 al Massimo) che vede in scena la performer Margherita Elliot. Lo spettacolo è una riflessione “su come mettiamo in scena la nostra identità, il genere, l’etnia, la cultura, la nazionalità e la classe sociale”. “Beat” dicono Igor e Moreno è “una linea di indagine per esaminarne gli effetti sulla nostra percezione degli altri e del mondo che ci circonda, su come troviamo libertà, su come ci auto rappresentiamo”.Un altro duo, quello formato da Ginevra Panzetti ed Enrico Ticconi sono gli autori e gli interpreti sul palcoscenico (il 7 novembre alle ore 21 e l’8 novembre alle ore 19) di “Harleking”. Lo spettacolo ha debuttato nel 2018 al Tanzfabrik Berlin all’interno del festival “Open Space” e ricorda un po’ “l’Arlecchino della Commedia dell’arte, un servo furbo mosso dalle inclinazioni più animali e un’inappagabile fame”.
Prima nazionale (al teatro Massimo il 13 novembre) per la danzatrice e coreografa Lucia Guarino che mostrerà in “Superstite” una riflessione su “cosa rimane a un immaginario più grande della storia del corpo e della bellezza del vuoto”. Dice Lucia Guarino: “La bellezza del vuoto non è il nulla ma forse il poco o l’attesa del possibile, il punto ultimo dell’essere. Nella misura in cui contiene la contemporaneità ha la possibilità di aprire a nuovi segni e nuovi perimetri perché ciò che resta, ha la possibilità di creare altre strade, in quanto corpo non intero”. Ancora Lucia Guarino (il 14 novembre alle 21 e il 15 alle 19 al teatro Massimo) è di scena con il solo di danza “Retiro” : una “riflessione che sviluppa i tre elementi dello spazio; il privato, il pubblico e il momento che intercorre fra i due, Il tuffo come estremo atto di libertà e coraggio o come accettazione del proprio fallimento”.
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