Teatro
Armando Punzo, oltre i classici danzando l’Utopia
A Volterra l’Utopia è diventata realtà. Un sogno accarezzato, inseguito e voluto con determinazione sta per avverarsi dopo oltre trenta anni, il lasso di tempo intercorso dal primo giorno in cui il teatrante Armando Punzo, 63 anni di origine campana, mise piede dentro la terribile Fortezza eretta dai Medici oltre quattrocento anni fa, per fondare il suo teatro. Un teatro di impatto, visionario e di rilevante significato politico e sociale costruito, giorno dopo giorno, all’interno di questo oscuro luogo di pena, fatto di porte inespugnabili, gabbie e sbarre, che nel corso del tempo ha regalato spettacoli straordinari facendo rimbalzare dappertutto il nome della città medioevale toscana per l’incredibile risultato d’arte costruito con pazienza e tenacia. Quello che era appunto solo un sogno utopico potrà finalmente realizzarsi: uno spazio dedicato alla scena all’interno della prigione. Il primo in assoluto in Italia, e forse uno dei pochi al mondo. Arriva dopo trentatré anni di lavoro e ventidue dalla nascita della Compagnia della Fortezza fondata e diretta da Punzo, più volte insignito dal Premio Ubu. Il via è arrivato con il bando per la costruzione dello spazio, direttamente gestito dalla stessa compagnia, dove sono impegnati fino ad ottanta detenuti, che permetterà di operare in modo diverso e più proficuo l’attività all’interno della struttura carceraria. Si potrà finalmente sperimentare e provare avendo a disposizione per tutto l’arco dell’anno una struttura ad hoc.
Armando Punzo sa come trattare l’Utopia trasformandola in realtà. Anche nell’ultimo lavoro presentato a fine luglio nella Fortezza, “Naturae- la valle della Permanenza” questa (l’Utopia) sottende e nutre ogni piega dell’opera. Danza leggera e insinuante quanto più urgente è il bisogno di ribellarsi ai diktat della realtà per realizzare un uomo e un mondo nuovi. Nell’opera sembrano affiorare riferimenti all’utopia di Aleksandr Bogdanov, autore del romanzo “Stella rossa” e “Ingegner Menni”, un anticipatore delle moderne teorie dei sistemi. A capo dei bolscevichi in Russia nel 1905 (si scontrò con Lenin per le sue idee) riteneva centrale in uno Stato lo sviluppo della cultura. Fondò il “Proletkul’t”, (1917) organismo indipendente dal partito bolscevico. In ”Utopian Realism” ,un saggio di qualche anno. fa il sociologo McKenzie Wark, analizzando opere di autori come Fourier, Bernal, Bogdanov e altri definì la nozione di “realismo utopistico”. Scrive così Wark: “Quello dell’utopia è, in questo senso specifico, il genere più realista. Esso è capace di trattare formalmente le questioni relative non solo a ciò che il reale può essere, ma anche quelle relative a ciò che la realtà è»- Le utopie infatti “descrivono modi di essere che già esistono. Figurano, diagrammano o mappano relazioni effettivamente esistenti”. Dall’utopia di Bogdanov a quella trasparente e più in sintonia con il teatro di Vladimir Majakovskij che, osservando il mondo dall’alto nel poema “Pro eto” (di questo), dispiega la sua visione utopistica anelante un uomo nuovo e una vita diversa. Fino alla intrigante filosofia di Ernst Bloch per il quale la speranza è l’antidoto contro l’opacità del presente. Criticando ogni concezione evoluzionistica e lineare della storia afferma che lo spirito utopistico è un bisogno dell’uomo e la speranza è “il principio ontologico” che attraversa incoscientemente il mondo della natura stessa diventando consapevole nell’uomo.
“Questo è un lavoro che tende ad essere aperto alle interpretazioni. Follemente e fortemente abbiamo voluto che sulla scena accadesse altro di quanto conosciamo e vediamo nella vita quotidiana. Volevamo che altre fossero anche le dinamiche per non ripetere il luogo. Credo sia evidente che essendo un lavoro così aperto, questo potesse essere soggetto a diverse letture o accostamenti. E in tutto questo mi ritrovo. In questi otto anni abbiamo costruito in carcere una biblioteca appositamente per questo allestimento. Così avevamo tanto da leggere: una miriade di libri. Ebbene, uno di questi è “Il Principio Speranza” di Ernst Bloch, un volume che a me in particolare ha colpito molto perché afferma continuamente che si deve pensare l’utopia. E spiega anche come sia possibile fare qualcosa per bloccare le problematiche attivando il principio di speranza. Per andare oltre l’ordinario. Oltre quello che siamo, quello che pensiamo di noi come essere umani. E’ necessario cioè avere uno sguardo più alto. Non fermarsi mai. Smettendo di avere un approccio politico quotidiano, cioè i problemucci della vita di tutti i giorni. Ecco cosa vuol dire avere uno sguardo più alto. Come Bloch penso siano stati tanti quegli autori che in qualche modo sono stati compagni di strada. Borges lo è stato. Nel lavoro precedente, “Beatitudo” ci ha aperto proprio delle strade. Quando lui afferma a d esempio che “quella che sembra la realtà, altro non è che una delle mille possibilità” capisci che _ anche se lo racconti così e sembra che stia riducendo il pensiero di questo scrittore _ esiste un punto di vista completamente “altro”. Ed è proprio quello che stavamo cercando. Ciò che io stavo cercando ed ho trovato in Borges. Come si vede sono tanti gli autori letti e studiati. Quindi va benissimo Bogdanov. Figurarsi! Per quanto riguarda Majakowskij devo dire la verità: sì. Anche se non è che abbia fatto dei riferimenti diretti. Questo è un autore che ho frequentato molto durante la preparazione di “Mercuzio non vuole morire”. Da lui abbiamo sicuramente preso alcune cose. Dei testi e le sue poesie, che sono straordinarie. In lui c’è un senso di leggerezza che vuol dire andare oltre l’umano concreto. Accadeva dodici anni fa. Certamente sono stati anche i primi tentativi sperimentali che poi ci hanno condotto a “Naturae”. I primi tentativi libertari”.
Così si ascolta in “Naturae” : “Il suo sguardo si sporge ai confini del mondo districare le trame, la sua passione è sciogliere nodi./ Un corpo fluido, senza confini definiti, capace di espandersi verso l’esterno e l’interno, di perdere i suoi contorni, capace di fondersi con altri territori./ Sono la terra, sono la forza della vita, ciò che sta sotto e dentro di noi, nelle profondità Sono l’energia vitale che cerca una via d’uscita”. , Sono parole che esprimono concetti potenti. Sfiorano il sacro e nell’intimo risvegliano la parola “trasumanare” che Dante Alighieri forgia come neologismo nel Primo Canto del Paradiso della Divina Commedia allo scopo di significare “superare i limiti dell’umano”. Vuol dire andare al di là dei limiti della natura umana, oltrepassandola per giungere a una natura più alta che per il Vate è poi quella divina.
“In “Naturae” abbiamo voluto lavorare senza appoggiarsi a un autore che fosse riconducibile a un milieu culturale occidentale riconoscibile. Dante sicuramente lo è _ afferma Punzo _Tutto quanto è legato alla questione del viaggio per me è stato importante. Il protagonista, “Lui” _ e il bambino che in “Naturae” poi è rientrato in “Lui” _ è riuscito a ritrovare in sè il bambino inteso come innocenza, ma pure capacità e forza di ripartire da zero: azzerare tutto avendo gli stessi sguardi puliti (“Lui” è l’altro ego di Punzo in scena, il protagonista del viaggio in scena in quest’opera iniziata anni fa ndr). Era importante quindi non utilizzare Dante, che comunque dietro ha un riferimento importante come la religione cristiana. C’è poco da fare… non è che per me sia un problema ma nei fatti ti riporta sempre verso la letteratura occidentale. La ricerca che abbiamo provato a fare è stata invece di lavorare proprio contro i canoni occidentali dove anche Dante rientra. Tutto deve svolgersi nell’umano: riportandolo cioè alle nostre capacità umane, senza affidarci qualcosa che magari sta sopra di noi etc… mentre in Dante c’è sicuramente la suggestione fortissima dell’umano che può “trasumanare”… A livello drammaturgico pesano le parole, i testi che utilizzi e secondo me tutto ciò potrebbe avere un peso. Dante l’abbiamo frequentato nell’idea del viaggio ma poi è stato molto più interessante invece “Il verbo degli Uccelli” di Farīd ad-Dīn ‘Attār (il libro fa riferimento alla mistica sufi ndr), dove c’è una metafora del viaggio condotto da un gruppo di uccelli alla ricerca di un mitico re”.
Vale così per Dante Alighieri. Ma nel testo che si ode durante “Naturae” affiorano concetti anche forti che rimandano a filosofie orientali come il buddismo. Dalla ruota della vita tibetana alla via di illuminazione del buddismo giapponese propagato da Nishiren Daishonin. “Come a disegnare un quadro che nessuno saprà disegnare allo stesso identico modo./ Slanci vitali, felicità, limpida forma/ Voci e immagini che spingono in avanti/ Decostruire./ È come se volessimo raccontare tutto quello che sfugge./ L’inizio è nella sottrazione/ Sottrarsi, Sottrarsi e ancora sottrarsi/ Essere ancora meno/ andare oltre./ Sono stelle, pianeti, pianeti che si allineano per cercare armonia/ Avere la capacità di nutrirsi di luce/”. Alla fine certo il messaggio che arriva è comunque quello della speranza, come nell’utopia blochiana, e del cambiamento. Segnali che riguardano l’uomo e tanto più forti perché provengono da un luogo di dolore e sofferenza qual’è un carcere.
“Ma è così. Questo è tutto quello che ho provato a fare.Tutta la nostra riflessione è partita da Shakespeare. Iniziando dalle drammaturgie e dal racconto di un certo tipo di uomo che poi siamo ancora noi oggi. Ci siamo chiesti se ha ancora senso raccontare l’uomo come fa Shakespeare e poi, a caduta, fino alla letteratura contemporanea (che si rifà ancora al Bardo). E’ un uomo bloccato, fermo in quel tipo di narrazione. E’ proprio il canone occidentale a raccontare l’uomo in questo modo. La hýbris per cui sembra che se tu ti permetti di rischiare qualcosa devi cadere e morire. Devi pagare con la vita, nel caso tu osi andare oltre i limiti. C’è qualcosa che viene dalla nostra cultura a cui siamo molto referenti. La realtà è che non ci ragioniamo più. Che significa la hýbris che viene si dalla cultura greca… ma chi mette in dubbio che è stata una fase dell’evoluzione dell’uomo importante e anche culturale in cui si narrava l’uomo: certo, ma che uomo veniva narrato allora? Che cosa avevano intorno i greci? E’ vero che i classici ci risuonano ancora dentro ma è preoccupante che accada. Non significa che sia un bene: che esempio sono? Personaggi che compiono stragi. Di cosa raccontano poemi di Omero come l’Odissea e l’Iliade? Si parla di queste quattro disgraziate tribù che si massacravano di botte per il potere. Naturalmente poi sono scritte bene. Ci sono state tramandate. Ma l’uomo oggi assomiglia ancora a quel tipo di uomo? Secondo me vale la pena di metterli in crisi sti canoni. Cristo è un uomo che deve morire immolandosi su una croce perché noi ci dobbiamo salvare: se ci pensi, ci sono delle cose sanguinarie a livelli spaventosi. A voglia di parlare di livello di metafora. Di fatto i modelli e le immagini sono veramente terribili e orribili. Mi sembra che l’uomo sia questo e possa essere sempre solo questo. Sempre gli stessi riferimenti. Forse sarebbe meglio cominciare a dire che esiste un’altra umanità. L’uomo ha altre potenzialità. Pur non essendo buddista, dei praticanti di quella fede mi hanno detto che dentro il mio libro, “Un’idea più grande di me” scritto assieme a Rossella Menna (edizioni Luca Sossella) e dove racconto trenta anni di lavoro, si trovano concetti di quella pratica. Uno dei tanti ad esempio è la ruota della vita: mi chiedo se é possibile interromperla? Questo ad esempio è un concetto sul quale mi sono soffermato molto. Stiamo chiusi dentro la nostra spirale di vita senza uscire? E questo è interessante. La mia idea di libertà è quella di poter giocare con me stesso. Posso farlo? Posso rimettermi in discussione. Oppure sin dal momento in cui sono nato in un certo contesto sono finito? Mi sento libero ma non sono libero di niente. Puoi decidere ma non decido nulla perché è stato già deciso dalla cultura etc..”
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