Teatro
“Anima”, il teatro di figura ama Artaud e tradisce Perrault
Artaud all’improvviso. E’ nelle idee e nelle intuizioni di quel genio anarchico e ribelle, grande pensatore e motivatore di tanta parte del teatro contemporaneo che va cercato il filo che conduce alla porta di ingresso (e uscita) di un capolavoro come “Talita Kum” gioiello scenico e difficile campo di prova e battaglia per attore – in questo caso attrice come l’eccellente Valeria Sacco – scatola perfetta dei sogni che, a distanza di dieci anni dal debutto, mantiene intatto il fascino di spettacolo multiforme capace di sfidare il tempo. Nel lavoro di Riserva Canini, la compagnia di Marco Ferro e la già citata Sacco, nulla è stato lasciato al caso per costruire una macchina spettacolare complessa dove le capacità artistiche di mimo, attrice e animatrice di Valeria sono accompagnate ed esaltate dal discreto gioco illuminotecnico di Luca Mauceri e la sensibile regia di Ferro al fine di consegnare un allestimento visionario come pochi. Accade tutto in una rassegna di teatro di figura, da tempo tra le più ricche e stimolanti, “Anima International Festival” curata da Is Mascareddas, compagnia stimata in campo internazionale che stavolta, per la direzione di Donatella Pau ha voluto un programma tutto al femminile, poetico e coinvolgente per la scelta degli spettacoli con le donne in primo piano, ma anche per gli eventi collaterali che hanno acceso l’autunno culturale di Cagliari nello spazio post industriale della Ex Manifattura Tabacchi. Una rassegna che ha mostrato quanto l’arte della manipolazione delle figure, come la capacità di indagare spazio e raccontare storie abbia una ricchezza di invenzione culturale spesso e volentieri sottovalutata o snobbata da molti addetti ai lavori sia programmatori che critici. Così come sempre accade, ogni rassegna de Is Mascareddas è una festa per gli occhi e per il cuore, in grado di essere momento popolare dedicato a pubblici di ogni età ma anche spazio per ricerca e sperimentazione sofisticata.
Questo è il caso appunto di “Talita Kum”. Opera nata, dice l’autore e regista Marco Ferro da “una visione, complessa e insieme lineare, come lo sono certi sogni del pomeriggio”. Spettacolo senza parole ma in grado di dare comunque forma a una storia. E magari anche a più di una. Nasce “seguendo la rotta di un viaggio che assomiglia molto a una febbre, a un mancamento, a uno di quei momenti in cui le energie si esauriscono e si confondono dentro i nostri incomprensibili confini”. Sembra di sentire l’eco vibrante di una intuizione artaudiana che precede l’invenzione. Il viaggio inizia al buio per proseguire nella penombra, là dove albergano i sogni prima del risveglio e il confine tra realtà e fantasia è tremulo e labile. Un’altra tappa ancora fino alla conquista della luce che porterà al disvelamento. Ma potrebbe pure essere la stazione per un’altra partenza: un ulteriore inizio.
Un telo di garza illuminato appena da una luce ambrata dal colore del deserto rilancia in scena le linee imprecise di due figure umane in movimento come in un cinema finto fatto di ombre cinesi. I primi piani dei volti si mescolano rendendo incerti i contorni fino all’uscita. Due figure, una marionetta, due marionette. Un uomo, una donna. Singolare e plurale. Solitario e coppia. Il vero e il falso. L’umano e il non umano. Il gioco amalgama le parti in scena: volta per volta, azione dietro azione si compone e si scompone un mosaico di gestualità morbide e sinuose, sguardi di una immobile fissità, eppure seducenti, mischiano il maschile e il femminile. Quello che era inerte si muove e, viceversa, chi agiva ora appare di legno come una marionetta. Gli sguardi indugiano, ora su un corpo ora su un altro, nel tentativo di capire chi conduce il gioco scrutando la sinuosità dei movimenti di una donna vestita di rosso o i movimenti decisi di colui che indossa una maschera nera: è forse un maschio in cerca di un ultimo tango d’amore? Accanto ai due personaggi illuminati obliquamente c’è una valigia di ricordi per gente in fuga: qualche frutto, dei ramoscelli fioriti. Dettagli, pezzi di vita che appartengono a uno dei due personaggi in scena. O forse nascondono una sola indivisibile persona? Il risveglio e l’avanzare della luce camminano parallelamente alla rivelazione, mentre le energie di uno si riversano sull’altro. Il suo doppio. “Bisogna credere a un senso della vita rinnovato dal teatro -scrive Artaud- dove l’uomo divenga impavidamente padrone di ciò che ancora non esiste e lo faccia nascere. E tutto ciò che non è nato può ancora nascere, purché non ci si accontenti di rimanere dei semplici organi di registrazione».
Ha una lunga storia di rappresentazioni anche “Rouge Chaperon” sghembo racconto tratto dal celebre “Cappuccetto Rosso” nato più di una decade fa e narrato in scena con abilità certosina e notevole presenza attoriale dal duo francese di Mariòn Bourdil e Claire Rosolin (assieme a Marion Gardie danno vita alla compagnia Mouka di base a Bordeaux) che, alla stregua di “Alice nel paese delle Meraviglie” di Lewis Carroll quasi per caso finiscono dentro un universo parallelo.
Carambolate in un modo imprevedibile nelle vicende della ragazzina sola in mezzo al bosco, la nonna e il lupo cattivo. E imprevedibile sarà anche il percorso narrativo tra stoviglie e utensili, tavoli, tovaglie, bicchieri, marionette e grandi nuvole di farina: e il tutto accadrà velocemente e in modo stralunato dentro la surreale cornice di una cucina. In questo “Chaperon Rouge” non c’è scampo, la fiaba di Perrault è stata sconvolta e rivoltata per divenire specchio distorto di paure e incubi quotidiani. Mettendo in scena le disavventure della ragazzina dal manto rosso le due attrici e manipolatrici seguono il filo di un racconto crudele che intreccia il privato con il fantastico. L’epicentro sta nelle vicissitudini della ragazza che, come la pallina di un flipper, rimbalza da una vicenda all’altra di un noir. Seguendo una versione popolare della fiaba, il lupo darà in pasto la nonnina alla ragazza e proverà ad assaltarla sessualmente. Piccola ma non certo ingenua Rouge Chaperon invece riuscirà a fuggire salvandosi dalle insidie del lupo. Sul tavolo infarinato, in un incalzante scambio di ruoli si compiono le evoluzioni delle marionette, manovrate dalle abili manipolatrici. Dalle tecniche del teatro di figura alla manipolazione degli oggetti, fino al teatro d’attore tout court, tutto viene usato – finanche le ombre cinesi – in questo avvincente allestimento che mantenendo un ritmo sostenuto incanta per le trovate e i colpi di scena che si susseguono dentro un un universo bizzarro ma rivelatore dei nostri più reconditi tabù.
Le relazioni spesso difficili e tormentate tra universo maschile e femminile sono state affrontate invece in uno spettacolo dai tempi perfetti come “La Luna e Pulcinella” confezionato e messo in scena con bella classe da Irene Vecchia allieva di grandi maestri di tradizione delle guaratelle, cioè spettacoli di burattini a guanto, da cui ha ereditato sapienza manipolatorè la maschera partenopea di Pulcinella che vuole raggiungere nella Luna l’amata Teresina: dove finiscono per un sopruso tutte le donne. Irene Vecchia è stata anche protagonista di un assolo per attrice di teatro d’oggetti in “Un caso cromosomico” costruito in tandem con Giulio Molnàr. Storia di una famiglia e dei suoi misteri avvolta nelle cose non dette fatte di segreti genetici, azioni incompiute, scelte inconsapevoli. A raccontare le vicissitudini di una famiglia italiana dal punto di vista di una ragazza cresciuta tra i vizi e le imposizioni di una società patriarcale è una ragazza che mette alla berlina convenzioni e ipocrisia in “Relazioni necessarie” storia di e con la giovane ma promettente Valentina Lisi che nello spettacolo con la regia di Nadia Milani, mette in mostra un interessante talento narrativo. Lisi racconta in modo partecipato la storia di questa giovane partendo da un grande libro pop up che diventa una specie di atlante di una commedia umana piccolo borghese, luogo di frustrazioni e angosce che rendono difficile la crescita e l’affrancamento.
Ma “Anima If” ha avuto un carnet pieno di altre occasioni sia spettacolari che di riflessione, dal punto di vista delle donne, celebrando intanto una delle maggiori personalità del teatro italiano del Novecento, la burattinaia Maria Signorelli con la proiezione del documentario delle due figlie Giuseppina e Maria Letizia Volpicelli. con il montaggio e la colonna sonora a cura di Marco Schiavoni. Un imperdibile filmato in sei episodi sulla vita e l’abitazione romana piena di storia e di ricordi della grande artista. Altrettanto imperdibili sono le figurine “Impensamentadas” realizzate dalla stessa Donatella Pau e messe in mostra per tutta la durata della rassegna. Personaggi al femminile di fortissima espressività teatrale che all’osservatore attento regalano storie, squarci di vita di una bravissima costruttrice di teatro di figura, burattinaia e marionettista di talento. Naturalmente affollati gli incontri tra pubblico e autori degli spettacoli come i worshops dedicati al cinema d’animazione e l’uso dei materiali. Ma “Anima” è stata soprattuto rassegna teatrale con altri spettacoli di qualità. Azioni performative come “I am a Pen” della taiwanese Ting-Yun-Kuo che usa il suo coropo di danzatrice per disegnare graffiti e segni pittorici. Momenti di alta poesia in “OperettaAlzheimer” della compagnia basata in Francia MalaStrana di Marzia Gambardella che con la complicità di Valentina della Torre ha messo in scena un delicato e tragicomico assolo sui vuoti di questa malattia. Dal Friuli è giunta la Cta di Gorizia con Serena Blasio che ha animato la fiaba “L’oca delle piume d’oro”, testo di Antonella Caruzzi e lo spettacolo “Scarpe” accessorio indispensabile per camminare che può raccontare molto delle persone che le calzano. E ancora “Le venti giornate di Torino” di Controluce Teatro d’Ombre, idea, regia e sagome di Cora de Maria che utilizzando una piccola scatola racconta a suo modo, con ombre cinesi, immagini e musica il mondo distopico inventato dallo scrittore torinese Giorgio De Maria. Teatro d’oggetti dal Belgio infine con la figlia d’arte Olivia Molnàr che in “Piccoli suicidi” mette in scena tre brevi esorcismi di uso quotidiano inventati negli anni Settanta da Giulio Molnàr: Alka Seltzer, Pita (una chicca di caffè) e Il tempo.
E ora spazio a Is Mascareddas e, soprattutto a Donatella Pau che fino a Natale porterà i giro cinque storie narrate attraverso gli oggetti e l’animazione. Sono un racconto della scrittrice premio Nobel per la letteratura Grazia Deledda, una favola dei fratelli Grimm, una di ambientazione araba e due tratte dalla tradizione popolare. Sono i “Doni” che, dice Donatella Pau “secondo Marcel Mauss, antropologo e storico del secolo scorso, sono un modo universale per creare relazioni umane, un veicolo di fiducia tra chi fa e chi riceve. Il dono, questo è certo, non ha una linea dritta ma circolare perché tutto torna, come nelle storie”. “Doni”, scritto con Betti Pau, oggetti scenici di Tonino Murru e Stefano Dallari si avvale delle scenografie di Sonia Carlini si potrà seguire tutte le sere alle 18 fino al 14 nello spazio degli stessi Mascareddas nella Ex Manifattura Tabacchi di Cagliari. Dopo alcune repliche al Ten di Nuoro (15 e16) e Teulada (il 19) sarà di nuovo in Manifattura a Cagliari dal 20 al 23 dicembre.
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