Teatro
“Anima If”, il racconto distopico della possibile catastrofe
Più in basso. Sempre più giù. Non tira bella aria. Chi vive in Europa sta al confine di guerre terribili, in Israele e Palestina, come in Ucraina, corollario alle altre striscianti e dimenticate qua e là per il Globo terracqueo. E’ un pianeta, il nostro, che sta subendo un lento e inesorabile declino di cui sempre gli uomini alla fine ne sono i principali responsabili, impoverendo il luogo dove si vive. Anche il clima sta impazzendo. Grazie all’aumento di anidride carbonica nell’aria. E, ciò nonostante, restano ancora in funzione tante miniere mentre le raffinerie di petrolio girano a mille. C’è davvero una sorta di attesa colpevole che paventa la possibile incombente tragedia. Sia un uragano o un ciclone, sia l’innalzamento dei mari o lo scioglimento dei ghiacci. Tutto questo dove porterà? “Non c’è giustizia sociale senza giustizia ecologica”, la frase di Serge Latouche alfiere della decrescita, campeggiava nei giorni scorsi su manifesti e locandine della sesta edizione di “Anima If”, ossia il festival internazionale dei Mascareddas, compagnia di teatro di figura di Tonino Murru e Donatella Pau che ha appena superato la boa dei quaranta anni di attività. Stavolta ha voluto tingersi di verde per dedicare la rassegna al tema della natura. “Natura”: ossia quella roba che _ dicono i Mascareddas _ “a malapena comprendiamo?” Da qui “il tentativo di capire il legame tra l’uomo e l’ambiente che lo circonda e come vive il rapporto con gli esseri viventi diversi da lui (piante, animali, materia) ha guidato la scelta della programmazione”. Una rassegna fatta di spettacoli, ma anche di incontri, proiezioni e dibattiti che parlano e si interrogano sulla natura, sull’essere umano nel mondo, sul sistema ambiente che tentiamo di piegare alle nostre esigenze e, allo stesso tempo chiediamo di essere clemente”.
C’è qualcosa che il teatro di figura sa fare molto bene: quello di “accogliere molteplici livelli di espressione. Di creare dei legami tra generi a un primo sguardo lontani ma uniti dal medesimo processo che dall’immagine porta a una narrazione”. La figura è proprio un genere che, senza troppi infingimenti, mostra la realtà -anche quella più dolorosa- in modo diretto ma in più, con una compassione che non ha eguali nel nostro spazio di conoscenza.
E quindi, in quella che è stata la sesta edizione, appena conclusasi, tante le iniziative di riflessione, a cominciare dalla selezione di corti in collaborazione con il Festival Life After Oil, storie di archeologia con Giulia Balzano e quelle di “Orchi, Antropofagi e Macellai”, il nuovo libro di Alfonso Cipolla, drammaturgo, regista nonché storico del teatro di figura e critico teatrale, “Gli Amori carnali e vegetali” da “Le Metamorfosi” di Ovidio rilette da Betti Pau, e così i racconti ravvicinati di artisti come il pittore Lello Porru o la sapienza artigianale delle tessitrici del laboratorio aperto Craft che hanno tenuto un loro workshop e il naturalista ornitologo Francesco Livretti che ha raccontato “Storie di uccelli che vivono a Cagliari”. Ma anche e soprattutto spettacoli. Che sono poi il migliore specchio deformato in cui vedere la realtà quotidiana e quella futura. La passione degli organizzatori è sempre la stessa ma è il tempo che passa a determinare l’aria che gira anche sulla scena. E in questa “Anima if” quello che gira nel mondo si coglie anche troppo bene come sensazione di caduta, voglia di fuggire la realtà per non affrontare un incerto domani. E’ una generale sensazione di tristezza, oscurità e tanta confusione che alberga nei cuori di questi teatranti che hanno animato le giornate di “Anima if”. Quasi tutti avulsi in una sorta di impalpabilità dei progetti teatrali, allo stesso tempo immersi come artisti in universi distopici da post o imminente catastrofe.
Disastri che non si cerca più di fermare o combattere perché si sente il tempo ormai scaduto. Nero profondo o quasi. Accanto a scenari degni di Philip Dick ci sono infatti anche le microstorie quotidiane che spesso colgono nel segno lanciando – fortunatamente- uno sguardo ironico su una middle class impazzita e in cerca di un ideale buen retiro in una foresta. Così avviene nello spettacolo di marionette e oggetti della compagnia francese La Cour Singulière, “Tire-Toi de mon Herbe Bambi” cioè “Spostati dal mio giardino Bambi”. Il Bambi in questione è una famiglia di cervi che vive libero nella foresta dove una coppia ha deciso di installarsi chiudendo gli spazi della loro proprietà agli uomini e agli animali. Lo spettacolo racconta proprio dell’ambiguo rapporto con la natura, l’incapacità di capire e rispettare equilibri e abitanti di un habitat assai lontano dai nostri, dove la paura del diverso, l’ostinazione a erigere muri finiscono per diventare occasione per stupide e inutili tragedie. La coppia formata da Helene Roussel, marionettista e scultrice e Oliver Lehman, marionettista e danzatore senza effetti speciali, costruisce una piéce agile e divertente che lancia alcuni colpi di teatro come quello finale. Dopo aver ingaggiato una lotta all’ultimo sangue contro la famiglia dei “Bambi” (esilarante la messa in moto della sega elettrica per buttare giù gli alberi, si tinge di splatter con il robot che prepara la “terrine” con la carne dell’animale ucciso) ecco la sorpresa: l’uomo diventerà un mostro con metà corpo di uomo e testa di cervo. La vendetta della Natura è infine giunta.
Chi mostra invece un rapporto quasi messianico nei confronti della natura è la brasiliana Juliana Notari, l’artista più presente del festival che firma in “Selva” una sorta di manifesto poetico visivo disegnando fisicamente davanti al pubblico, e con gestualità armoniosa, il viaggio dentro la natura. Sono le sensazioni e le scoperte che il nostro corpo acquista giorno per giorno, sin dalla prima età, in rapporto alle piante, i fiori, gli animali che ci circondano: porte che si aprono, finestre che si schiudono e la Notari che, come uno sciamano mostra il tutto con delicatezza, invitando a rispettare le diversità amando noi stessi e il nostro corpo. Così simile al resto del mondo. Lì dentro c’è un universo fatto di sensazioni, desideri, gioia e bellezza. Altro lavoro portato in scena da Notari è l’opera per marionette e musica “Escuta e o pulso” concepito e messo in scena assieme al musicista Felipe Gomes. Un groviglio di suoni e gesti contro l’assenza di comunicazione tra le persone, soprattutto nelle grandi metropoli. Notari è molto fisica e tende a ricercare sentimenti immediati e primordiali che traduce in scena con una gestualità corsara, sintetica ma efficace dove la natura ha sempre un posto preminente: fatta di foglie di alberi e frutta, l’uso di materia fatta di filtri di caffè usati e seccati al sole per costruire le marionette…
Mantiene la nostalgia di un mondo perduto, il nostro, e l’incertezza piena di interrogativi lo spettacolo del Theatre de La Massue dal titolo assai evocativo, “Le Petit Théatre du bout du monde” (di Ezéquiel Garcia-Romeu). Il piccolo teatro alla fine del mondo è effettivamente un concentrato di passato e presente distopico e un futuro ancora indefinito e lontano. Un’opera quasi criptica dove ciascun spettatore, se vuole, può liberamente proiettare il proprio film così come potrebbe girare attorno a questa singolare costruzione che troneggia al centro della scena. Una sorta di Arca contenente archivi e memorie in via di dissolvimento, conoscenze tecnologiche sempre più incerte e un fantastico manipolatore, Issam Kadichi, che agisce perfettamente una piccola creatura dagli occhi luminosi simile a una divertente replica di un gremlin. Vivace e intelligente sovrintende tutti i passaggi teatrali. I due, pupazzo e marionettista, stanno rinchiusi in un ambiente che può richiamare la plancia di un sommergibile o di un cabinato illuminato fiocamente da luci giallastre e saltuarie esplosioni di neon. Gli spettatori vedono tutto dal di fuori, testimoni un po’ impacciati che cercano di capire quello che appare come un gioco di società dalle regole oscure. Nessuna fuga verso possibili Utopie. C’è un mondo di sotto e uno di sopra. Ma tutto appare capovolto: sotto serpeggia la vita (?) e sopra il nulla, la fine. Sotto i sopravvissuti, sopra il passato prima della catastrofe. Niente è definito e incerte le vie d’uscita. Quello che resta è il segno del dolore e della perdita di un tempo che non c’è più. Ma anche l’impossibilità degli artisti a rappresentare quello che resta… Anche se si abbonda in macchineria.
Chi sembra promettere bene sin dall’inizio (per perdersi poi…) è lo spettacolo degli svizzeri-sardi Frau Trapp, al secolo Matteo Frau, eccellente trombettista e la marionettista Mina Trapp che in “Five lines” raccontano cinque vite parallele in un universo distopico (un altro) influenzato da scenari orwelliani. La macchina del racconto è quella dei micro set cinematografici dove dei puntuali operatori filmano e rimandano in tempo reale il racconto con i personaggi/attori/pupazzi che entrano ed escono dallo schermo. Tutto molto affascinante in termini di apparato tecnico narrativo, con i micro set montati come dei presepi e, in cui avvengono gran parte delle riprese. Ci sono anche stacchi dal cinematografico alla “presenza”, dove non mancano momenti glam come il solo di Frau in abiti musicali che aggiungono un tocco di indispensabile poesia. Molto meno avviene invece sul piano drammaturgico nel quale anzichè scegliere la semplicità si tende a pasticciare con intrecci poco verosimili. Tutto avviene in un pianeta, si presuppone la Terra, dove la crisi climatica ha inaridito le falde acquifere e creato il deserto.
Il mondo come si conosceva non esiste più ma esiste un fantomatico progetto chiamato “El Topo” governato da un Grande Fratello che costringe gli uomini a lavorare vivendo nelle viscere della terra (non mancano riferimenti con il cinema di fantascienza come ad esempio “Total Recall” , il celebre film di Paul Verhoeven ambientato su Marte con Arnold Schwarzenegger e ispirato -guarda un po’- da Philip Dick ). Impossibile resistere. C’è chi tenta di scappare e muore e chi riesce a salvarsi.
Dopo la parentesi dei padroni di casa de Is Mascareddas, Donatella Pau è andata in scena con il suo collaudatissimo e avvincente “Le Storie di Leo”, tratto dai racconti poco conosciuti di Leonardo da Vinci. Narrazione con marionette da tavolo e musica dal vivo suonata dal clarinettista Angelo Vargiu, un connubio che regala agli spettatori attimi di felice rapimento.
“Anima If” approda alla fine con gli spagnoli del Teatro Lafauna impegnati in “Lovo” con pupazzi, attori live e microset cinematografico. “Lovo” o lupo come si chiama da qualche parte dalla Spagna, assume su di sé la voglia di essere documentario impegnato sul fronte del salvataggio degli animali (il lupo in questo caso) che stanno andando verso la scomparsa, in questo caso l’ultimo lupo della Sierra Morena. Lafauna racconta con trasporto quasi cronachistico le vicende reali che vedono una lotta quotidiana per salvare l’animale che purtroppo soccomberà alla fine lasciando però una bellissima sorpresa. La nascita di un altro lupo portato in seno e che è anche un messaggio di speranza contro l’uso indiscriminato di boschi e foreste indispensabili alla vita di tutti gli esseri.
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