Teatro
Adamo e Eva, una coppia appesa a un filo
È curioso quanto il teatro si sia interrogato, e tutt’oggi si arrovelli, sul tema eternamente irrisolto della coppia. È il tema dei temi: in tutte le sue varianti, in tutte le sue fasi, in tutte le consequenziali aberrazioni, nelle possibilità e nei fallimenti. Il gioco è sempre quello, la partita senza esclusioni di colpi non finisce mai. Quasi che mettendola in scena, la coppia, si possa fare un esorcismo, una rito apotropaico, oppure direttamente un woodoo. Mai una lezione, questo no: ché, per quanto si possa stare attenti, diligenti prendere appunti, non impareremo mai nulla, e sempre di nuovo cadremo negli stessi errori. Il discorso amoroso, per frammenti o per struggimenti, abbraccia tutti e ciascuno: ci ritroviamo là, in poltrona, a guardarci soffrire, a desiderare, addirittura a supplicare. Salvo poi tornare, soli, alla realtà che innegabilmente è peggio della scena: ma avete visto come le donne abbracciano gli uomini, in scena? Con quale slancio, con quale ardore stringono le spalle degli uomini?
Ci sono istanti, momenti di falsissima verità, in cui ogni spettatore – almeno i maschietti, ne sono certo – con gli occhi umidi si trova a pensare “beh, sarebbe bello fosse così”. Beati ci asciughiamo la lacrimuccia e torniamo a crederci a quello strano modo di vivere in due.
È questa la catarsi bieca del teatro? Aiutarci a tollerare con pazienza il rapporto di coppia? Non tutto si appiana, comunque, nemmeno in scena: la coppia scoppia, va da sé. Quanto regge una coppia oggi? Ormai si vogliono sposare solo i gay: per gli altri, le relazioni hanno la data di scadenza stampata minuscola sotto il giuramento di fedeltà eterna.
Pensavo a tutto ciò, e pure ad altro, al Teatro dell’Orologio di Roma assistendo incuriosito a Adamo e Eva, scritto e interpretato da Mauro Santopietro, in scena con Alessia Giangiuliani. Curioso invero è questo esperimento: diviso in sette quadri – quanti, ricorda il programma di sala, erano i giorni in cui Dio ha lavorato alla costruzione del mondo – sbatte in scena la coppia primigenia, e la segue tra salti temporali e linguistici. Li troviamo, i due, appesi a una specie di altalena fatta di corde che si sveleranno robuste, capaci di legare – a mo’ di pupi siciliani – addirittura di imprigionare. L’uomo e la donna scoprono in fretta la parola, la plasmano parlando, elaborano strategie verbali che sono identificazioni del mondo e dell’essere al mondo. Lasciano il giardino dell’Eden senza troppi rimpianti, magari con qualche perplessità, e si ritrovano a vivere. Ovvero a discutere, amare, combattere, sopraffarsi, distruggersi, e ricominciare. Evocando qua e là Amleto, Orgia di Pasolini, o Quartett di Muller o addirittura un clima da crociate o da commedia di Woody Allen, questi Adamo e Eva sono intellettuali estremamente fisici, addirittura brutali, ma già stanchi, esausti. Nella schermaglia d’amore e di resistenza non si sa, alla fine, chi vincerà. Vince, forse, proprio la “coppia”, che sopravvive ancora uguale a se stessa dalla mela paradisiaca in poi. E la relazione, così vera, lontana da ogni immaginazione, è infangata di quella terra che è base, e fondamento simbolico della scenografia: un cerchio di terra scura, grassa, che si insinua ovunque, che plasma insindacabilmente ogni volo pindarico o poetico del testo. Là, su quella terra, ci è dato vivere e dunque amare.
Rendono con perizia tutte queste suggestioni i due interpreti. Tra archetipi e miti, tra luoghi comuni e pregiudizi, lui e lei si parlano addosso, senza tregue. Lo spettacolo è ancora sicuramente da rodare, da mettere a punto, da scavare al meglio. Ma il lavoro ha una sua sostanza: è bravo Santopietro – con quel suo guardare altrove, quell’aria tra il sorpreso e l’annoiato, capace però poi esplodere ferocemente – ed è bravissima Alessia Giangiuliani, attrice di razza, raffinata e concreta, che sa essere volubile e incisiva, algidamente affascinante. Nel continuo attacco-difesa dei due la schermaglia è un flusso verbale che si fa fisico, e alla fine se ne esce attoniti, amareggiati, consapevoli di qualche mezza verità: diciamocelo, in fondo la vita si affronta meglio in due, che non da soli.
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