Famiglia
A teatro con mio figlio
E se Giovanna d’Arco non fosse poi bruciata sul rogo? Se fosse diventata una strana bibliotecaria, un po’ strega un po’ matta, che si rivela ad una coraggiosa bimba chiamata Jeannette? Sarà che vado a teatro con mio figlio, che di anni ne ha sette, ma da un po’ di tempo a questa parte mi imbatto in storie fantastiche e affascinanti che, quando funzionano, prendono non solo il pubblico bambino, ma anche l’adulto. In Italia, lo sostenevo tempo fa, il cosiddetto teatro ragazzi ha una lunga storia. E oggi, nei suoi punti d’eccellenza, sta provando a rinnovarsi ulteriormente, ad aprire nuove strade – non da ultimo un sano ricambio generazionale. E sta trovando spazi ulteriori, anche “importanti”, che finalmente si aprono a queste proposte di spettacolo intercettando spettatori che vanno dai due anni in su. Forse perché nei momenti di crisi si torna sempre ai bambini, saranno le nuove direttive ministeriali, fattostà che anche il “teatro ufficiale” si interessa sempre più di bimbi. La produzione teatrale italiana per l’infanzia vive dunque di contraddizioni e di slanci: sospesa tra quel glorioso passato storico, e un futuro da inventare sempre di nuovo, anche rischiando, deve comunque confrontarsi con una infanzia che muta alla velocità della luce. Allora, il nodo irrisolto capita sia la drammaturgia (almeno a me sembra). Ad esempio in La Primavera di Jeanne d’Arc, drammaturgia di Flavia Gallo e regia di Fiona Sansone, la storia è pur affascinante e divertente: con pochi elementi scenici (sorta di sculture povere e selvatiche di legno) crea sicuramente una suggestione forte, ma stenta a decollare, ad acquisir nitore narrativo. Lo spettacolo comunque arriva, ed ha una certa eleganza, merito soprattutto delle due interpreti, Laura Nardi, stralunata e straniante Jean d’Arc, cui si affianca la generosa e maliziosa presenza di Giulia Viana, novella Jeannette. Visto al Teatro India, nell’ambito della stagione che lo Stabile capitolino meritoriametne dedica ai ragazzi, La Primavera di Jeanne d’Arc diverte e spaventa, come è giusto che sia. Si rivolge invece al difficilissimo mondo dell’adolescenza, lo spettacolo Gaya, della compagnia Anfiteatro di Como. Una ragazza sola in scena, felpa, pantalonacci corti e anfibi. Parla di sé con forte accento spagnolo: si scoprirà essere arrivata da Cuba, a seguito della famiglia, ma cresciuta in Italia, in Lombardia. E si scoprirà essere lesbica. Usando un linguaggio diretto, anche aspro, con ritmi e movenze “giovanili” (a volte troppo), racconta del suo bisogno d’amore, della difficile esistenza di chi si scopre “diverso”, pur non essendolo in cuor suo. Testo e regia di Giuseppe di Bello, il monologo pulsa anche per la bella tensione che vi scarica l’interprete, Naya Dedemailan, d’origine cubana come il suo personaggio, che riesce a toccare momenti commoventi quando racconta del rapporto con la figura del padre. Spettacolo aspro e vero, forse un po’ manierato in alcuni passi, ma coraggioso e sincero, che dà voce e corpo al complesso snodo di un’adolescente alla scoperta del sé, dell’amore, del sesso. Ci siamo imbattuti in Gaya al Festival “Non c’è differenza” ben organizzato dal Teatro Laboratorio a Verona: in una città chiusa su se stessa e quanto mai ostile a tutto ciò che è “diverso”, ci vuole bella determinazione per dar vita a una iniziativa simile (ma a questo lavoro, mio figlio non c’era). Infine, almeno per il momento, Pop up, il candido spettacolo prodotto dal Teatro delle Briciole di Parma e affidato alla compagnia i Sacchi di Sabbia. È notevole l’apertura dello storico centro parmense, tra i più importanti e vivaci spazi dedicati all’infanzia: da tempo si prendono il rischio (e il piacere) di fare un cantiere in cui coinvolgere gruppi della nuova scena italiana, chiamati ad aggiornare la propria ricerca e la propria estetica con le esigenze del pubblico bambino. Ne sono usciti momenti decisamente interessanti: non fa eccezione Pop Up, sorta di delicatissimo cartoon fatto a mano (un “fossile di cartone animato”, dicono gli autori Giulia Gallo e Giovanni Guerrieri) utilizzando i famosi libri pop up. Le due animatrici in scena, Beatrice Baruffini e Serena Guardone, sono bravissime a servirsi in modo efficace delle pagine animate: ne escono quattro scene dedicate ad altrettanti “puntini” (giallo, blu, rosso, grigio) con situazioni esilaranti e poetiche. Mio figlio, che vanta un anno in più dei sei indicati per lo spettatore ottimale, sorrideva condiscendente, ma alla fine si è detto divertito, a tratti infastidito da un eccesso di semplicità. Per quel che mi riguarda, invece, ho apprezzato l’originalità dell’uso dell’oggetto-libro, la capacità di portare oltre, in un immaginario diverso, la narrazione. Lo spettacolo era all’Auditorium di Roma, in una sorprendente “Biennale del Teatro Ragazzi” ideata e curata, con grande generosità, da Michela Cescon: molti gli appuntamenti in cartellone, per una manifestazione che ci auguriamo possa crescere rigogliosa. Per quel che riguarda le Briciole, poi, sono al centro di un meritato “omaggio” romano: la compagnia di Parma, oltre che all’Auditorium, sarà ancora al Teatro India con lo storico e sempre imperdibile Con la bambola in tasca, creato venti anni fa dalla regista Letizia Quintavalla; e poi con L’orco sconfitto ovvero il sapere del più piccolo; e infine alla Sala Umberto con John Tammet fa sentire le persone molto così. Tanti appuntamenti. Mio figlio sarà contento.
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