Teatro

A Siracusa l’Odissea pop di Peparini

8 Luglio 2023

SIRACUSA. Se c’è un posto al mondo in cui il mito classico è stato sempre preso sul serio, quel posto è Siracusa. Potente “idea senza parole” (secondo la formula di Furio Jesi) da servire e ossequiare o da contestare radicalmente, archetipo vivente, storia da raccontare, specchio identitario, paradigma di alterità, plot dotato d’intrinseco senso politico e utile per capire la realtà umana, il mito a Siracusa è stato sempre problematizzato. Giustamente problematizzato: il rischio di un’utilizzazione ingenua del mito, dato anche il volume di economia movimentato dalle rappresentazioni classiche, è l’essere assorbiti nei gorghi del pittoresco, del prioritariamente turistico, del neoclassico d’accatto, del colossal cinematografico di soggetto mitologico o storico antico. Invece qui, a Siracusa, non si è mai smesso d’interrogarsi sul senso profondo dell’usare oggi il mito – grazie al meraviglioso tramite di quel che ci resta della drammaturgia classica – per costruire del teatro vivo che parli al presente e partecipi attivamente della scena contemporanea. Sta in questa caratteristica la vera ricchezza delle “Rappresentazioni classiche” siracusane e dell’istituzione pubblica, l’Istituto nazionale del dramma antico, che le organizza e gestisce da oltre cento anni. È necessario ricordare in premessa questa caratteristica degli spettacoli Inda per contestualizzare correttamente e poi interpretare e raccontare responsabilmente “Ulisse, l’ultima Odissea”, lo spettacolo di Giuliano Peparini (regista e coreografo) che si è visto sulla scena del Teatro Greco dal 29 giugno al 2 luglio, ultimo allestimento della LVIII stagione delle Rappresentazioni classiche siracusane.

Si tratta di un lavoro che è difficile definire e che, pur essendo immaginato e diretto da un coreografo, tracima dai limiti della coreografia per attingere a una dimensione formale che, con qualche approssimazione, può definirsi quella di un’“opera pop”. Non a caso il testo, recitato da attori e attrici di valore (tra gli altri Giuseppe Sartori, Odisseo, Massimo Cimaglia, l’aedo e Polifemo, Giovanna Di Rauso, Circe, Giulia Fiume, Calipso e anima di Anticlea, Alessio Del Mastro, uno spazzino e anima di Tiresia) e realizzato dal giovane e valente grecista Francesco Morosi, attingendo direttamente a Omero, viene presentato come “libretto”. Peparini, noto al grande pubblico per esser stato il direttore artistico del programma televisivo “Amici” di Maria De Filippi, per aver diretto diversi lavori coreografici (ad esempio uno Schiaccianoci nel 2015 all’Opera di Roma), per aver collaborato come coreografo con Claudio Baglioni e, a Siracusa, per aver diretto appena l’anno scorso l’evento moda di “Dolce e Gabbana”, ha realizzato con sorridente e assertiva leggerezza un’impresa da cui a Siracusa ci si era tenuti generalmente distanti: allontanare, se non cancellare del tutto, dalla messinscena ogni traccia di problematicità intellettuale e ogni consapevolezza della difficoltà di un rapporto autentico con la cultura greco-latina. Per capire ciò basti guardare ad esempio ad un aspetto centrale di questo allestimento: la scena è immaginata come un aeroporto (con tanto maxischermi pubblicitari e monitor che avvisa dei voli cancellati), ovvero quello che Marc Augé definirebbe come “non luogo”, anzi il “non luogo” per antonomasia della società globalizzata. Il set ideale insomma, in cui avvertire l’impossibilità e l’incapacità dell’uomo contemporaneo di vivere in una dimensione di reale radicamento culturale. Non è difficile capire quanto feconda di pensiero possa essere questa considerazione (o altre simili, come il diritto umano all’erranza o la ribellione dell’intelligenza alla bestiale prepotenza), e tanto più se la si fa passare attraverso una ripresa del mito di Odisseo. Eppure pochissimo di tutto ciò si avverte nella costruzione di questo spettacolo: le parole di Omero planano sull’imponente (e invadente) scenografia, ma non risuonano di contenuti o interrogativi tali da riuscire ad attraversare la coltre troppo spessa di una spettacolarità fine a sé stessa. E più attori e danzatori si sforzano di suonare il tasto del pathos, più il senso di vuoto aumenta.

Lo stesso può dirsi per quasi tutti gli altri elementi di questo lavoro: per le musiche d’intonazione rock, volte ad amplificare il  di singoli momenti; per i costumi del coro e di Odisseo (abiti neri o fumé, camicie bianche, cravatte nere, classicissime canotte bianche su corpi sudati) che, moltiplicati per il grande numero di attori, danzatori, acrobati e di presenze sceniche, producono certo un gran colpo d’occhio ma non aggiungono granché di senso a quanto accade in scena. Per gli altri personaggi ci sono diverse fogge di costumi che non brillano per l’originalità o per la profondità degli immaginari da cui sono ripresi (con la sola eccezione dei costumi straniati e interessanti delle sirene). Il concept di fondo è sostanzialmente questo: un novello Odisseo, colpito in aeroporto da una misteriosa (ma sicuramente non magica) cancellazione del volo per Itaca, resta bloccato a lungo e non gli resta che attivare una peregrinazione che, riattraversando e ripensando le principali avventure dell’eroe omerico, si configura (alquanto confusamente invero), come un viaggio alla scoperta di una nuova postmoderna interiorità. È un’idea interessante, ma finisce con l’essere zittita dal susseguirsi di effetti speciali, di corse, salti, immagini, luci, colori, di motivi altri, anche affascinanti (la saggezza segreta dell’aedo clochard, la sessualità ipnotica e tendente al bondage di Circe, le sirene, come si è detto, affascinanti e lontanissime dall’immaginario comune), ma che sembrano non essere stati sufficientemente meditati al momento della formalizzazione definitiva e unitaria dello spettacolo. Lo stesso deve dirsi delle immagini proiettate nel maxi schermo che sovrasta la scena: paesaggi estremi, mari dai colori psichedelici che, al di là del dettato omerico, sembrano promettere vacanze di sogno, uno scheletro umano che, più che il mistero della discesa agli inferi (la nekya) di Odisseo, sembra richiamare il castello stregato rigorosamente presente in ogni luna park che si rispetti. Il lavoro degli attori dal canto suo evidenzia tutta la solida professionalità e la serietà degli artisti scritturati ma resta a un livello stilistico standard rispetto a quanto si è soliti vedere a Siracusa, mentre non traspare nella recitazione alcun sensibile intervento registico. E infine c’è l’elemento della danza che in questa sperimentazione pop avrebbe dovuto essere centrale: ci si tiene lontani dalla tradizione del linguaggio ballettistico e si sta altrettanto lontani dalla rarefatta (seppure più flessibile) sofisticazione della danza contemporanea. La scelta coreografica di Peparini si indirizza verso una esplicita amplificazione fisica, ritmica e persino acrobatica della potenza della parola epica. Una scelta chiara, molto in linea col percorso di questo artista, ma in questo caso discutibile perché tendenzialmente indifferente rispetto alla densità concettuale della materia. Un’estrema notazione va rivolta alla costruzione drammaturgica: se la traduzione di Morosi convince per il suo essere semplice e colta allo stesso tempo, corposa, attenta alle immagini e capace d’interpretare il ritmo e la fisicità dello spettacolo, suscita invece perplessità la scelta di non lavorare drammaturgicamente sul testo omerico ma di lasciarne intatta la natura narrativa senza estrarre dalla narrazione quell’unica e sola azione (praxis) che, al di là della potenza dello spettacolo, avrebbe potuto sostanziarne la trasformazione teatrale (anche in dimensione para-operistica).

Ricapitolando: bene ha fatto l’Inda ad aggiungere anche in questa stagione uno spettacolo di danza alle due tragedie e alla commedia. Una sperimentazione che è giusto confermare e portare avanti, magari costringendo i coreografi (come i registi teatrali del resto) ad un maggiore e più disteso impegno di approfondimento e riflessione su una materia, il mito, che è troppo preziosa per non ricevere il necessario rispetto. D’altro canto la danza è stata sicuramente un ingrediente fondamentale della arte teatrale classica (ce lo racconta inequivocabilmente lo stesso verbo greco choreuo che significa appunto danzare e far parte del coro), da sempre quest’arte si è confrontata con la potenza del mito e oggi è uno dei campi più fecondi, stimolanti e attrattivi dello spettacolo dal vivo contemporaneo.

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Ulisse, l’ultima Odissea

Libretto di Francesco Morosi. Regia di Giuliano Peparini. Scene di Cristina Querzola e Lucia D’Angelo. Costumi di Valentina Davoli. Coreografie di Giuliano Peparini. Musiche di Reuben and the Dark. Light designer, Alessandro Caso. Videomaker, Edmundo Angelelli. Ideazione e direzione dei cori cantati di Simonetta Cartia. Direzione del coro, Elena Polic Greco. Direttore di scena, Mattia Fontana. Assistenti alla regia, Tim Vranken e Gianluca Merolli. Assistente coreografo è Francesco Sarracino. Assistente costumista, Silvia Oliviero. Assistenti alla direzione di scena Dario Castro, Eleonora Sabatini. Assistente alla drammaturgia Aurora Trovatello. Coordinatori artistici sono Federica Panzeri e Christophe Allemann.

Con Giuseppe Sartori, Odisseo; Massimo Cimaglia, aedo e Polifemo; Giovanna Di Rauso, Circe; Giulia Fiume, Calipso e Anima di Anticlea; Alessio Del Mastro, lo spazzino e anima di Tiresia; Gabriele Beddoni, Argo; Gianlorenzo De Donno un viaggiatore.

Compagni di odisseo e viaggiatori bloccati: Gabriele Baio, Michele Barile, Andrea Biagioni, Luca Capomaggi, Dennis Cardinali. Jhonmirco Baluyot Cruz, Mariaelena Del Prete, Gloria Ferrari, Gianmaria Giuliattini, Luca Gori, Giulio Hoxhallari, Raffaele Iorio, Claudio Lacarpia, Theo Legros-Lefeuvre, Danilo Maragioglio, Christian Pace, Carlo Padulano, Andrea Raqa, Giuseppe Savino, Andrea Tenerini, Giuseppe Troise.Viaggiatori: Dennis Carletta, Simone Cataldo, Tancredi Di Marco, Rosario Graceffa, Giuseppe Orto, Gabriele Scatà. Con la partecipazione degli allievi e delle allieve dell’Accademia d’Arte del Dramma Antico.

Crediti fotografici: Maria Pia Ballarino, Daniele Aliffi, Michele Pantano.

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