Teatro
A lezione dalle Maestre
Mi è capitato di vedere, passato veloce tra un monsone romano e l’altro, uno spettacolo della rassegna I solisti del teatro, ai Giardini della Filarmonica.
Si tratta di A lezione da Sarah, testo di Pino Tierno e regia, pulita, rispettosa di Ferdinando Ceriani. Un lavoro oltremodo gradevole, arricchito dalla presenza in scena di un’attrice del calibro di Galatea Ranzi, grande protagonista di tanti lavori, stavolta affiancata da Martina Galletta, autrice anche delle musiche originali e interprete che vediamo crescere spettacolo dopo spettacolo. Il lavoro ha diversi motivi di interesse.
Mette in scena una vicenda verosimile: la giovane Marie, aspirante attrice, va a lezione dalla grande, dalla divina Bernhardt (la Sarah evocata dal titolo). Nel volgere di una manciata di appuntamenti ci sarà modo di esplorare il ridondante Corneille, di evocare Molière, di affrontare l’Amleto di Shakespeare, ma soprattutto di confrontarsi con quel capolavoro che è la Fedra di Racine. Testo difficile, complesso, profondissimo – e quanto ci piacerebbe veder Racine più spesso sulle scene italiane! – la Fedra è un canto all’amore, alla ferocia ossessiva dell’amore.
Allora lo spettacolo, che ha debuttato al TodiFestival, ha già questo merito: evoca, fa respirare un po’ al pubblico l’aria raciniana, l’assoluta bellezza della sua scrittura e quello scontro violento tra passione e ragione, tra desiderio (proibito, eppure travolgente) e rigore logico che impregna le sue opere.
Ed è brava – c’è bisogno di dirlo? – Galatea Ranzi, così potente e delicata, nel doppio ruolo: l’attrice che recita l’attrice che interpreta. Galatea è Sarah ed è Fedra. I suoi occhi raccontano, svelano nel perdersi e nel ritrovarsi. Guizzi struggenti, momenti assoluti, pur nell’umidità della notte romana.
Ma non solo. Tierno per il copione ha tratto ispirazione dal libro L’arte del teatro scritto dalla Bernhardt (pubblicato in Italia da Editoria&Spettacolo) quasi a bilancio della sua lunga esperienza umana e artistica. Un libro di grande valenza pedagogica, che è specchio di una vita, basato su ricordi, note, tecnica, passioni, episodi curiosi e acute riflessioni sul teatro.
Così lo spettacolo, a suo modo, diventa un contraltare, tutto al femminile, dell’Elvira o la passione teatrale, il celebre testo-lezione (in originale Elvira Jouvet 40, scritto da Brigitte Jacques) che mette in scena Louis Jouvet mentre dà lezione, al conservatoire di Parigi, a una giovane allieva. Come è noto, quel testo fu messo in scena da Giorgio Strehler con Giulia Lazzarini, e recentemente da Toni Servillo con Petra Valentini, entrambi per il Piccolo di Milano.
Allora la questione, che solleva A Lezione da Sarah, è quella dei Maestri, ricordandoci, sommessamente, che esistono anche le Maestre. Non è questione di asterischi: scrivere maestr*, come si usa ora, non risolve il problema. Di fatto, nella storia della regia teatrale, si parla di “padri fondatori”, dimenticando il ruolo avuto da stelle assolute come la stessa Bernhardt, come Edith Craig (mentre si fa tanto riferimento al lavoro del fratello, Edward Gordon Craig), come Eleonora Duse, come Helene Weigel per citare solo alcuni nomi del passato. E invece, se si dice “maestra” si pensa subito, e solo, alla scuola elementare. La maestria, insomma, non è sempre patrilineare, maschile: eppure è sempre l’uomo (il grande attore, il mattatore, il regista) che insegna alla giovane allieva. Qui, almeno, c’è una femminilità di fondo – còlta acutamente dall’adattamento e dalla regia – che risuona nella scelta e nell’interpretazione dei personaggi. In questa prospettiva è brava Martina Galletta a colorare il suo personaggio acerbo, “in formazione” non tanto e non solo in quanto “attrice”, ma come donna che affronta con sempre maggiore consapevolezza sentimenti, stati d’animo, complessità dello stare in scena di fronte al pubblico.
Le riflessioni, con Bernhardt o con Jouvet, sono simili, vicinissimi i punti di vista: la passione struggente per la scena, l’aguzza tensione con il testo, le sfumature del sentimento, la dedizione totale al pubblico, la fatica e la solitudine della scena. I personaggi sono là, irraggiungibili, in un empireo di sensazioni e sentimenti che sono l’obiettivo dell’attore e dell’attrice. Testimoni del tempo, dall’Atene del V Secolo avanti Cristo ad oggi, gli uomini e le donne di teatro hanno una missione: quella di portare, garbatamente, la poesia, l’arte, una forma umana – umanissima e fragile – di verità sulla vita.
C’è ancora qualcosa da sistemare, lo spettacolo va rodato (e peccato, poi, quei microfoni: forse non servono, no?). Ma l’altra sera, passato il derby, passato il monsone, il teatro all’aperto dei Giardini della Filarmonica, con tutte le difficoltà del caso, è stato testimone di qualcosa. La lezione di una Maestra, senza prosopopea, senza arroganza, di una donna di teatro ad un’altra donna di teatro.
(L’immagine di copertina è di Pino Le Pera)
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