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a come artista: il paradigma Bruno Vespa
Antefatto
“Bruno Vespa ha recentemente spiegato che, in quanto artista, non può esser sottoposto al tetto degli stipendi previsto dalla nuova normativa Rai.“
Bruno Vespa ha ragione: è un artista. Lo dico senza ironia o sarcasmo. È un artista ed ha fatto benissimo, qualche giorno fa, a scrivere una lettera al CdA della Rai per sollecitare il riconoscimento, sia morale che economico, del suo ruolo. Inoltre, a tutti gli effetti, non soltanto è il protagonista dello spettacolo ma il creatore stesso, con alcuni collaboratori, dello spettacolo medesimo. Quindi, come comunemente si dice, artista a tutto tondo, coerente con la mission statutaria del suo datore di lavoro: la società dello spettacolo.
Infatti è proprio e soltanto all’interno di questa cornice che BV può esser considerato un artista. Perché c’è una differenza abissale tra fare spettacolo per la società dello spettacolo e il suo opposto, fare spettacolo nella società dello spettacolo. E non è una distinzione da poco. Sono due spettacoli potenzialmente ricchi di similitudini anche terminologiche, ma fra di loro c’è la stessa differenza che passa fra il similpelle – società dello spettacolo – e la pelle -spettacolo nella società-. La società dello spettacolo, lo stigmatizzava nel ‘67 in modo impeccabile Debord nostro contemporaneo, non ha alcuna tensione verso il vero, anzi, quando il vero appare diventa oggetto di rimozione o, se utile economicamente (share?), riutilizzato in forma di citazione: “ 9 – Nel mondo realmente rovesciato , il vero è un momento del falso“ *. Il vero è, nella migliore delle ipotesi, un momento. È un inciampo fastidioso all’interno di un mondo rovesciato. Ed in questa specialità BV è un grandissimo artista.
Due piccoli esempi
L’ultima volta che ho visto Porta a Porta (e soltanto la sigla, non la trasmissione) è stato l’ 11 settembre 2001. Le immagini della sigla erano quelle terribili che conosciamo tutti, le torri che crollano, le persone che si lanciano nel vuoto ecc. e la musica di sottofondo non era il silenzio o i suoni di ciò che stava accadendo ma la solita musica di Porta a Porta: la colonna sonora di Via col vento. Travestimento di un dramma reale con i lustrini (orrore + sviolinate hollywoodiane) al fine di renderlo più digeribile come una macabra fiction.
All’esatto contrario, un esempio su tutti, la prassi teatrale di Peter Brook. In cui il vero è ragione costitutiva del suo teatro, da perseguire ed inseguire nel corpo e nella voce dei suoi attori, perché costantemente mutevole e in divenire, come “un punto in movimento“ … come la vita… (sono consapevole che accostare BV a Peter Brook sia piuttosto complesso da metabolizzare)(scusatemi).
Quindi trasformare un fatto vero in finzione per intrattenerci è profondamente diverso da utilizzare la finzione per demistificarla al fine di porci delle domande. L’essere umano rimane lo stesso, ma per l’artista è territorio di indagine e per l’artista della società dello spettacolo di indagine di mercato.
Suggerisco quindi agli inventori dei contratti Rai di cercare definizioni più oneste tipo: “similartista“ perché la pelle è pelle, il similpelle è borsetta, cintura, portafoglio ecc.
Matrioska
Fin qui nulla di nuovo. Lo so. Questi ragionamenti sono già stati più o meno acquisiti e affrontati durante tutto il secolo scorso. Mi serviva però ricordarli, seppur sommariamente, perché ci sono due aspetti per me imprevisti e che, come una matrioska, si tengono uno dentro l’altro incuriosendomi: il primo, la matrioska grande, è la celerità con cui sono sparite le reazioni pubbliche e autorevoli al sorgere di rivendicazioni così spudoratamente ossimoriche come quella di BV. Forse perché i Maestri, in tutti i campi, sono spariti (a questo proposito solo qualche anno fa chissà quante variazioni fenomenologiche avrebbe potuto scrivere Umberto Eco, magnifici endecasillabi Edoardo Sanguineti e quante riflessioni in forma di sberleffo Dario Fo!) o perché i pochi maestri rimasti, o presunti tali, sono in lista d’attesa per partecipare alla prossima puntata? Ma è la seconda matrioska, quella più piccola che sta dentro la più grande, forse proprio come una “causa interna“ dell’effetto di cui sopra, che più m’inquieta. Non sarà forse che ormai si è generalizzata la convinzione che siamo “tutti artisti“? Sedotti e convinti da tutti i nostri devices del caso? Non è forse vero, giusto per fare un esempio fra i tanti, che siamo diventati tutti dei grandissimi fotografi perché abbiamo un IPhone? E questa colonizzazione culturale che traveste il nostro immaginario con gli abiti e la faccia di Helmut Newton, come in un carnevale di fantasmi, ha qualche nesso con la realtà? Le nostre foto personali sono veramente paragonabili a quelle di un fotografo che dedica la vita allo studio dell’inquadratura? Se la risposta a queste domande è affermativa, non dovrei stupirmi dell’assenza generale di stupore all’auto investitura di BV. Perché se tutti siamo artisti, lo è sicuramente anche BV. Forse questo silenzio-assenso che abbandona le parole a qualsiasi significato, anche parole così nobili e dense di memoria come artista, potremmo definirlo come il paradigma di questo tempo. Il paradigma Bruno Vespa se non facesse parte anche lui, come tutti noi, di un processo molto più ampio, difficile da definire e già iniziato da anni: la transizione dalla società dello spettacolo (esistono ancora aspetti realmente sociali nella nostra società? Può chiamarsi ancora società?) a individui dello spettacolo. Soli, dialoganti con un alfabeto emoticon, nel paradosso social.
Ps:
A proposito delle parole. Il mio amico Franco, ottimo violinista con la passione per l’odontotecnica appena licenziato dall’orchestra del teatro, mi ha detto che prima o poi aprirà uno studio dentistico. Pur con tutto l’affetto del mondo: non avrà i miei molari!
* Guy Debord – La società dello spettacolo – pag 45 – Massari Editore
https://www.youtube.com/watch?v=SxALn8qrMGg&feature=share
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