Teatro
A Coltano, un contro festival di poesia, teatro e animalità
L’inizio di stagione teatrale ci coglie, come sempre, impreparati…
I filamenti incandescenti dell’estate festivaliera infiammano anche il clima più mite di settembre, con manifestazioni di varia natura e titolo (ne daremo conto) che sbirluccicano di qua e di là. Certo l’invasione delle ultra-performance sembra essere il tema dominante.
Tutto è performance, con buona pace di Shakespeare o Racine. Allora capita, mi è capitato, di assistere a una performance in cui spiccava il “vincitore del campionato europeo di imitazione di canto di uccelli”. La performer raccontava qualcosa e lui, il campione europeo, serissimo, rispondeva fischiettando (giuro!), manco fosse uno dei personaggi di Carlo Verdone. Detto questo, ci sono spazi, tempi, modi in cui anche la performance assume grande senso e per fortuna il teatro non si stanca di allargare le maglie, le gabbie delle regole e delle abitudini.
Così accade, ad esempio, a Coltano, vicino Pisa, laddove un micro-festival conferma il senso profondo del teatro nel creare comunità, nell’aprire menti e mondi, anche in divenire, nel far incontrare (assolutamente in controtendenza rispetto alle politiche recenti) l’Altro, ovvero il sé con il diverso da sé, la “norma” con la differenza. È storia antica: lo spazio teatrale è luogo di democrazia aperta e in divenire, rito in cui la comunità riflette su se stessa e, magari, migliora anche un po’.
A Coltano, insomma, sotto i Pini della costa tirrenica, c’è una vera oasi ricca di speranze: è il “Nuovo fontanile”, quello che sbrigativamente potremmo definire un maneggio ma che è molto di più: è un “centro permanente di cura del cavallo”, dove si occupano di pensionamento, di recupero, di “equitazione sentimentale”, di attività didattiche e assistite, di ippoterapia e di molto altro (per saperne di più: ilnuovofontanile.it).
In questo spazio bellissimo, è arrivato il regista Alessandro Garzella, con la sua compagnia Animali Celesti, ossia la carovana di attori, danzatori, musicisti, malati, adolescenti, medici, operatori. Per far cosa? Teatro, direi, e semmai terapia, di certo per far vivere una folle e vivacissima comunità.
Così è nato il festival, anzi il “ControFestival” chiamato Altre visioni: un continuo di workshop, laboratori, incontri, spettacoli, musiche, concerti, pranzi e cene assieme nei boschi e negli spazi del Nuovofontanile. Seguo il percorso teatrale di Garzella da qualche tempo, ormai: e devo dire che questo autore-regista sta vivendo una brillantissima “seconda giovinezza” creativa, fatta di poesia e incantamenti visivi, di provocazioni e caustica ironia. Al festival ha presentato Ulisse, viaggio di un vecchio marinaio ferito nell’onore: opera complessa e visionaria, affollata di gente, di parole, di animali, di musiche e brutali scossoni. Percorso tra l’iniziatico e l’accidentato per lo spettatore, che deve seguire muse evanescenti a dorso di cavalli meravigliosi, o fugaci apparizioni che culminano in uno spazio grande, quasi un campo di marte, abitato da nuclei umani diversi. Qua, sulla destra, è un narratore-poeta (lo stesso Garzella), forse Ulisse lui stesso, navigatore di fantasie e irridente fustigatore di realtà. Sulla sinistra donne-muse-nemiche-fate: bellissime e potenti voci, un coro da cui spiccano di volta in volta Penelope, Circe, Calipso…
Sono sirene-baccanti, minacciose e fiere e bellissime, pronte a scappar via in una nuvola di polvere (per una scena struggente, dal gusto felliniano) e di prender possesso dello spazio e del racconto. Sul fondo, lontani, marinai stanchi, costretti ai remi, uomini in abito scuro eternamente alle prese con il desiderio ultimo di varcar le colonne d’Ercole della vita.
“Tocca all’amore la sommossa” dice rabbioso e lirico, l’Ulisse di Coltano, invocando un mondo più sensuale e umano. Ma prima c’è spazio per Telemaco, per un improbabile dj da radio privata che lancia messaggi nello spazio, per una danza “alla Capossela” dedicata al “polpo d’amor”, per un dolente sirtaki a ricordare che, in fondo, “oltre alla sofferenza, c’è il desiderio di scaldarsi” in quell’eterno sogno che è l’amore. Il racconto si fa anche politico, polemico: il viaggiatore passa e osserva, e osservando capisce e giudica. Arriva anche una potente invocazione alla luna e lei – la luna, quella vera – con tempismo da performer consumata, fa capolino oltre le nubi del cielo toscano, obbediente e devota alle regole misteriose di Dioniso.
Spettacolo rutilante e evanescente, incantato e cinico, commovente e insopportabile: questo Ulisse coglie nel segno, evocando serenamente Dante, quando la festa popolare della vita si impone in tutta la sua candida, crudele, ironia. La bellezza di quella dolcissima Musa sfugge via, non si lascia inseguire: e ad Ulisse, ossia a ciascuno, resta il groppo in gola di una tenerezza umana, semplice, di uno sfiorarsi appena le mani, di un sognare persi per uno sguardo. L’emozione del pubblico si apre in un applauso convinto e partecipe che premia oltre a Sandro Garzella i fenomenali e generosi interpreti: Giulia Benetti, Elena Benevento, Sara Capanna, Carlo Cellai, Francesca Mainetti, Giulia Paoli, Chiara Pistoia, Astore Ricoveri, Anna Teotti e con loro altri 21 protagonisti in scena sulle musiche live di Joaquin Nahuel Cornejo, Mattia Donati e Simone Padovani.
Altri due piccoli, coraggiosi lavori hanno segnato le giornate di Coltano. Provo a darne velocemente conto perché sono frutto di percorsi pedagogici diversi ma sorprendentemente efficaci anche dal punto di vista artistico.
Icaro è caduto è il titolo dell’esito di lavoratorio del progetto DOGs promosso dalla compagnia Geometria delle Nuvole di Ilaria Fontanelli (anche regista) e Giulia Torrini. Un gruppo di ventenni (più o meno) di Cecina hanno incontrato i coetanei ospiti di una comunità di Oxfam Italia per minori non accompagnati. L’esito è un gruppo potentissimo, affiatato, generoso, anche emozionante. Icaro è impastato di mito e racconto autobiografico: in uno scorcio profondissimo di pineta, il gruppo in scena si muove, corre, danza, costruise situazioni e emozioni di grande impatto e profondità. Sono bravi (tra l’altro: ottima dizione) con punte d’eccellenza e vale la pena citarli tutti, nella speranza di ritrovare questi nomi, ancora in scena, in futuro: Cecilia Bertini, Lucrezia Benassi, Lorenzo Capitani, Michel Donamon, Sara Macheda, Margherita Nardo, Samuele Passaro, Garamo Toure, Sofia Vanni. Un flusso di via e di coscienza che credo non dispiacerebbe, per costruzione e temi trattati, a Falk Richter o a quella ondata di registri che riesce a mettere insieme inquietudini supercontemporanee e slanci emotivi, racconto privato e pensiero collettivo, tra danza, musica e prosa.
Da Brescia arriva invece il gruppo – anche qui adolescenti o poco più – compatto e emozionato che ha messo in scena Déjà-Vu, scrittura collettiva che affronta un tema spinoso. Se tutto è già stato detto e scritto, se il teatro è morto, se la musica è morta, se il romanzo è morto, cosa resta da fare o da inventare a un ventenne che pure vuole esprimersi, raccontare, esplorare l’arte?
Attenti alla pratica della scrittura, alla composizione del testo più che alle poetiche performative, i ragazzi bresciani hanno ambientato il loro spettacolo nel 2807, per uno spaccato futuribile, in una prospettiva decisamente distopica: tra rivolte, roghi di biblioteche, bar resistenti, c’è anche chi, però, continua a provarci, a fare teatro. Coordinato da Roberta Moneta, Valeria Battaini e Francesca Mainetti, il gruppo si è dedicato con grande aderenza e passione alla difficile materia: in scena (anche autori e registi) sono Ilaria Antonino, Giulia Bigazzi, Carlotta Borra, Chiara Bussi, Benedetta Casanova, Pietro Crovato Giardino, Arturo De Toni, Laura Mancini, Stefania Musumeci, Lorenzo Salerno, Matilda Salomoni, Alce Salvoldelli, Lorenzo Seano, Martina Zanetti.
Quello rilanciato con forza dal gruppo bresciano è, in fondo, il dilemma del post-moderno: finite le grandi narrazioni, non ci restano che i giochi linguistici, l’ironia, le citazioni? Non ci restano che le performance? I giovani di Teatro19 sembrano voler dire di no.
Tra l’altro, i due gruppi di ragazzi e ragazze, oltre a seguire tutti i lavori, hanno anche preso parte a un workshop di osservazione e studio coordinato dalla critica Chiara Mignemi, della redazione di Stratagemmi. Discussioni vivaci, appassionate, su teatro, sogni, progetti, politica, integrazione, arte, pubblico, processi…
Forse anche da qui si può ricominciare e ricostruire.
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