Storia
Un’ultracentenaria protagonista del Risorgimento in Sicilia
Nel Risorgimento siciliano, così povero di presenze femminili, le donne di Messina – abituate, come scriveva Elio Vittorini, “a portar pietre e calcina”- costituiscono eccezioni. Fra esse, e purtroppo dimenticata, Antonina Cascio che, emula di Dina e Clarenza, le leggendarie eroine del Vespro, è stata nella sua Messina sulle barricate delle rivolte antiborboniche della prima metà dell’ottocento fino all’arrivo dei Mille. La sua fu una lunghissima vita, nata nel 1797 morì infatti nel 1905, segnata da passioni rivoluzionarie e da vicende emblematiche a cominciare dai moti del 1820/21, insieme a Rosa Donato – altra nota sovversiva – con una formazione paramilitare “al femminile”, duecento donne armate di sassi e di bastoni, diede l’assalto al palazzo Reale di Messina riuscendo a sopraffare le milizie borboniche e impossessandosi del loro vessillo. Il fallimento della rivoluzione, causato soprattutto dalle divisioni sugli obiettivi da raggiungere – i messinesi e i catanesi chiedevano infatti al sovrano l’adozione della costituzione democratica spagnola mentre a Palermo e nella Sicilia occidentale si chiedeva il ripristino della costituzione liberale del 1812 – non demotivò né la Cascio né le sue compagne che segretamente continuarono a coltivare disegni sovversivi in attesa che i tempi fossero maturi per riprendere le armi. Nessuna meraviglia, dunque, se le ritroviamo in prima linea nel corso dell’effimera rivolta messinese del 1 settembre 1847. Si ricorda il suo calarsi nella mischia per affrontare, in un corpo a corpo, i mercenari svizzeri al servizio di re Ferdinando, scontro nel quale rimase pure ferita. Intanto gli eventi precipitavano, l’Europa intera, in quella che fu definita “la primavera dei popoli”, si sollevava contro i regimi assolutisti e, il 29 gennaio 1848, seguendo l’esempio di Palermo, anche la città di Messina ancora una volta insorgeva contro i Borbone. Le guarnigioni di stanza a Messina furono travolte dall’impeto dei rivoltosi e il generale Cardamone, che ne era il comandante, costretto a ritirarsi nella munitissima Cittadella, con l’autorizzazione del sovrano, sfogò la sua rabbia di sconfitto nel modo più indegno. Non si fece infatti scrupolo di bombardare la città provocando numerosissime vittime fra i civili: le bombe, infatti, non risparmiarono neppure ospedali e gli edifici religiosi. Antonina Cascio, con le superstiti di quella squadra “in rosa”, anche in quell’occasione fu presente. La si ritrova, infatti, impegnata soprattutto in azioni logistiche, come il rifornimento di armi per i rivoltosi. E proprio durante una di queste missioni, ancora una volta mostrò di quale “pasta” fosse fatta. Vedendosi sbarrata la strada da un soldato borbonico piuttosto che darsi alla fuga lo affrontò con tale impeto da averne la meglio: non solo infatti sfuggì alla cattura ma, addirittura, umiliò il nemico strappandogli di mano il vessillo reale che esibì come trofeo. Ma anche quella rivoluzione doveva mostrarsi effimera; a settembre di quello stesso anno le truppe borboniche, al comando del generale Carlo Filangeri, investivano la città avviando le operazioni di riconquista. Una riconquista non facile se è vero che le armate di Ferdinando, ingrossate da criminali comuni – resisi colpevoli di indegne barbarie – dovettero faticare molto per ridurre a ragione i rivoluzionari. In quel bailamme la nostra trovò modo di mettersi in salvo sfuggendo alla durissima repressione che, di lì a poco, sarebbe seguita. Da quel momento, e per circa dieci anni, non si hanno altre notizie sulla rivoluzionaria ma, l’11 ottobre del 1859 la ritroviamo fra quanti, cospiratori, accolgono un Francesco Crispi giunto in incognito a Messina per motivare i cospiratori e per preparare l’arrivo di Garibaldi. Fu proprio lei che mise sull’avviso il futuro presidente del consiglio del complotto che si stava ordendo a suo danno. In particolare lo avvertì di non far ritorno all’albergo Vittoria, dove aveva preso alloggio, perché proprio lì l’aspettavano i gendarmi borbonici per arrestarlo. L’ultima presenza pubblica della rivoluzionaria la si riscontra all’arrivo di Garibaldi nella città dello stretto nella caldissima giornata del 27 luglio 1860. L’ormai sessantatreenne rivoluzionaria, fornì importanti informazioni logistiche ai garibaldini che stavano per fare ingresso in città. Si racconta che, quasi a sigillo della sua storia pubblica, la “passionaria”, così era stata definita, avrebbe desiderato incontrare e abbracciare Garibaldi, il suo eroe, – quasi una ricompensa per il indefesso impegno – pare che però quel suo desiderio sia rimasto insoddisfatto. Antonina Cascio, sopravvivesse quasi altri cinquant’anni a quell’evento ed ebbe la fortuna di poter vedere come quello Stato unitario, che aveva sognato e per il quale aveva combattuto, si fosse consolidato divenendo scelta irreversibile per gli italiani. Lucida fino ai suoi ultimi giorni, povera ma orgogliosa di quanto aveva fatto, si dice che si compiacesse di raccontare, a quanti l’andavano a trovare, le vicende politiche di cui era stata protagonista. La sua morte, passata sotto silenzio nella stampa siciliana, trovò notizia solo in un breve articolo del Giornale d’Italia dall’accattivante titolo “La morte di una popolana centenaria”.
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