Storia
‘..Tu dove eri quella mattina?..’
Il poliziotto dietro il vetro dello sportello, nell’area arrivi del Jfk, aveva appena controllato il visto sul passaporto. Finito il ‘mini-interrogatorio’ sul perché e il per come fossi finito a lavorare a New York e apposto un paio di timbri me lo aveva riconsegnato con un sorriso. ‘Benvenuto in città. Vedrai, ti troverai benissimo’. Poi, tutto d’un fiato: “tu-dove-eri-quella-mattina?”. Quella mattina. Di cielo terso e di un sole scintillante. Non c’era nemmeno bisogno di spiegare quale fosse quella mattina.
Era il 20 di maggio del 2002. Nell’area arrivi del Jfk, iniziava la mia avventura americana e, per mesi, quelle cinque parole -‘tu-dove-eri-quella-mattina?’- avrebbero accompagnato le mie giornate da newyorchese. Da quella mattina di cielo terso e di un sole scintillante prima che la polvere inghiottisse le Torri Gemelle, circa tremila vite e spalancasse l’abisso di una guerra asimmetrica sono passati quindici anni. Marchiati, per sempre, da quegli aerei incastrati nel World Trade Center.
Per mesi, in palestra o al campetto di basket; a cena o ad appuntamenti di lavoro; tra ragazzi davanti a una birra o in mezzo agli analisti di Wall Street, la stessa, inevitabile domanda: ‘tu-dove-eri-quella-mattina?’. Appena il tempo di rispondere “ero appena rientrato dalla pausa pranzo quando sulla Cnn ho visto…” che subito, il ragazzo al campetto con la palla sottobraccio o il broker in abito d’alta sartoria si scioglievano in un vortice di parole e emozioni. In un racconto, quasi catartico, denso. A esorcizzare il Male che si era abbattuto sulla città che non dorme mai e sull’Occidente. Quasi una terapia di gruppo per provare a ripartire, riappropriandosi della vita. Del domani.
Nelle ore – meste – del primo anniversario dell’attentato alle Twin Towers, negli uffici della City o sui marciapiedi di Lower Manhattan, tanti – per l’agenzia per cui lavoro -mi raccontarono le loro storie, il loro ricordo. Tra questi i dipendenti delle Assicurazioni Generali a New York sentiti nella sede – allora – al ventinovesimo piano di Liberty Plaza numero 1, affacciata sull’immenso catino lasciato dal crollo del World Trade Center.
”Eravamo appena arrivati, stavamo accendendo i computer – ricordava 15 anni fa Kingsley – abbiamo visto le carte volare e siamo scesi subito in strada’. Lì abbiamo visto cose alle quali non potevamo credere. Le persone buttarsi nel vuoto: un incubo divenuto realtà”. Io, gli aveva fatto eco, Gloria, ”sono uscita dal palazzo e il mio pensiero fisso era camminare, camminare, camminare. Mi stavo dirigendo verso il traghetto per il New Jersey dove abito e ho sentito alcuni signori che parlavano: due aerei contro le Torri Gemelle, persone che si buttano. Non mi sono girata, il pensiero era sempre lo stesso: camminare, camminare, camminare. Ora – argomentava ancora Gloria – abbiamo paura di tutto. Quando sentiamo un aereo avvicinarsi siamo preoccupati, quando sentiamo arrivare le sirene della polizia e dei vigili del fuoco siamo preoccupati. Non tengo più foto qui, mi aspetto sempre che possa succedere qualcosa: lascio tutto a casa”.
E sui marciapiedi di Wall Street, quell’11 settembre del 2002, la parola d’ordine sembrava essere, ‘una giornata normale’. Correva di bocca in bocca, ininterrottamente. Quasi una nenia sommessa e ossessiva, frutto di un tacito accordo per esorcizzare gli spettri evocati dal crollo delle Torri.
Nel distretto finanziario più famoso del mondo, gli uomini della Borsa e delle grandi società di investimento provavano a vivere l’anniversario come se si fosse trattato di uno dei tanti giorni del calendario, cercando conforto nei gesti meccanici e ripetitivi della loro quotidianità. Così, alle sei del mattino, le ‘solite’ palestre si riempivano di manager, analisti e broker, a sbuffare sui ‘tapis rulant’: i loro ritrovi sportivi abituali, quelli della New York che conta, sparavano la musica a tutto volume e, come sempre, registravano il tutto esaurito.
Eppure, per le vie del quartiere, dalla punta meridionale di Manhattan, a Battery Park, all’incrocio tra Broad Street e Wall Street dove sorge la sede del New York Stock Exchange, l’aria sembrava essere quella di un giorno diverso. Speciale, pur nel suo carico di tristezza: bandiere americane a mezz’asta, piccoli manifesti con il volto delle vittime del World Trade Center, disegni colorati di bambini nell’austera sede della Banca di New York.
Sui marciapiedi, invasi dai giornalisti, passava veloce Dan, uno dei tanti ‘piccioni viaggiatori’ di Wall Street, ossia coloro che consegnano sul ‘floor’ della Borsa gli ordini di acquisto da parte delle società di investimento. “Questo – attaccava – e’ un giorno normale. Come ha detto il sindaco Giuliani l’anno scorso dobbiamo essere responsabili e continuare a vivere. Dare sicurezza al Paese non e’ solo aumentare le difese: e’ importante andare avanti. La metropolitana funziona, i negozi sono aperti e anche la Borsa deve esserlo e funzionare”.
Parole zittite dal silenzio assordante di Ground Zero: alle 8,46, minuto dello schianto del primo aereo sulla Torre Nord del World Trade Center, il brulicare di gente si fermava. Una alito di vento, fino ad allora impalpabile, prendeva vigore e gonfiava le bandiere. Dall’ingresso di Wall Street, iniziavano ad uscire diversi gruppetti di dipendenti. Sei, tre uomini e tre donne, si fermavano immobili guardando verso le Torri, divenute solo immaginarie. ”Dovremmo essere lì – spiegava una voce commossa – ma non ce la siamo sentita”. ”Si’ – faceva eco Jack, giovane commesso della Borsa – sono i nostri eroi”.
Dal tragico minuto del primo attacco, la Wall Street di ‘un giorno qualunque’, cambiava pelle. File di uomini e donne a capo chino, vestiti con le giacchette dei ‘piccioni’, tutte grigie, blu o verdi con il numero di matricola a sinistra, sciamavano verso Ground Zero, fino a incrociare la Trinity Church dove si fermavano per una preghiera. Tra loro, mischiati alla folla di famiglie e agli ‘iron workers’ del World Trade Center anche tanti manager in grisaglia: una donna, in serissimo tailleur grigio, si fermava in un angolino riparato proprio innanzi alla chiesa e cominciava a ‘sgranare’ un rosario di legno: ”il mio modo di ricordarli”.
‘Tu-dove-eri-quella-mattina?’
Devi fare login per commentare
Accedi