Storia
Tra i debiti nazisti e le polemiche su Waterloo, l’Europa si riscopre antica
L’Europa unita e monolitica scricchiola, o più probabilmente sta cadendo lo stucco messo lì a coprire i rattoppi più raffazzonati collezionati nella grande corsa all’unità intrapresa sul finire del millennio. I segnali di cedimento strutturale ci sono e ormai non è neanche più questa la notizia. Il focus necessario a questo punto sarebbe quello di analizzare anche il più piccolo segnale che ci aiuti a disegnare o a immaginare l’Europa che verrà. Questo è il vero problema da affrontare: l’assenza o la mancata evidenza di un sentiero.
Nel 2007 il sentiero fu ufficializzato tramite gli accordi di Lisbona, tant’è che da quel momento in molti tra analisti, economisti, sociologi e politici si sono prodigati nel modellare contenitori che prospettassero appunto il percorso lungo e graduale che avrebbe portato al grande stato sovranazionale, quello che si sarebbe nutrito delle varie e vetuste sovranità dei governi nazionali.
Il percorso era tracciato, bisognava solo mettersi in carreggiata e andare sempre dritti. Un anno dopo però, il sentiero cominciò a riempirsi di ghiaia, poi di detriti, poi di alberi a sbarrare il percorso: iniziò la crisi globale e tutto si stravolse, una crisi lunga sette anni in cui il progetto di Lisbona, tra contestazioni e imperativi, morti di fame e morti di sogni, progressivamente iniziò a vacillare.
Arriva dunque il 2014 e poi il 2015, il progetto di austerity si fa opprimente, alcune parti del tutto iniziano a collassare -vedi Grecia. In questo contesto assolutamente non pronosticabile -almeno così ci dicono- ecco che quelle certezze sul futuro che fino a pochi anni fa parevano presente vengono inghiottite dal passato che ritorna. Una sorta di accavallamento temporale, se si considerano le fresche notizie di oggi:
– Il ministro della giustizia greco, Nikos Paraskevopoulos, ha dichiarato di essere pronto a firmare una sentenza della Corte suprema che obbligherebbe la Germania a risarcire la Grecia per i danni di guerra risalenti al 1945;
Il premier Tsipras durante un discorso in Parlamento ha detto che “la Germania usa tutti i trucchi legali possibili per non onorare i suoi debiti legati al secondo conflitto mondiale. E’ una questione delicata, lo sappiamo, ma è nostro dovere affrontarla per il rispetto di tutti i greci e di tutti gli Europei che hanno dato la vita per combattere il nazismo”.
Le parole sono piuttosto chiare e d’altronde già in un’intervista rilasciata lo scorso gennaio il ministro dell’economia ellenico Varoufakis aveva specificato la questione, indicando come all’indomani del secondo conflitto mondiale il nuovo progetto europeo aveva come obiettivo quello di «stimolare l’economia tedesca, tirarla fuori dalla depressione, dal pozzo in cui era caduta negli anni ’40, ed una componente importante di qualsiasi tentativo di rivitalizzare l’economia di un paese è alleviare il suo debito, passa per una rimozione importante del debito, per il condono del debito. Così nel 1953 si organizzò la Conferenza nota come Accordo sui debiti esteri germanici, da cui venne fuori una selvaggia rimozione del debito tedesco a scapito di molte nazioni, tra cui la Grecia».
Debito estinto? Non proprio. Perché quello tra Germania e Grecia è un rapporto speciale.
«la Grecia è un caso speciale -così Varoufakis- perché la Germania aveva contratto proprio con la Grecia un debito che non aveva con nessun’altra nazione: nel 1943 il Kommandantur ad Atene impose alla Banca di Grecia un accordo per l’emissione di un enorme quantità di dracme – dracme di guerra – da fornire alle autorità tedesche in modo che potessero acquistare materiali, finanziare i loro sforzi bellici, produrre beni agricoli per la Wehrmacht, etc.
La cosa interessante è che le autorità tedesche firmarono un contratto: misero per iscritto la somma che prendevano in prestito, promettendo di pagarne gli interessi. Insomma, fu un prestito formale. La documentazione esiste ancora e si trova nelle mani della Banca Centrale di Grecia. Niente di simile è accaduto con altri paesi. Si tratta di un debito ufficiale, contratto con la Grecia in tempi di guerra dalla Germania nazista».
Insomma nonostante la Merkel dichiari la questione chiusa, pare che la questione abbia tutti i crismi per montare e per trasformarsi in una potenziale richiesta greca e di conseguenza in un debito tedesco, che loro chiamano Schuld, vocabolo che per gioco di glottologia e semiotica sta a significare sia “debito”, e sia “colpa”.
Veniamo ora alla seconda questione:
– La Francia ha ordinato di bloccare il nuovo formato da due euro raffigurante la battaglia di Waterloo del 18 giugno 1815, sconfitta che segnò la fine di Napoleone Bonaparte per mano della Settima Coalizione, di cui facevano parte Inghilterra, Spagna, Prussia, Svezia, Russia, monarchici francesi, Savoia, borbonici, e che portò alla Restaurazione del Congresso di Vienna;
Ricapitolando, il Belgio a febbraio consegna la bozza del disegno al Consiglio dell’unione europea, visto il bicentenario dell’evento. La Francia il 5 marzo risponde con una lettera inviata a Bruxelles.
Nella lettera Parigi spiega come la battaglia di Waterloo sia “un evento con una risonanza particolare nella coscienza collettiva, che va al di là di un semplice conflitto militare” e che “la circolazione di monete portatrici di un simbolo che è negativo per una parte della popolazione europea ci appare pregiudizievole” considerando “un contesto dove i governi dell’Eurozona stanno cercando di rafforzare l’unità e la cooperazione attraverso l’Unione monetaria”.
Durissima la reazione inglese:
il parlamentare conservatore Sir Peter Luff ha dichiarato:
«Mi fa piacere che la zona euro abbia intenzione di celebrare il fallimento della Francia nel creare un super-Stato europeo. La sensibilità francese è deludente e in realtà dovrebbero riconoscere che si tratta di un evento epocale nella storia dell’Europa e un anno importante per la libertà e la democrazia – un evento che pensavo la Repubblica francese avrebbe celebrato, piuttosto che cercato di evitare.»
A fargli da eco un altro deputato conservatore, Peter Bone:
«Risulterebbe molto curioso se questo grande 200° anniversario della battaglia di Waterloo non fosse commemorato solo perché offenderebbe i sentimenti dei francesi. I francesi dovrebbero crescere un po’ e sostenere un po’ i belgi».
Che dire, pochi anni fa eravamo proiettati tutti insieme nell’unità targata 2020, oggi ci troviamo a bisticciare sul 1945 e sul 1815. Fino a pochi anni fa eravamo un universo tutto blu illuminato da stelle, oggi ci risvegliamo portatori di vessilli nazionali da rivendicare, da proteggere, da difendere. La Grecia non dimentica il debito di guerra nazista, la Francia non digerisce ancora la caduta de l’Empereur, l’Inghilterra rivendica ancora con orgoglio i trionfi militari del Duca di Wellington. L’Europa si sta scoprendo quello che è sempre stata: un insieme di individualità che appaiono ormai riluttanti nei confronti della convivenza coatta in appartamento comune. Come quei coinquilini che se la raccontano per riuscire a gestire la convivenza, finché arrivati al punto limite iniziano a infastidirsi per ogni cosa, e a rinfacciare torti e questioni impolverati da anni. Forse occorre ristrutturare lo stabile e creare stanze dove la sovranità -che è un po’ come la privacy- possa nuovamente respirare, onde evitare che qualcuno se ne vada sbattendo la porta, o che ancor peggio monti il livello della baruffa.
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