Storia

Tornare a studiare il fascismo

13 Agosto 2021

“In una stagione precedente di studi, scrive Giulia Albanese, curatrice de Il fascismo italiano. Storia e interpretazioni (Carocci) – il tema centrale era stato: come il fascismo è andato al potere e come governasse nel modo in cui governava. Oggi si aprono e si articolano nuove domande: chi erano i fascisti; quali i motivi che li spingevano nella loro azione politica”.

Si aprono piste di ricerca che riguardano i percorsi biografici, culturali, ideologici, politici non solo dei fascisti originari, ma anche di chi al fascismo arriva dopo; sulla pervasività, sulla trasformazione di un regime che diviene e acquisisce carattere di totalitarismo; sul suo radicamento, sulla sua durata, sulle permanenze.

Il fascismo italiano. Storia e interpretazioni  mantiene le promesse che enuncia in apertura.

Il libro si compone di tredici capitoli di scavo:

  • Laboratorio ideologico e pratiche politiche. Ovvero violenza, impero, guerra
  • Analisi delle strutture: economia, politica, religione, cultura
  • Rapporto tra istituzioni e società. Ovvero sfere e pratiche della cittadinanza e come dunque si definisca, si costituisca e si formi una esperienza e una pratica totalitaria.
  • Infine come si formi dunque come si definisca il campo antifascista, cosa includa, con che cosa si confronti, cosa prenda in carica; insieme come il fascismo si proponga come esperienza, come modello politico, come risposta alla crisi e come percorso di ricostruzione.

Il processo è muovere dalla violenza come categoria fondativa e generativa dell’esperienza e della pragmatica fascista [Matteo Millan]; poi il problema coloniale [Valeria Deplano] non solo come politica bellica ma come definizione delle forme della cittadinanza, ma anche dell’identità culturale italiana, ovvero dell’italianità; sulla cultura della guerra come macchina generativa della esperienza del regime [Claudia Baldoli].

La seconda sezione si pone il problema di come i cambiamenti e le trasformazioni incidono nella vita degli italiani. Ovvero: amministrazione e cosa pubblica [Matteo Di Figlia]; rapporto sta Stato ed economia con particolare attenzione al tema dell’economia mista [Bruno Settis]; rapporto con la sfera del religioso sia nelle pratiche come nella rappresentazione stessa della identità culturale [Gabriele Rigano]; paradigma culturale fascista e paradigma culturale italiano, con particolare attenzione al tema della cultura scientifica [Angelo M. Caglioti]; riscrittura dell’idea di cittadinanza e dell’italianità in relazione sia alle forme del diritto [Roberta Pergher], sia alle forme della tutela, della previdenza, più in generale dello Stato sociale [Ilaria Pavan].

Le forme della comunicazione di massa, ma anche come quelle esigenze della comunicazione di massa, strutturano il messaggio, lo riscrivano, in parte lo modifichino e dunque non ci sia solo un passaggio top/down, ma si abbia anche una parziale riscrittura di contenuti nei processi di costruzione dell’opinione pubblica e a adattarsi a seconda dei pubblici [Alessio Gagliardi]

Le forme della comunicazione dell’identità nella vita quotidiana attraverso uno strumento apparentemente solo estetico, eppure fortemente identitario come l’uso del distintivo (la “cimice”, la sua comparsa, la sua diffusione, la sua scomparsa, l’atto di fedeltà che marca la non dismissione all’indomani del 25 luglio 1943. Un spetto in cui entra come fondamentale un’analisi della vita quotidiana, percorso d’indagine alquanto inconsueto nella storiografia italiana [Joshua Arthurs]

Infine il processo fondativo dell’identità dell’antifascismo non solo come processo di progressiva o autoriferita autocoscienza, ma come processo di costituzione dentro la crisi dell’Europa tra le due guerre, della riscrittura e delle domande proprie dei percorsi di crisi dei liberali, democratici, socialisti, in Europa o anche fuori dall’Europa [Marco Bresciani] e la costruzione di un profilo del fascismo come proposta culturale e politica dentro la crisi del modello politico che esce sconvolto dalla Prima guerra mondiale  e poi dalla lunga crisi economica che si manifesta già a metà degli anni’20, esplode nel 19129, riscrive parole, immagini, progetti e programmi nel rapporto tra Stato, società civile, forme dell’organizzazione politica nel corso degli anni ’30 [Giulia Albanese].

Un percorso che è soprattutto la dichiarazione programmatica di ricerche aperte, ancora in via di definizione (e questo è l’aspetto anche affascinante di questo libro) ma anche di una generazione in gran parte nata tra anni ’70 e primi anni ’90 che inizia a proporsi come una generazione storiografica per le domande, le curiosità, le procedure di ricerca che ha, più che per le scuole di provenienza.

Una generazione o forse meglio, un insieme di storiche e storici 30/40tenni che probabilmente è anche l’effetto e la conseguenza (finalmente) di una dimensione internazionale delle ricerche e dei percorsi di studio e dunque è l’effetto di quella trasformazione anche curriculare dell’università italiana degli ultimi venti anni. Figlia dei molti luoghi di formazione, più che di una scuola definita di «Padri della storiografia».

Di tutti loro, e dei molti altri che in questo libro non ci sono, ma che sono figli di percorsi analoghi, spero che leggeremo nei prossimi anni molte cose che forse indicano l’apertura di una nuova stagione, culturale. Stagione culturale si spera fuori, comunque oltre le casematte d appartenenza accademica o “di scuola” che hanno caratterizzato, non sempre negativamente, ma con scarsa capacità innovativa e di ricerca, una stagione lunga della storiografia italiana che aveva i suoi santuari deputati nelle «riviste partito» che fondava o su cui scriveva.

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