Storia

Togliatti e l’appello ai fratelli in camicia nera

25 Marzo 2023

Il 5 maggio 1936, l’esercito italiano, comandato dal maresciallo d’Italia Pietro Badoglio, entrava ad Addis Abeba, cacciandone il legittimo sovrano e mettendo fine al millenario impero etiopico.

L’avventura abissina era durata poco, una guerra breve anche per le sproporzioni che contraddistingueva i due contendenti, inoltre era stata una guerra sporca, gli italiani avevano anche fatto uso dei gas, che aveva indelebilmente macchiato l’immagine del vincitore.

A trionfare, al prezzo di tante vite umane, era stato il fascismo ed il suo capo mentre la sconfitta accomunava etiopi e comunità internazionale, quest’ultima incapace di opporsi alle azzardate ambizioni imperiali dei fascisti.

A sorpresa, mentre il fascismo celebrava l’apoteosi del suo potere e inaugurava quelli che lo storico Renzo De Felice additava come Gli anni del consenso, il PCI clandestino diffondeva il manifesto Per la salvezza dell’Italia. Riconciliazione del popolo italiano, meglio conosciuto quale «Appello ai fratelli in camicia nera», un testo “molto pensato” nel quale, tra l’altro, si rivendicava il «programma fascista del 1919» come base per un’azione comune di fascisti e antifascisti contro i cosiddetti “pescecani”, ovvero i grandi capitalisti, industriali, finanzieri e agrari, che traevano profitto dalla conquista dell’Abissinia.

Primo firmatario risultava il leader comunista Palmiro Togliatti, all’epoca a Mosca, responsabile per il Comintern – cioè la Terza internazionale comunista a guida bolscevica – insieme con l’ucraino Dmitrij Zacharovic Manuilskij, della politica italiana.

Particolare curioso, in calce a quell’appello furono anche apposte arbitrariamente le firme di tutti i dirigenti del PCI, indicati con i loro veri nomi, che fossero a Parigi, a Mosca, negli Stati Uniti, al confino o in carcere, la maggioranza dei quali si trovava nella pratica impossibilità di firmare o di dare il proprio, preventivo consenso.

Era quell’appello, nel quale peraltro non ci si fa scrupolo perfino di citare frasi di Benito Mussolini, l’espressione massima del cinismo e della realpolitik che ispirarono allora, e insieme alla doppiezza ispireranno per molti anni ancora, l’azione politica dei comunisti italiani.

Con quell’appello, infatti, era evidente che si fosse opportunisticamente disponibili a buttare alle ortiche oltre un decennio di lotte senza peraltro tenere conto delle tante vittime che, dal 1919 in poi, aveva provocato la violenza squadristica.

L’azzardo eretico di Togliatti, cosiddetta politica della “mano tesa” ai fascisti, non produsse tuttavia gli effetti sperati e, sebbene l’avventura spagnola di Mussolini non suscitasse gli stessi entusiasmi della proclamazione dell’“impero” in Africa, nondimeno il regime non venne intaccato né dalla crisi economica, né dalla subordinazione alla Germania nazista ma, come è noto, si dovette attendere per il suo crollo l’esisto disastroso della guerra.

 

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