Storia
Teodorico, l’uomo che immaginò l’Italia
Teodorico, un nome che si perde nella notte dei tempi e che, nell’immaginario collettivo, evoca fasti e nefasti di un periodo così complesso come lo è il tardo antico.
Il suo nome è irrimediabilmente legato, per non dire macchiato, dalla condanna a morte del filosofo Severino Boezio, una responsabilità che, con molta disinvoltura, è stata attribuita ad un riaffiorare nel sovrano ostrogoto di quello spirito barbarico che ne avrebbe costituito la cultura originaria.
Carlo Ruta, attento studioso interprete intelligente soprattutto della storia medievale, con il suo “Teodorico, il re barbaro che immaginò l’Italia” edizioni di storia e studi sociali, ci offre, rispetto alla vulgata corrente, un’immagine nuova di questo personaggio che fece di Ravenna una grande capitale.
Un’immagine di un sovrano capace di anticipare i tempi concependo un grande progetto interculturale fondamento di una nazione. Smentendo l’idea di un uomo alieno dalle raffinatezze della cultura classica, istintivo e dominato dalle passioni, Ruta ricorda come Teodorico si sia formato alla corte di Costantinopoli, sensibilizzandosi con la grande cultura classica.
Parlare di Teodorico come barbaro, nella sua immagine di “altro” rispetto al mondo romano, appare dunque una impostura dei suoi detrattori.
Teodorico, invece, appare un saggio mediatore, rispettoso non solo dei costumi romani ma anche delle sue istituzioni, a cominciare dall’antica istituzione senatoria.
Anche nei confronti della Chiesa romana, lui ariano, ebbe un atteggiamento di grande considerazione al punto da potere essere chiamato a dirimere in qualche sinodo le controversie che attraversavano la coloro ch’erano chiamati a occupare la cattedra di Pietro.
Alla sua corte, volle e chiamò personaggi come appunto Boezio o Cassiodoro affidando loro compiti di responsabilità apicale, accettandone con grande rispetto i consigli.
Neppure la leggenda nera che lo vede ostile al dominio imperiale e, quindi, scalpitante nel ritagliarsi spazi di autonomia anche attraverso iniziative per creare un fronte unitario dei regni romano-barbarici contro Bisanzio, viene smentita dall’atteggiamento ossequioso che Teodorico mostra nei confronti dell’imperatore: non è un caso che nelle monete facesse incidere la sua immagine e quella del basileus.
Insomma un sovrano che cerca di dare al suo regno un’identità nuova frutto della convivenza delle due culture, quella dei romani e quella dei goti.
Ma, allora, come mai quella macchia indelebile della condanna a morte di Boezio?
Qui Ruta, con grande acutezza, riesce a dimostrare che quel fatto non sia attribuibile direttamente alla sua responsabilità, ma sia effetto di lotte intestine e invidie che attraversano la classe dirigente romana, la colpa di Teodorico sarebbe quella di non essersela sentita, per evitare conflitti, di non apporre la sua firma sulla sentenza di condanna.
Dunque, una rivalutazione a tutto tondo, ed un progetto che insinua soprattutto una riflessione riportandoci all’oggi.
Infatti, uno dei temi molto agitati sulla singolare storia del nostro Paese – su cui molto ha scritto Galli Della Loggia – è che al processo unitario non abbia corrisposto la nascita della nazione italiana e che il nostro continui ad essere il Paese dei cento campanili, ebbene, come Clodoveo fondendo franchi e gallo-romani buttò le basi per la nascita della nazione francese, forse così sarebbe stato anche per l’Italia fondendo goti e romani se l’ambizioso progetto di questo grande sovrano nato ostrogoto, si fosse realizzato.
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