Storia

Sulla strage di Portella della Ginestra, il mistero si infittisce

30 Aprile 2017

Sono trascorsi 70 anni dalla strage di Portella della Ginestra eppure gli interrogativi restano, sembrerebbe che la verità sia tutta da stabilire, anche perché sugli atti incombe  il segreto di Stato che sarebbe dovuto decadere ma, per quanto ci risulta, continua a rimanere tale. Ufficialmente l’autore della strage sarebbe stato il bandito Salvatore Giuliano e i mandanti sarebbero stati gli agrari siciliani preoccupati per il risultato delle elezioni regionali che aveva registrato la inaspettata vittoria del Fronte popolare. Una verità ufficiale che non ha convinto tutti e che ha alimentato polemiche insinuazioni e feroci fra le opposte fazioni politiche. Fra le tante versioni, proprio perché ha del verosimile, se ne aggiunge oggi un’altra formulata da un appassionato ricercatore, dilettante, di storia siciliana. Si tratta di Ignazio Coppola, giornalista di una certa età e, per un certo periodo, segretario regionale dei comunisti italiani, formazione politica promossa da Oliviero Diliberto.

La versione di Coppola assolve parzialmente quelli che vengono indicati come colpevoli e addossa la responsabilità a certe manovre tattiche del partito comunista del tempo. In poche parole, la strage sarebbe una risposta di Salvatore Giuliano ad un mancato impegno assunto con il feroce bandito da Girolamo (Mommo)  Li Causi, massimo responsabile del PCI. Secondo la ricostruzione di Coppola Salvatore Giuliano, dopo la sconfitta della proposta indipendentista, non si dimentichi che era stato nominato colonnello dell’esercito separatista, avrebbe stretto un patto con Antonino (Nino) Varvaro, un noto avvocato già segretario del M.I.S. che, in contrapposizione a Finocchiaro Aprile, aveva promosso il M.I.D.R., una formazione separatista di sinistra. Il bandito e la sua famiglia si sarebbero, dunque, dati da fare per raccogliere consensi per la nuova formazione politica. Sostiene Coppola che, addirittura, la moglie di Varvaro e la sorella di Giuliano girassero insieme alla ricerca di voto. Trattandosi di un movimento molto vicino al PCI, nell’intento di aiutare il suo candidato, Giuliano pensò di coinvolgere i dirigenti comunisti per fare convergere un pacchetto di voti su Varvaro.

Sempre secondo la ricostruzione di Coppola, proprio Girolamo Li Causi si sarebbe personalmente impegnato ad offrire il suo contributo a favore del M.I.D.R. e quindi di Varvaro. Tutto sembrava filare liscio, nessuno infatti si aspettava che Palmiro Togliatti, informato della vicenda, si dichiarasse contrario all’operazione. La parola di Togliatti era allora decisiva, Girolamo Li Causi fu costretto a mancare di parola. Naturalmente di tutto questo non venne avvertito il bandito che confidò nell’intesa raggiunta almeno fino al momento dell’apertura delle urne. Il risultato elettorale, come è noto, rese evidente che il PCI non aveva onorato l’impegno. Proprio nelle aree del collegio dove il PCI raccoglieva a man bassa consensi – si parla di Piana degli Albanesi, San Giuseppe Jato e San Cipirrello – il movimento di Varvaro fu particolarmente penalizzato tanto da comprometterne la elezione. Immaginiamoci l’ira del bandito che, si dice, avrebbe giurato di farla pagare a Li Causi e ai comunisti. Si avvicinava la celebrazione del 1° maggio che, tradizionalmente si svolgeva nella Piana di Portella della Ginestra, un luogo mitico dove Nicola Barbato, uno dei protagonisti del Movimento dei Fasci siciliani, arringava le folle dei contadini. Si era diffusa la voce che discorso ufficiale a Portella della Ginestra dovesse essere tenuto da Mommo Li Causi. Informazione che convinse il bandito, affetto da delirio d’onnipotenza, a fare di Portella teatro della sua vendetta.

La notizia di quanto sarebbe potuto avvenire raggiunse, però, Li Causi il quale nonostante l’impegno assunto, prudentemente, decise di non presenziare. L’incarico di sostituirlo fu dato ad un giovane dirigente sindacale della Federterra , Francesco Renda che, qualche anno dopo, sarebbe divenuto uno degli storici più noti della Sicilia. Per assolvere all’incarico, Renda lasciava Palermo a bordo di una motocicletta guidata da un giovane dirigente comunista della zona, ma i due non riuscirono ad arrivare sul luogo della manifestazione per un guasto al mezzo che li portava. Insinua Coppola che il guasto si spiegherebbe con qualche vocina, che avrebbe raggiunto il giovane militante comunista, sul pericolo a cui andava incontro. Fatto è che Renda non arriva. Intanto, il tempo passa, Giuliano e i suoi hanno raggiunto la collina, la Pizzuta, che sovrasta la Piana in attesa di far fuoco. A questo punto, mancando gli oratori ufficiali, si incarica di comiziare il calzolaio Giacomo Schirò, segretario della sezione comunista di san Giuseppe Jato. Salvatore Giuliano, dall’alto della montagna, si rende conto che il responsabile non è presente. Che fare ?  Qui si contrappongono due tesi, quella che Giuliano o, autonomamente, qualcuno dei suoi , in questo caso Salvatore Ferrera (detto fra’ Diavolo), abbia sparato alla cieca sulla folla come reazione al fallimento o che a sparare siano stati elementi mafiosi appostatisi sulla collina, detta Cumeta, opposta a quella dove si trovava Giuliano. Questa seconda ipotesi, che è particolarmente cara a Coppola, non trova però riscontro, non essendo state trovate in quell’area tracce di presenza di armati. Resta solo l’ipotesi più realistica che a far fuoco sulla folla indifesa sia stato proprio Giuliano e la sua banda. La tesi di Coppola è sicuramente suggestiva e, a rigor di logica, non fa una piega, purtroppo però, a parte, il discorso stringente che la ispira, manca della ben minima prova e dunque finisce per contribuire ad infittire il mistero.

 

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